Banlieues, i preavvisi della catastrofe
Cosa ci insegna la rivolta parigina dei figli di un dio minore.
Si chiamano banlieues, come dire luoghi banditi, cioè al bando dai luoghi civili, espulsi dalla città. Sono le periferie di Parigi ove si raccolgono i figli di un dio minore, i negletti, i poveri, i non integrati, i senza radice. Sono esplosi senza nessun preavviso, senza alcun segno premonitore. La rivolta ha preso d’assalto le automobili bruciandole ed ha contagiato anche le periferie di altre città francesi. Nell’automobile, questo totem della nostra civiltà opulenta e consumista, è stato individuato il simbolo di una condizione ambita ma negata, di uno status seducente ma irraggiungibile. Per spiegare il fenomeno non c’è bisogno di sospettare l’esistenza di una regia occulta, di un progetto su larga scala concepito centralmente ed ispirato da motivazioni etniche o religiose.
Questi moventi possono esasperare le tensioni, caricarle di una più irriducibile rabbia, ma sono di per sé inidonei a scatenare la ribellione. Essa matura e deflagra sotto l’impulso di detonatori materiali, economici. E’ il disagio economico, l’isolamento sociale, l’essere esclusi dalle luci del mondo che si vede che fa scattare la molla della reazione violenta.
"Ma cosa può sperare un giovane che nasce in un quartiere senz’anima, che vive in un brutto casamento, circondato da altre brutture, da muri grigi in un paesaggio grigio per una vita grigia, con tutto intorno una società che preferisce distogliere lo sguardo e intervenire soltanto quando bisogna incollerirsi e proibire?"
Queste umane e presaghe parole sono di François Mitterrand, il grande dirigente socialista e presidente della Repubblica francese, e risalgono al 1990. Esse contengono l’ammonimento che la sacrosanta esigenza del rispetto della legalità presuppone che la legge, cioè lo Stato, garantisca prima a tutti condizioni minime di una esistenza dignitosa. E’ il degrado delle periferie della metropoli francese che ha covato e quindi generato questa incontrollabile lacerazione della legalità.
E’ vero che la situazione francese ha una sua tipicità non trasferibile in modo automatico altrove. I protagonisti di questo sconquasso pare che siano i giovanissimi rampolli di seconda o terza generazione di immigrati dalle ex colonie francesi.
Ma ciò conferma la diagnosi che il fattore che ha determinato l’insurrezione è il disagio economico-sociale, in una parola esistenziale, in cui vaste moltitudini vivono raccolte ai margini della società. E tale stato di cose non si riscontra solo a Parigi.
Talché il monito di Prodi, che ha paventato il pericolo che anche in altre parti d’Europa, anche in Italia, possa in un futuro non molto lontano ripresentarsi lo stesso scenario, non è affatto da trascurare. Anche le nostre periferie sono in taluni casi il deposito di una umanità sofferente. Una urbanizzazione disordinata, spesso dominata dalla mera speculazione, l’assenza di servizi adeguatamente distribuiti sul territorio, una disoccupazione giovanile prodotta dai selvaggi meccanismi del libero mercato, l’affluenza incontenibile di immigrati non sempre controllabili, tutto ciò converge a creare quelle condizioni di tensione che possono sfociare in episodi di violenza collettiva.
E’ evidente che non basta la repressione. La prospettiva di ridurre le nostre città a campi di battaglia permanenti è terrificante. L’azione politica, l’azione di governo deve mirare a prevenire tali fasi acute di conflitto. Per farlo la via non è quella di ridurre le tasse e lasciare libero corso alla selvaggia privatizzazione dell’economia. Occorre contemperare in modo equilibrato il corso del libero mercato con la funzione sociale della proprietà privata, come previsto del resto nella nostra Costituzione.
Temo di essere, come altri di me più autorevoli, un profeta disarmato. Ma è pur necessario prendere coscienza, ed operare conformemente: il paesaggio è ora dominato in modo vistoso dal dramma delle banlieues di Parigi, ma incombe su di esso l’ombra inquietante della periferia del mondo.
E’ lecito pretendere che i nostri governanti se ne accorgano prima della catastrofe?