Il minimalismo di Lucinda Childs
Lucinda Childs fu una delle principali protagoniste del movimento artistico-intellettuale sviluppatosi intorno allo Judson Dance Theater, centro che negli anni Sessanta riunì alcuni personaggi di spicco della scena culturale americana e pose le basi per la nascita della danza "post-moderna". Il manifesto teorico del gruppo, palesemente in contrasto con l’estetismo del balletto classico ma anche con l’eccessiva introspezione di certa modern dance, esordiva così:
"No alla spettacolarità, no al virtuosismo, no alle trasformazioni e alla magia e alle illusioni ,no al glamour e alla trascendenza dell’immagine della star, no all’eroico, no all’anti-eroico, no all’immaginazione trash, no al coinvolgimento dell’esecutore o dello spettatore, no allo stile, no alla tendenza, no alla seduzione dello spettatore grazie alle furbizie del performer, no all’eccentricità, no al commuovere o al lasciarsi commuovere."
Una danza quindi spogliata di ogni ridondanza, di ogni elemento accessorio, ridotta all’essenzialità e alla purezza del gesto performativo. Tale ricerca si avvicina alle sperimentazioni della minimal art, di cui Dance - la prima coreografia presentata al Teatro Sociale - costituisce una sorta di contraltare in movimento.
L’esecuzione del pezzo, creato dalla Childs nel 1979, è stata affidata ai danzatori del Ballet de l’Opéra du Rhin, con cui la coreografa statunitense collabora da tempo. La musica è quella ipnotica e ripetitiva di Philip Glass mentre la scenografia - che si intravede nella proiezione video che a tratti invade il palco - è opera dell’artista minimalista Sol LeWitt, il quale ha ideato anche gli schemi grafici che determinano gli spostamenti dei danzatori sullo spazio scenico. I movimenti si ripetono in maniera modulare, in un flusso continuo che alterna composizioni di gruppo ad assoli e sembra ripetersi identico all’infinito. In realtà, anche se in maniera quasi impercettibile, la qualità del movimento subisce delle lievi variazioni, raffreddandosi progressivamente, e l’effetto risulta allo stesso tempo coinvolgente ed estenuante.
Dance rappresenta una pietra miliare dell’estetica minimalista, da apprezzare per la sua vibrante e solo apparente freddezza.
Non del tutto azzeccato è parso l’accostamento con il secondo pezzo, Il mandarino meraviglioso, adattamento da un’opera di Béla Bartók; certamente interessante per la lettura di stampo espressionista datane dalla Childs, la coreografia ha purtroppo smontato la suspence ipnotica creata sugli spettatori dal primo pezzo.