Fra Melk e Mauthausen
Riflessioni in margine a un viaggio fra arte e storia.
All’inizio è solo l’idea di un gruppo di amici, di fare un viaggio a Melk, in Austria. I redattori della rivista "Comunità in dialogo" vogliono visitare quell’abbazia benedettina, fondata lungo il Danubio. Medievale all’origine, austera, ma poi cresciuta nel barocco lussureggiante della Mitteleuropa.
Ma che cosa li spinge, oscuramente, a tornare al Seicento? Lo storico americano Charles S. Maier individua un’analogia tra quell’epoca e la nostra. Come un grande dipinto barocco, il secolo XX conserva una luce particolarmente livida, con il suo paesaggio morale contrastato e drammatico. Anche quella, agli albori della modernità, fu "un’era di grandi crociate ideologiche, di conquiste territoriali, di genocidi casuali ma utili, di caccia appassionata all’oro e alla conquista delle anime, di massacri brutali". Furono entrambi secoli "ambiziosi", tesi a riplasmare le coscienze degli uomini. Conflitti di fede, organizzazioni imperiali. Ma anche confronto dell’Occidente con le altre culture mondiali, turche e musulmane, centroamericane, asiatiche e africane. Potenza e gloria, ma anche disprezzo della vita, regressione a una crudeltà impersonale. Melk, sull’altra riva del Danubio, guarda a Mauthausen.
Il progetto iniziale, quasi una scampagnata, si trasforma e cresce. E diventa un viaggio culturale nella storia complessa delle nostre radici. "L’Europa siamo noi…E io chi sono?" richiama per un anno, nel quartiere della Bolghera, in incontri mensili, più di cento persone.
Mauro Avi ne è l’anima, sensibile e colta. "Opinioni di un laico" - titola ogni volta il suo intervento, graffiante, sulla rivista della parrocchia S. Antonio di Trento. Sollecita la stampa locale, coinvolge la circoscrizione e l’assessorato, invita il gruppo musicale Destrani Taraf. I relatori percorrono il cammino dalla preistoria alla secolarizzazione, passando per il mondo greco-romano, la cristianità medievale, la riforma protestante, le chiese orientali e la cultura ebraica. Il dibattito è sempre vivace, teso talvolta. Mauro Avi ripete, senza stancarsi, che l’Europa è una costruzione che unisce molteplici identità. "Città" che non rinunceranno alle loro diversità, ma le faranno incontrare, per metterci, se ne saremo capaci, a disposizione del mondo.
Il Reno e il Danubio nascono insieme, nella Selva Nera. Ma il Reno punta subito a nord, è il fiume della purezza tedesca. Sul Danubio s’incrociano e si mescolano invece genti diverse: è il fiume della Mitteleuropa tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica. Claudio Magris racconta il suo viaggio, "Danubio", nel 1986: "Guardando quest’acqua giovane e sottile del fiume neonato, mi chiedo se, seguendolo fino al delta, fra popoli diversi, ci si inoltra in un’arena di scontri sanguinosi o nel coro di un’umanità nonostante tutto unitaria nella varietà delle sue lingue e delle sue civiltà". Sfilata di campi di battaglia o confederazione solidale di popoli?
Ci sono anche giovani, parecchi, fra i trentini accampati sul battello leggero, che scivola sotto il sole di primavera. Dal fiume osserviamo il verde fiorito dei prati, i paesi che passano, le chiese, i castelli aggrappati alle montagne. I ragazzi non hanno esperienza diretta dell’Ottantanove e del muro caduto, dei confini abbassati, di altri confini innalzati. Né delle guerre e delle violenze successive, inattese, e perciò più crudeli.
Al Passo del Brennero, però, corriamo senza fermarci, e al di là continuiamo ad usare la stessa moneta. Sono numerosi quelli che sanno interpretare, per strada, su un foglio, una scritta in tedesco, o almeno quella a fianco, in inglese.
Daniel ricorda una poesia di Bertrand de Born: nel medioevo i cavalieri francesi e tedeschi gioivano nel troncarsi reciprocamente le teste, e nel piantarsi nei fianchi le picche con gli stendardi. E Chiara ha studiato a scuola la storia della "Rosa Bianca": un gruppo di studenti tedeschi accettarono di morire per opporsi al nazismo, e preparare così un’Europa "civile".
Che il barocco, artificioso e bizzarro, rappresenti nell’arte il brutto e l’impoetico, è un giudizio che noi, italiani, educati da Benedetto Croce, non possiamo facilmente dimenticare. Ma all’apparire dell’abbazia di Melk non ci sentiamo proprio di attribuire lo spettacolo di cupole e di decorazioni ad una caduta di "entusiasmo morale". Al suono dell’organo, durante la Messa, cantata in tedesco, sentiamo vibrare il trionfo, maestoso, della Chiesa cattolica (della controriforma): ad "maiorem gloriam di Dio e degli Absburgo".
E tuttavia quelle rotondità, dolci e levigate, osserva Claudio Magris, "escludono il lato tragico e crudele della realtà, lo smussano e, in tal modo, ne diventano quasi complici, perché lo nascondono e lo dimenticano". Il prezzo di quell’armonia, la grandezza ecumenica del cattolicesimo, è il dominio imposto dall’Europa, centro del mondo, agli indios e agli schiavi delle periferie sfruttate.
Nel vicino monastero di Sankt Florian, però, Claudio Magris scopre un quadro di Albrecht Altdorfer: sotto un cielo tragico e incendiato una donna pesta brutalmente un giovane martire, e il suo bambino partecipa con piacere al linciaggio. Questa violenza, stupida e bestiale, la morte che si infiltra nello splendore barocco, ci introduce alla ferocia del male, ottuso e banale, del campo di sterminio.
La prima volta che venni a Mauthausen un distinto signore, trentino, scese dal pullman, ma non venne nel campo con noi: lui non credeva a quelle sciocchezze (disse "monade", per la precisione). Eppure il giorno prima, a Vienna, aveva ammirato con competenza il duomo di Santo Stefano, e a Salisburgo si era commosso entrando nella casa natale di Mozart. Ricordo anche un mio studente, di Riva del Garda, che alla fine della scuola, prima di lasciarci, mi consegnò, tratto da Internet, un fascicolo che negava la Shoah: quella era la sua verità, mi disse, dopo tre anni che insieme avevamo studiato la storia.
Capii un poco alla volta, da insegnante, che Hitler non era un pazzo, né una bestia. Era un uomo come noi. Fuehrer, dittatore, certamente, ma soprattutto Verfuehrer, un seduttore capace di attrarre i giovani, entusiasti di uccidere e di morire per lui.
Ci fermiamo davanti al monumento degli italiani. Scorriamo il nome dei trentini: di don Narciso Sordo ci viene raccontata brevemente la storia. Leggiamo la lettera del deportato Tullio Degasperi, operaio di Ala, partigiano: "Cara Lina, se riceverai questa mia vuol dire che sono già partito. Poiché mi rivolgo a te che sei la mamma dei miei bambini per raccomandarteli tanto tanto. Se per caso è destino che non ritornassi saprai tu il dovere che ti spetta".
Ma la sconfitta del nazifascismo, e la nascita della nuova Europa, incominciano già lì, con la resistenza, nei campi dello sterminio. Rudolph Hoess, il comandante di Auschwitz, racconta che una giovane donna, sulla soglia della camera a gas, gli dice, sprezzante, che non ha voluto farsi selezionare, come avrebbe potuto, per seguire i bambini che le erano stati affidati, e poi entra sicura, con loro, nella morte.
Sul pullman del ritorno il rapporto fra noi cresce in franchezza. Un signore, dopo aver visitato Mauthausen, si dichiara perplesso sulla "resistenza": la violenza è sempre cattiva, dice, e poi c’erano i comunisti, e poi nessuno parla dei gulag. Nella discussione trovo un alleato in don Vittorio, che cita il coraggio e le parole di un partigiano cattolico come Teresio Olivelli. Ma il signore non si dà per vinto: l’Europa unita è un’illusione, o un pericolo. Anche l’Onu, se troppo forte è una minaccia, se troppo debole è del tutto inutile.
Con i ragazzi ho discusso di storia, e di politica, una vita intera. Ma lo scetticismo, crudo, di un adulto, riesce ancora a mettermi in difficoltà. Per fortuna Chiara e Daniel, i due ragazzi innamorati, sono sul pullman n.2.