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La Chiesa e l’Ulivo

Paolo Tomasi

Ho letto con interesse la cover story Ratzinger segherà l'Ulivo?. L’osservazione che voglio fare riguarda una carenza di prospettiva. Si confonde un tema contingente - quello delle elezioni - con una questione ben più generale che riguarda il ruolo sociale della religione nelle società sviluppate. L’unico che accenna a questo tema è il sociologo Piergiorgio Rauzi che coglie nel segno quando parla della secolarizzazione come sorgente dell’anomia (o perdita di punti di riferimento) a cui, come reazione naturale, sta subentrando una nuova attenzione al tema del sacro. Ma pensare che le gerarchie ecclesiastiche siano attive promotrici di questo tipo di fenomeni è alquanto ingenuo. I promotori sono altrove, vescovi e cardinali subiscono questa operazione. Oggi ad essere in gioco, sotto la falsa apparenza della diatriba laicità-clericalismo, sono scelte di fondo che poco hanno a che fare con la filosofia e la religione. Vi sono settori delle classi dirigenti nelle società industrializzate che ormai si sono fatti un’idea precisa rispetto alla sostenibilità delle tendenze attuali: l’attuale modello di società secolarizzata, secondo questi ambienti, non può reggere a lungo, la disgregazione sociale è un suo esito ineluttabile. E la risposta a questa diagnosi infausta viene attivamente propugnata da quelli che in Italia si definiscono gli "atei devoti". Certamente se si guarda a personalità come Marcello Pera la cosa può apparire di scarso significato e un po’ velleitaria. Ma se si comincia a riflettere sulle risorse in termini di influenza politica ed economica che stanno dietro agli epigoni italiani dell’ideologia "cristianista" la prospettiva cambia. Le grandi fondazioni americane che finanziano il pensiero neo-conservatore hanno a disposizione bilanci enormi (si pensi solo ad American Enterprise Institute o Heritage Foundation) e hanno da tempo cominciato ad indirizzare le loro risorse in questa direzione. Difficile pensare che lo facciano per fare un piacere a Ruini, visto che le élites americane "wasp" sono da sempre protestanti ed ostili al cattolicesimo.

Ecco, mi piacerebbe molto leggere su QT articoli in grado di approfondire proprio questo tema. Quali sono le cause profonde del nuovo ruolo delle idee religiose come ideologia politica? Anche chi, come Ettore Paris, crede che l’ottica religiosa sia riducibile alla prospettiva "siamo tutti minorenni, abbiamo bisogno di Dio (e quindi dei preti), che ci dica (che ci dicano) cosa dobbiamo fare" dovrebbe almeno farsi qualche domanda. Come mai, dopo due secoli di illuminismo e secolarizzazione le categorie politiche devono continuare a fare i conti con le fedi religiose? La risposta di QT a questa domanda implicita spesso è carente. Nel sottofondo sembra di sentire un discorso del tipo: "Siccome la religione è una risposta retrograda che non serve agli uomini maggiorenni, bisogna attendersi la sua spontanea estinzione, generata dal miglioramento del livello culturale delle masse e dal multiculturalismo".

Ma la risposta dei "cristianisti" è altrettanto cinica e semplificatoria: "Poiché il livello delle masse è quello che è, la coesione sociale sganciata da una prospettiva religiosa è impossibile, quindi le élites, indipendentemente dalle loro private convinzioni personali, devono attivamente sostenere il mantenimento della tradizione religiosa".

Sono due prospettive apparentemente antitetiche ma che partono dallo stesso presupposto. E non è un caso, visto che alcuni dei maggiori intellettuali cristianisti americani hanno precedenti ideologici riconducibili al marxismo (e in Italia abbiamo visto Giuliano Ferrara seguire questo stesso percorso). Ma le due prospettiva sopra evidenziate andrebbero messe a confronto e analizzate (magari dando meno spazio a certe polemiche, piccole e antiquate anche se gradite alla "Rosa nel Pugno").

Chissà, forse dalla dialettica di due discorsi apparentemente inconciliabili può nascere qualche idea migliore e meno rozza.