Depero, e oltre
Al Mart una mostra sul debordante e anticipatore lavoro di Fortunato Depero pubblicitario; e una sull'arte italiana del '900 nella collezione Luigi Ferro.
Concludiamo la panoramica iniziata lo scorso numero sulle nuove mostre recentemente inaugurate al Mart di Rovereto (vedi Arte underground ai tempi dell’URSS) con l’evento forse più atteso, l’esposizione dedicata a Fortunato Depero pubblicitario, e con un nuovo nucleo di opere che vanno ad aggiungersi alla ricca collezione permanente del museo, il fondo del collezionista Luigi Ferro.
La mostra dedicata a Depero (fino al 3 febbraio 2008) presenta un vortice di lavori che tra bozzetti, dipinti, manifesti e copertine di riviste sfiora le 500 opere a carattere pubblicitario; tutte opere appartenenti al Comune di Rovereto e depositate al Mart, molte delle quali - in un futuro speriamo prossimo - confluiranno nel restaurando Museo Depero. L’impressione che si ha, a conclusione del percorso, è che il futurista roveretano, nel campo della grafica pubblicitaria, non ebbe eguali, per lo meno in Italia. La modernità del suo linguaggio è del resto testimoniata, oltre che dal successo nelle esposizioni internazionali di arti decorative, dalla fortuna che ebbe negli Stati Uniti (dalle copertine per Vogue e Vanity Fair all’allestimento per il ristorante Zucca a New York), nonché dalla collaborazione con grandi marchi, su tutti la ditta Davide Campari. Il sodalizio con quest’ultima produsse alcune delle opere pubblicitarie più fortunate di Depero, come i quadri pubblicitari e il volume "Numero Unico Futurista Campari" (1931), contenente, oltre a gustosissime tavole realizzate in collaborazione col poeta Gerbino, il Manifesto dell’Arte pubblicitaria.
Il prodotto che Depero pubblicizzò maggiormente fu però... se stesso. L’auto-réclame fu per lui un imperativo da esprimere in ogni forma.
Il celebre "imbullonato"("Depero futurista", 1927) fu solo la più nota e fortunata espressione delle sue auto-pubblicità, come ben documenta il percorso, fatta eccezione per un piccolo quanto prezioso volantino purtroppo assente: quello lanciato dai cieli di Torino nel 1922 da un gruppo di aviatori e dallo stesso Depero, al fine di reclamizzare una mostra dell’artista, probabilmente il primo esempio di pubblicità aerea.
Dal punto di vista stilistico, il linguaggio di De-pero pubblicitario attraversa due distinte fasi: la prima si esprime attraverso quel linguaggio meccanico-futurista già utilizzato nei Balli plastici e che ritroviamo ad esempio nel manifesto per il Mandorlato Vido (1924); la seconda è invece quella caratterizzata da un uso nuovo e per molti versi inaudito del lettering tipografico, in cui i vari font, variando in tipologia e dimensione, determinano sperimentazioni verbo-visuali prossime a quelle del Bauhaus e del futurismo russo.
L’altra mostra, "Maestri del ‘900: da Boccioni a Fontana" (fino al 20 gennaio), presenta, attraverso 50 opere raccolte dal collezionista veronese Luigi Ferro e recentemente depositate dagli eredi al Mart, uno sguardo sull’arte soprattutto italiana dei primi sessant’anni del Novecento. Il percorso presenta alcuni dipinti che non è azzardato definire capolavori: così è per il ritratto della madre eseguito nel 1909 da un Boccioni che se è ancora pregno della luce divisionista, già sembra preludere, nel pathos, alle deflagrazioni futuriste. Queste ultime trovano voce nel percorso attraverso i lavori di Soffici, Balla e soprattutto Severini, il cui "Ritratto di Madame M. S." (1913-1915) è una delle prime applicazioni della scomposizione dinamica futurista applicata al ritratto.
Gli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale, caratterizzati in tutta Europa da un generale "ritorno all’ordine" di stampo classicista, sono esemplificati da opere di Pompeo Borra, Carlo Carrà, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Marino Marini, Arturo Marini e Mario Sironi. Di quest’ultimo si segnala per qualità una tela del 1925, "Il povero pescatore", tra i primi dipinti sironiani dedicati al tema del lavoro.
Le sale successive sono consacrate ai cosiddetti "Italiens de Paris", artisti che, come suggerisce il nome, furono artisticamente segnati, soprattutto nell’uso del colore, dalla vivacità della capitale francese. Tra i surrealismi di Savinio, i classicismi di Tozzi, le terrosità di Campigli e la poesia delle piccole cose di de Pisis, primeggiano per qualità le otto tele di de Chirico, su tutte i "Cavalli in riva al mare" (1924) e i "Mobili nella valle" (1924), in maestoso, silente e sospeso dialogo.
Otto sono anche i dipinti esposti di Giorgio Morandi, tra i quali occorre per lo meno segnalare una tela del 1924, battuta nel 1989 da Christie’s per una cifra non lontana dal miliardo delle vecchie lire. Più che per il valore economico, l’opera è preziosa per il fatto d’essere uno dei soli sette autoritratti eseguiti dell’artista, che ,com’è noto, era monotematicamente concentrato sulle nature morte e su qualche sparuto paesaggio disabitato. Poche ma non meno pregevoli le opere di artisti d’oltre confine: un disegno di figura femminile, al contempo nervoso e aggraziato, di Gustav Klimt, e un acquerello di Kandinskij che, assieme a un "Concetto spaziale" (1960) di Lucio Fontana, ricorda la via dell’astrazione.