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QT n. 20, 26 novembre 2005 Monitor

Uno sguardo dal palco

"Uno sguardo dal ponte" di Arthur Miller per la regia di Patroni Griffi: un dramma sociale reso con straordinaria umanità e complessità.

Al Sociale di Trento è andato in scena "Uno sguardo dal ponte" di Arthur Miller. A decenni di distanza, ci siamo rivisti allo specchio, quando noi Italiani sognavamo l’America e, magari da clandestini, riuscivamo a raggiungerla per trovare un lavoro. Forse non ricordiamo più che, a quell’epoca, qualche giornale satirico ci dipingeva come rats, topi di fogna che arrivavano portando malattie e malavita. Oggi, noi siamo spettatori – da un palco, o da una poltrona davanti al TG – non più protagonisti di un dramma che si svolge sotto i nostri occhi ma che avvertiamo ormai lontano, un fenomeno che non ci riguarda o, persino, ci irrita.

Nella regia di Patroni Griffi, servita splendidamente dalle scene di Aldo Terlizzi, il ponte diviene un elemento vero di collegamento fra miraggio e incubo, passato e futuro, un testimone immobile (ma non impassibile) degli eventi. Tutto si svolge sotto o davanti a "lui", e il suo aspetto, come il paesaggio manzoniano, muta secondo l’umore dei personaggi o l’evolversi della vicenda fino al tragico epilogo. Da angolino domestico, quasi dimenticato, diviene in alcuni momenti un mostro imponente di ferro; l’effetto, tanto suggestivo quanto naturale, è ottenuto con una proiezione sul fondale. Graffianti o infervorati i dialoghi, dove il sogno americano è elegantemente contrabbandato anche nell’omaggio en passant del drammaturgo alla futura moglie Marilyn Monroe.

Una precisazione: malgrado il dramma sociale di Miller si ricolleghi espressamente alla tragedia greca, solo in apparenza le due prospettive convergono. Eddie Carbone non è Creonte, perché l’uomo moderno non è più accecato dagli dei ma dalla sua stessa incapacità di vedere il mondo (anche) attraverso gli occhi degli altri. Potrebbe sembrare una mera questione teologica, pur con conseguenze di notevole portata filosofica... non è così. Lo spostamento del punto di vista dalla divinità all’essere umano ci costringe a prendere maggiormente le distanze dal personaggio, a non pensare che le sue azioni siano manovrate dall’alto; ci spinge, insomma, a essere meno indulgenti e solidali verso il male. Eddie è un egocentrico al limite del fanatismo e il suo atteggiamento può essere solo in parte ricondotto al suo vissuto o alla sua condizione sociale. Se così fosse, tutti gli immigrati rappresentati nel dramma dovrebbero essere ciechi suoi pari; essi rivelano invece un’umanità e complessità straordinarie, restituite appieno da un cast in stato di grazia, in primis Marina Biondi e Lo Monaco. Talvolta contraffatto è parso solo il timbro dell’avvocato Alfieri (Franco Acampora).

Chissà se, guardando alla nostra storia, impareremo a riconoscerci nei nuovi immigrati, a non essere più kapéla, sulle sponde opposte del fiume della vita.

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