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Buchteln, addio!

La crisi del commercio a Bolzano.

Un’altra pasticceria ha chiuso i battenti a Bolzano. Una delle più amate dai bolzanini. Infatti da qualche decennio una famiglia proveniente dal Renon (al forno c’era prima il padre e poi il figlio e madre e figlia invece al banco) ha offerto dolci tradizionali: strudel di mele e di noci, e secondo le stagioni, di albicocca, di ciliegie, di prugne, di ricotta; torte semplici, krapfen di carnevale, maialini di marzapane per capodanno, le galline e i coniglietti di pasta dolce per pasqua. Anche i sacchetti rossi di San Nicolò erano perfetti, fatti di dolci vari, in sapiente mescolanza, adatti dunque ai bambini, che non possono mangiare solo cioccolatini. E poi paste, torte per tutte le occasioni, anche su ordinazione, e biscotti, anch’essi secondo i tempi dell’anno.

I Buchteln.

Non c’era festività senza un particolare dolce, e quando non si poteva o si era stufe di farlo a casa, eccolo pronto, fatto secondo le vecchie ricette. Fra le altre cose, difficili da trovare altrove, c’erano i Buchteln, un dolce da the, fatto di pasta lievitata e addolcita con poca marmellata di albicocche. C’era anche chi andava a farci colazione, naturalmente, anche perché era stato uno dei primi locali, tantissimi anni fa, a vietare il fumo, accusato di rovinare il sapore delle paste alla crema, ma soprattutto era un luogo dove i dolci si acquistavano e portavano a casa o magari qualche volta in ufficio, negli ultimi anni, in cui è invalsa l’abitudine di festeggiare le ricorrenze con i colleghi e le colleghe.

La malinconia ha preso molte clienti affezionate, che l’ultimo giorno hanno approfittato della vendita, per l’ultima volta, di tante dolcezze peccaminose per la linea e il livello della glicemia.

Qualche giorno dopo, il mattino presto, un’anziana signora passeggiava ancora davanti alla porta del locale, in attesa dell’apertura. Dopo un po’, a passetti lenti, cercava di scrutare tra i fogli di carta che chiudevano le vetrine, per capire ciò che stava accadendo. Eppure non era lunedì, giorno di chiusura, tanto che la domenica sera le paste e le torte venivano vendute a prezzi ridotti, e la clientela incoraggiata a portarsi a casa più di quanto era in grado di consumare. La vecchietta dopo un po’ ha capito e si è allontanata incredula. Ormai dei vecchi caffè non rimane che Streitberger, in via Museo, il resto è andato.

I nuovi bar a Bolzano pullulano, tanto che i gestori hanno cominciato a lamentarsi per la mancanza di limiti al rilascio delle licenze, ormai la clientela è famigliare o amicale, se si entra in un bar a caso si rischia di sentirsi estranei, perché non si fa parte del gruppo. Il moltiplicarsi non ha portato un grande benessere. La crisi piano piano sta colpendo anche qui, dove un edificio nuovo in centro storico, di mediocre qualità architettonica, viene offerto in questi giorni a 7.500 euro al metro quadro. Bolzano ha fatto piazza pulita della sua immagine tradizionale (dai Portici sono spariti tutti i negozi vecchi, o sono ridotti a poco, come la vecchia merceria di Lanzenbacher), e affitta e vende allegramente i suoi spazi in vista, a prezzi da capogiro. Solo che ultimamente le cose non vanno più come fino a poco fa. Le catene di vestiti che hanno preso in affitto spazi dei Portici a 20.000 euro al mese, soppiantando i vecchi negozi, sono in difficoltà, e cercano una via d’uscita. Sul giornale della domenica gli annunci di appartamenti in vendita sono sempre gli stessi da mesi, e l’affanno con cui gli assessori comunali progettano nuove zone di espansione non sembrano corrispondere ai bisogni della città, ma a una reazione tardiva al blocco edilizio dell’era Benedikter, ormai conclusa da quindici anni, o ad altri e meno confessabili motivi.

La crisi del commercio intanto colpisce prima di tutto le persone più deboli: le commesse vengono giostrate fra negozi di alimentari delle uniche due catene ammesse dalle strane regole provinciali, e costrette a lavorare nei negozi aperti anche nei giorni festivi, senza che a ciò corrispondano trattamenti economici e normativi più favorevoli.

Anche in questo caso la voce della giunta comunale è appiattita su quella dei commercianti. E mentre fino a qualche mese fa la crisi dell’industria era solo una notizia nel telegiornale regionale, ma nei servizi dei giornalisti trentini, ora anche nella zona industriale qualcosa comincia a scricchiolare. I piani per il futuro della zona industriale sulla base delle esigenze odierne si sono fermati sulle pagine del Lerop, il piano di sviluppo ormai risalente al 1994 e mai preso seriamente in considerazione. Al posto delle vecchie industrie che hanno chiuso sono sorti enormi edifici, con enormi uffici vuoti, con costi folli per il riscaldamento e di cui non si conosce bene l’utilizzo.

E spunta la domanda: il sistema costruito a difesa dei privilegi dei commercianti del centro, di categorie chiuse come le caste indiane e di una concezione burocratica dell’equilibrio etnico, reggerà ad una crisi vera? O non sta diventando esso stesso un fattore di crisi?