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Caccia, natura, turismo

La nuova proposta di legge di Dellai sul prolungamento del periodo di caccia dai tre ai cinque mesi (per citarne l’aspetto più eclatante) ha suscitato emozioni contrastanti, conquistando la benevolenza degli elettori cacciatori, ma attirando altresì un gran numero di polemiche. La proposta di legge difatti si presenta alquanto discutibile sia nel merito che nel metodo, e si può notare distintamente un Dellai che cerca (lasciando intravedere una chiara mossa acchiappa-voti) di aggirare il macigno posto dalla decisione della Corte costituzionale che non consente di effettuare la caccia di selezione fuori dal periodo consentito dalla legge nazionale, e cioè a partire da settembre, per tre mesi.

Molte sono le perplessità che questa proposta lascia dietro di sé, pur evitando le ormai diffuse polemiche sull’assurdità della definizione "caccia di selezione" (che tutela solo femmine e piccoli di caprioli e cervi, mentre i maschi sono tutti cacciabili, anche se malati). Entrando nel merito della questione, ad esempio, visto e considerato che dopo la prima settimana, massimo la seconda, le sezioni di caccia hanno già esaurito i capi assegnati, perché ci sarebbe bisogno di due mesi aggiuntivi?

C’è poi da dire che i due mesi aggiuntivi testé citati andrebbero ad anticipare l’inizio del periodo di caccia, quindi non più a settembre, bensì in piena estate. Non è un particolare trascurabile, in quanto si verrebbe a creare un disagio sia naturalistico che turistico. Da un punto di vista prettamente naturalistico, i mesi aggiuntivi in questione sono quelli delicati in cui le femmine hanno appena partorito o sono ancora gravide ed i capi presenti nei branchi, in genere, sono deperiti dal lungo digiuno invernale ed avrebbero appunto bisogno della stagione estiva per recuperare e difatti non a caso la legge nazionale indica il mese di settembre come inizio del periodo della caccia di selezione.

Da un punto di vista turistico, poi, il Trentino ha ancora vocazione di zona turistica, dove "recarsi per ritemprare lo spirito in armonia con la natura". Il periodo estivo è uno dei più proficui sotto questo aspetto e tutelare gli interessi di meno del due per cento della popolazione vale la perdita di immagine ed il danno provocato?

Pericolo a parte (l’attuale legislazione dice che non ce n’è, ma le statistiche nazionali dimostrano il contrario), come andrebbe valutato il disturbo provocato agli altri, il fastidio degli spari che rimbalzano da un lato all’altro delle valli, la scomparsa degli animali, non quelli morti, bensì quelli spaventati che se ne stanno nascosti?

Il tutto senza dimenticarsi del problema di una vigilanza scarsa: le guardie forestali sono troppo poche, spesso impegnate in altri compiti, anche burocratici, ed il prolungamento dei mesi nei quali è possibile cacciare crea un problema organizzativo non indifferente. In tre mesi difatti i turni risultano più facilmente copribili, magari facendo un po’ di straordinari. Su cinque, invece, il compito risulta più arduo ed è soprattutto il bracconaggio che ne esce chiaramente avvantaggiato. Se poi ai cinque mesi si aggiungono i cinque giorni a settimana, il problema raddoppia la sua intensità: per legge due giorni sono di silenzio venatorio obbligato, negli altri cinque i cacciatori possono cacciare durante tre a loro scelta, individuale (sostanzialmente ogni cacciatore può cacciare tre giorni a settimana lungo un arco temporale di cinque).

Una buona soluzione sarebbe quella di scegliere tre giorni e che siano quelli per tutti i cacciatori. Pazienza se nei tre vengono inclusi sia il sabato che la domenica, ma almeno siano sempre gli stessi tre giorni per tutta la stagione venatoria! In tal modo, anche da questo punto di vista, la vigilanza sarebbe facilitata: si sta sul territorio concentrando lo sforzo su tre giorni e non su cinque. L’efficacia dei controlli sarebbe senz’altro migliore. E nuovamente ne verrebbero penalizzati i bracconieri: chi sente sparare fuori dai tre giorni sa che si tratta sicuramente di caccia illecita. Con il metodo attuale, invece, nei cinque giorni ammessi, udendo uno sparo, non si sa mai se è qualche cacciatore che ha scelto quel giorno per esercitare la caccia o un bracconiere appunto. Tenere tre giorni fissi risulterebbe altrettanto valido da un punto di vista turistico, in quanto si avrebbero solo tre giorni a rischio o comunque di disturbo.

Altrettante perplessità lascia dietro di sé il metodo, fin qui seguito, relativamente alle modalità di presentazione del disegno di legge. E’ opportuno ricordare che da poco meno di un anno è attivo un tavolo tecnico di confronto tra ambientalisti e cacciatori, promosso dallo stesso presidente Dellai, ove è previsto che ogni nuova iniziativa in materia venatoria venga portata preliminarmente. La perplessità nasce nel momento in cui la nuova iniziativa non viene presentata a tempo debito e nel luogo stabilito: tutto è stato fatto in gran segreto e le carte sono state scoperte alla fine e comunque non al Tavolo di confronto.

Infine, incontrando in questi giorni i capigruppo dei vari partiti presenti in Consiglio provinciale per discutere di questo disegno di legge, abbiamo sentito da più di uno che la proposta è stata velocemente presentata come un qualcosa "che tanto bisogna fare per adeguarsi alla legge nazionale". Ma la legge nazionale prevede tutt’altro, come già dimostrato, e questo modo di informare chi poi deve votare risulta non solo riduttivo, ma anche scorretto.

Nessuno pretende che ogni singolo individuo o associazione non cerchi di perseguire i propri interessi purché nel pieno rispetto della democrazia, ma per tutelare, appunto, questo concetto democratico predominante nell’occidente contemporaneo, sarebbe opportuno lasciare da parte l’ipocrisia sin qui dimostrata, permettendo alla popolazione di decidere autonomamente, nella chiarezza.

"Ci piace cacciare e vogliamo farlo per cinque mesi" risulterebbe molto più adatto, onesto e non fuorviante di quanto espresso finora.