La convenzione Europea ti dà ragione? Non conta, rassegnati
Cosa succede quando una sentenza italiana viola la Convenzione europea?
La strada per costruire l’Europa è lunga e difficile. Una vera Unione non può consistere soltanto nella moneta unica e nella libera circolazione di merci e persone. Non c’è Europa senza una comunità di valori, che si esprima anche sul terreno giuridico.
Un grande passo è stato quello dell’adozione di una Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e della Corte di giustizia. Gli addetti ai lavori lo sanno, ma la grande maggioranza dei cittadini non sa che le sentenze della Corte europea hanno, almeno in Italia, un valore simbolico. Infatti, nel caso che la Corte di giustizia europea gli dia ragione, il ricorrente ha diritto di ricevere dallo Stato italiano soltanto un equo indennizzo. In caso di condanna penale passata in giudicato, magari a 20 anni di reclusione, ma viziata dal mancato rispetto di una norma della Convenzione riconosciuta dalla Corte europea, la sentenza resta intangibile e il condannato deve scontarla, consolandosi con l’indennizzo.
E’ giusto ? Certo che no! Ma la sacralità del giudicato sembra non lasciare vie d’uscita da queste forche caudine, che costituiscono una violazione dell’art. 111 della nostra Costituzione e della Convenzione europea.
E’ chiaro che il Legislatore italiano deve provvedere. Dal maggio 2005 giace in Parlamento un disegno di legge che prevede la revisione del giudicato quando la Corte europea abbia accertato la violazione dell’art. 6 della Convenzione, o altre gravi violazioni non sanabili col solo indennizzo. Va notato a questo punto che molti paesi europei dalla condanna in sede europea fanno seguire la riapertura del processo (Belgio, Spagna, Svezia, Russia, Austria, Germania, Svizzera, Inghilterra, Polonia e Bulgaria). Come al solito, l’Italia è il fanalino di coda.
Ma in attesa che il progetto diventi legge, e sia quindi operante, è proprio vero che non c’è nulla da fare? Recentemente la Corte di Cassazione ha stabilito che le norme della Convenzione europea devono essere inderogabilmente applicate dal giudice italiano e che "sono insuscettibili di abrogazione o di modificazione da leggi ordinarie" (3 ottobre 2005 n° 35616).
Inoltre la loro eventuale violazione pone in essere un atto illegittimo, che cozza contro i principi del giusto processo. Secondo il prof. Angelo Giarda, ordinario di procedura penale presso l’Università Cattolica di Milano, l’atto sarebbe anche intrinsecamente illecito perché contrario ai principi fondamentali della nostra Costituzione. Ne deriverebbe quindi, secondo il prof. Giarda, la sua inefficacia permettendo cosi il superamento della intangibilità del giudicato ( "Diritto penale e processo" , n. 1, 2006, pag 5 e sgg.). Condivido questo suggerimento e spero che venga accolto dalla corte di Appello di rinvio che presto dovrà affrontare in un caso concreto il quesito di fondo: può il giudicato resistere se la Corte ritiene che il processo abbia violato le norme della Convenzione europea?