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QT n. 2, 28 gennaio 2006 Servizi

RU486, la pillola contestata

Aborto farmacologico anziché chirurgico: un progresso che molti non vogliono.

La legge 194 dà alla donna la facoltà di abortire entro 14 settimane dall’ultima mestruazione, ma in Italia è previsto solo il metodo chirurgico per aspirazione "Karman", eseguito in ospedale con anestesia generale. Ma oltre al metodo chirurgico si è diffusa da tempo, negli Stati Uniti come in Europa, una pratica farmacologica: la "pillola abortiva", denominata RU486.

La sua storia inizia in Francia nel 1982, quando viene messo a punto il "mifepristone", un anti-ormone che permette di abortire farmacologicamente, senza intervento chirurgico. Dal 1988 questo metodo è autorizzato in Francia, dal ‘90 in Gran Bretagna, dal ‘91 in Svezia; in pratica è consentito in tutta Europa, tranne che in Italia, Irlanda e Portogallo, dove il prodotto non è mai stato registrato.

Il ministro della Salute Francesco Storace.

L’aborto farmacologico ha molti vantaggi: in termini sanitari si evita un intervento chirurgico, in termini economici si evita un’operazione che costa 8-900 euro, con relativo risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, in termini psicologici la donna non affronta la sala operatoria e un’anestesia generale.

In Svizzera, per esempio, la donna che decide di interrompere la gravidanza con la RU486, assume, alla presenza di personale medico (in ospedale o clinica), entro la settima settimana dall’ultima mestruazione, tre compresse di mifepristone. Poi torna a casa e, due giorni dopo, rientra per assumere due compresse di prostaglandina. La donna rimane in osservazione per alcune ore, durante le quali ha un’espulsione dei tessuti embrionali che, nel 70% dei casi, avviene nelle prime due ore, per il restante 30% successivamente. Dopo due settimane viene effettuata una visita di controllo.

Gli effetti secondari dell’assunzione della RU486 sono crampi addominali leggermente più forti di quelli dati da una mestruazione, eventuale nausea e diarrea; dopo l’espulsione si hanno perdite di sangue più abbondanti di una normale mestruazione che possono durare fino a nove giorni.

L’efficacia è del 95%, a condizione che la pillola sia utilizzata entro la settima settimana di gravidanza.

Sia il metodo chirurgico che quello farmacologico sono efficaci e sicuri: le differenze dipendono soprattutto dai tempi a disposizione. L’interruzione farmacologica è indicata per le donne che decidono rapidamente (entro 7 settimane), la chirurgica per quelle che hanno avuto bisogno di più tempo (in ogni caso entro 14 settimane).

L’Italia attualmente non consente questa tecnica (prima, bisogna che la RU486 sia iscritta a livello nazionale fra i farmaci consentiti), ed allora si possono seguire due strade: la sperimentazione nelle strutture pubbliche o l’acquisto del farmaco all’estero. Sperimentazioni sono state avviate a Torino (Ospedale S. Anna) e in Toscana (Pontedera), ma sono praticamente inutili, perché ormai non c’è nulla da verificare.

Il vero ostacolo è rappresentato dall’opposizione della Chiesa che condanna questo metodo: bisogna "evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell’aborto, come scelta contro la vita" - ha detto il Papa.

Il tema interessa naturalmente anche il Trentino, dove nel 2004 sono stati registrati 1.316 aborti, 840 eseguiti in una clinica convenzionata (Villa Bianca), 252 al S. Chiara di Trento, 224 presso l’Ospedale a Rovereto.

Margherita Cogo, vicepresidente della Giunta Provinciale, ha recentemente sollevato la questione di come rendere accessibile anche in Trentino la pillola abortiva e recentemente si è saputo che all’Ospedale S. Chiara di Trento è arrivata la prima confezione di RU486 importata dalla Francia, e che una donna ha interrotto la gravidanza secondo questo metodo.

Sara Ferrari, consigliere comunale DS, ci spiega che "la donna che vuole interrompere la gravidanza viene sì informata della possibilità di abortire farmacologicamente, ma che un protocollo molto rigido prevede che il farmaco sia assunto durante un ricovero obbligatorio di tre giorni in ospedale: il primo giorno le sono date le compresse di mifepristone, il terzo la prostaglandina. Tre giorni durante i quali la donna, ‘sana’, è costretta a rimanere in ospedale a rimuginare sulla sua scelta, con un costo psicologico, sociale ed economico elevato. Molte finiscono quindi per preferire l’intervento chirurgico solo perché consente di essere dimesse la sera stessa: sono donne che hanno impegni di lavoro e che non vogliono dover giustificare ad altri una loro scelta.

L’aborto farmacologico viene da molti ritenuto troppo ‘facile’ e sembra proprio che questi tre giorni di ricovero, ingiustificati visto quanto avviene in altre nazioni, abbiano in realtà lo scopo di rendere la scelta più pesante".

A Margherita Cogo, che ha chiesto di consentire anche in Trentino la RU486, chiediamo se la legge 194 dà indicazioni sul metodo da seguire per l’interruzione volontaria di una gravidanza.

"La Legge 194 non entra nel merito dell’intervento chirurgico o meno, anzi l’art. 15 promuove l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza. Sarebbe ridicolo che una legge entrasse nel dettaglio dell’intervento chirurgico, ma quando si parla del corpo delle donne possiamo aspettarci di tutto…".

L’informazione data dai consultori corrisponde alle esigenze della nostra società?

"Il consultorio dovrebbe essere non solo un ambulatorio, ma anche un luogo dove si trovano risposte ai problemi del singolo e della coppia, non solo per la procreazione, ma anche per i rapporti relazionali, ed essere di sostegno nei momenti critici della vita. Dovrebbe, per esempio, aiutare le donne nel periodo immediatamente successivo alla maternità, una nuova fase della vita esaltante da un certo punto di vista, ma anche estremamente problematica.

Ho parlato di quest’aspetto in particolare perché il Consiglio Provinciale si è pronunciato anche sulla questione della depressione post-partum, in seguito ad una mozione di Forza Italia. Mentre questa mozione veniva letta, mi chiedevo, e con me molti: ‘Ma davvero si preoccupano della depressione post-partum delle donne?’ Poi ho capito il nodo della faccenda: nel deliberato era previsto che il consultorio ‘potrebbe avvalersi’, per aiutare queste donne, del volontariato. Insomma, in pratica si vogliono aprire le porte dei consultori alle associazioni di volontari, ma per fare che cosa? Per compiere quella prevenzione all’aborto sostenuta dai vari movimenti per la vita. Il mio gruppo non ha votato la mozione, mentre gli altri, ritenendola innocua, hanno aderito.

Una donna che soffre di depressione post-partum, ha bisogno di uno psicologo, di uno psichiatra, sicuramente non delle pacche sulle spalle di una persona dotata di buona volontà e fortemente ideologizzata."

Negli altri paesi europei la RU486 è approvata da anni; l’Italia si distingue anche in questo caso...

"Ero in Francia poco tempo fa e leggevo sui loro giornali di come si stupivano che in Italia si parlasse di sperimentare la RU486. Da loro è consentita da un quarto di secolo. Non sono necessarie altre sperimentazioni; la pillola abortiva deve solo essere registrata a livello nazionale.

Vorrei ricordare come negli anni Settanta, prima dell’approvazione della legge 194, le donne vivessero una vera tragedia: tante sono morte durante un aborto clandestino, tante non hanno più avuto la possibilità di procreare dopo un intervento di macelleria chirurgica, e molti si sono arricchiti sulla pelle delle donne".

Queste ingerenze politiche in questioni sociali che significato hanno?

"Sono il segnale di una deriva ideologica pericolosissima all’interno delle nostre istituzioni. Purtroppo c’è una sorta di genuflessione, nei confronti della Chiesa, da parte di tanti uomini politici convinti di catturare in questo modo il voto cattolico. Ci sono troppi partiti che vogliono il loro voto e troppo pochi voti cattolici; oltre al fatto che anche i cattolici non la pensano tutti alla stessa maniera.

Lo Stato deve essere laico, non spetta a lui stabilire cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto o sbagliato; il suo compito è decidere cosa si può o non si può fare perché la società eviti i conflitti.

Del resto, il ritorno a polemiche antiabortiste era già nell’aria all’epoca del referendum sulla procreazione assistita; era una battaglia giusta, che ho sostenuto, anche se era chiaro che non avremmo vinto. Purtroppo riguardava una fetta marginale di popolazione e quindi non interessava alla maggioranza. L’esito di quel voto, purtroppo, ha galvanizzato gli estremisti".