La Chiesa, al di là delle elezioni
Primo obiettivo: tener lontano lo spettro di Zapatero...
Mentre la campagna elettorale per le elezioni di aprile dura ormai da mesi, tutte le azioni della Chiesa nei confronti della politica italiana vengono lette in questa chiave, con uno sguardo attento soprattutto a coglierne i risvolti sul fronte del consenso ai due schieramenti politici. Tuttavia vale anche la pena di evidenziare quali sono le linee strategiche del lungo periodo della Chiesa ratzingeriana, al di là delle contingenze del momento.
In un libro pubblicato l’anno scorso, il cardinal Ruini riassumeva fin troppo lucidamente le sfide che attenderanno la Chiesa cattolica nei prossimi anni, in un solo concetto: la "questione antropologica". Nel mondo della globalizzazione e delle scoperte scientifiche (soprattutto nel campo delle tecnologie applicate alla vita dell’uomo) si impone un problema centrale: l’uomo con la sua autonomia razionale è in grado di governare questi processi? Oppure senza determinati "valori" (parola che qui significa riferimenti religiosi) l’umanità precipiterà nel caos e negli scontri violenti a tutto campo?
Sembrano questioni astratte, ma hanno un’immediata ricaduta nella sfera politica e quindi nella nostra vita di ogni giorno, come nel caso della normativa sulla procreazione medicalmente assistita. Secondo la visione della Chiesa in questo campo, l’uomo deve assolutamente darsi dei limiti che non si possono basare sul consenso, sull’opportunità, sul desiderio di raggiungere la propria visione di felicità, ma che derivano dalla cosiddetta "ragione naturale", cioè su quelle regole morali che la Chiesa definisce come universali e oggettive. Che l’embrione sia un essere umano, secondo il magistero ecclesiastico, è una verità di ragione e non di fede; idem per la famiglia come unione di persone di sesso diverso sancita dal matrimonio; idem per aborto ed eutanasia.
Ma i problemi non riguardano solo il campo bioetico: coinvolgono l’essenza stessa della democrazia e del suo rapporto con la religione. Benedetto XVI ha chiarito in molteplici occasioni il suo pensiero: lo Stato e la Chiesa, la politica e la religione sono due sfere separate, ma non certamente nel senso che, per capirci, intendeva il conte di Cavour. La Chiesa non può fare direttamente politica, ma in ultima istanza deve dare ai cittadini quegli orientamenti generali, quei valori di fondo che tutto sommato sono necessari alla democrazia stessa.
Questo discorso si chiarisce perfettamente con l’esempio della Spagna di Zapatero. Il leader socialista, legittimato da un voto popolare sicuramente democratico e da un programma preciso, una volta giunto al potere ha varato alcune leggi che hanno visto un’opposizione senza precedenti dei vescovi spagnoli e del Vaticano. Ebbene, stabilire per legge la possibilità del matrimonio gay anche se per via democratica, per la Chiesa significa andare contro la ragione, abusare del proprio potere, pretendere in una parola di stabilire che cosa sia il bene e che cosa sia il male. Questo appunto è il relativismo, il laicismo a cui la visione di Ratzinger (e con lui di quasi tutta la gerarchia cattolica) si oppone frontalmente.
Anche nella faccenda delle radici cristiane dell’Europa e quindi dell’identità dell’Occidente cristiano, in un momento di grave contrapposizione internazionale, si coglie lo stesso problema del relativismo. Gli europei dovrebbero recuperare le proprie radici per poter dialogare con il diverso (la Chiesa, pur con qualche esitazione e distinguo, non si è mai discostata dalla linea maestra del dialogo con il mondo musulmano) e per cementare la propria democrazia. Il tema delle radici implica anche ricordare il ruolo che la Chiesa ha avuto come guida della civiltà occidentale, accanto all’Illuminismo certamente, un ruolo che oggi si esplica appunto in quei valori che la religione dovrebbe dare alla politica.
Concretizzando il discorso in parole semplici, si potrebbe dire che uno degli obiettivi "politici" della Chiesa nel lungo periodo è evitare in tutti i modi che il modello Zapatero si ripeta, o peggio ancora si estende ad altri paesi di tradizione cattolica. In Italia il gioco è relativamente facile: la rincorsa al voto cattolico fa sì che per ora qualsiasi parlamento esca dalle elezioni non seguirà la "deriva" spagnola. Anche se vincesse l’Unione, modificare la legge sulla fecondazione assistita, introdurre i Pacs, favorire la scuola pubblica sarà un’impresa titanica. Si accettano scommesse. Certamente la Chiesa italiana di Ruini spera in qualcosa di più: il ritorno ad un centro neo-democristiano è il sogno non tanto nascosto di moltissimi prelati che vedono molto male certe istanze presenti nel centro-sinistra ma che non amano certamente il Berlusconi più demagogico e peronista. Ma saranno le elezioni a decidere su questo: certamente il pareggio sarebbe il trionfo di Ruini.
Di più lungo periodo invece è la strategia che tende a riportare il cattolicesimo e quindi la Chiesa ad un ruolo pubblico più accentuato, a una funzione quasi di "religione civile" o almeno a una condizione di protagonista nella società, nella cultura, sui mezzi di informazione, nella scuola. Questo probabilmente per recuperare i fedeli fuorusciti o troppo critici, insomma per arginare la deriva della secolarizzazione. Ma la fede, si sa, è davvero un’altra cosa.