De Gasperi fra Dio, Patria e Famiglia
Scorrevole e professionale realizzazione dello sceneggiato televisivo su De Gasperi. Il livello? Quello da fiction da prima serata...
Le fiction di Rai Uno, negli ultimi tempi, hanno saputo comunicare in modo molto preciso l’indirizzo che si è voluto dare alla televisione di Stato. La morte del papa ha fornito l’occasione per mostrare nella sua evidenza quantitativa il profluvio di telefilm legati alla religione o alle vite dei santi; su controverse vicende della seconda guerra mondiale (le foibe, Cefalonia) si sono realizzate opere audiovisive che hanno reso più noti questi episodi, con il fine dichiarato di solleticare, alla Ciampi, l’orgoglio nazionale dello spettatore; altre fiction a puntate hanno successo nel raccontare dall’interno le vicissitudini quotidiane delle famiglie italiane. In sintesi, quindi, si può dire che la produzione e la programmazione di Rai Uno sono all’insegna del trinomio Dio, Patria e Famiglia - tutto scritto con le dovute maiuscole di rispetto.
In questo contesto, "De Gasperi. L’uomo della speranza" trova una collocazione perfetta. Come nei buoni racconti cinematografici, l’incipit della fiction sull’uomo politico trentino contiene una dichiarazione programmatica che sarà poi sviluppata nelle tre ore successive. I primi tre minuti, sotto i titoli di testa, sono divisi in soli quattro piani di ripresa. Il primo parte da un crocifisso, si sposta su una fotografia della famiglia De Gasperi e poi va a inquadrare le carte che Alcide sta riponendo in uno scatolone, alla fine del suo percorso politico. Il crocifisso, la foto, gli strumenti del suo lavoro di statista: Dio, Famiglia e Patria. La vita di De Gasperi è posizionata all’interno di questo triangolo virtuoso.
La macchina da presa stacca quando De Gasperi guarda fuori dalla finestra. Vediamo la chiesa di piazza del Gesù. Poi un carrello all’indietro accompagna il leader politico mentre esce dalla sede di partito e va a trovare la figlia suora per dirle del suo abbandono delle scene. La narrazione si sposta quasi subito in Val di Sella.
Si inizia quindi dalla fine. La biografia sarà raccontata in flashback. Tra le montagne del Trentino De Gasperi parla della sua vita con il nipotino Giorgio. La scelta del flashback semplifica il lavoro di scrittura e autorizza la regia a legare tra loro gli episodi della Storia italiana con una voce fuori campo, quella dello statista che si rivolge al bambino.
"L’uomo della speranza" è un film in due puntate per una prima serata televisiva, per cui la scelta di raccontare la vita di De Gasperi sotto forma di dialogo con un bambino di sei anni circa va letta sotto una duplice valenza. Se la prendiamo per il verso buono, si può dire che la regista Liliana Cavani e i suoi sceneggiatori hanno voluto, attraverso la figura del bambino, dare al loro lavoro un tono pedagogico, nella presunzione che un film-tv su un personaggio politico debba per prima cosa riuscire a farsi seguire senza sforzi da tutti. Per il verso cattivo, la scelta può richiamare alla mente una frase del Berlusconi imprenditore: lo spettatore televisivo di riferimento va tarato su "un bambino di dodici anni, e nemmeno troppo intelligente". Il film della Cavani, con questo indirizzo un po’ scolastico, costringe la narrazione a tempi veloci, a sorvolare in modo superficiale alcuni dei momenti più drammatici della storia d’Italia, a diventare a tratti sentimentaloide, a presentare in modo macchiettistico gli altri grandi personaggi della politica del Novecento. Ma sono difetti che un film su un soggetto così difficile non può risparmiarsi.
L’apporto (tiepidamente) critico di una regista di sinistra come Liliana Cavani non si rivolge mai direttamente alla figura di De Gasperi, eletta a paradigma. Si limita invece all’ampio spazio dedicato alla ferma resistenza del presidente del consiglio di fronte alla pressante richiesta del papa e delle gerarchie ecclesiastiche per un accordo con la destra monarchica e missina alle elezioni comunali di Roma del 1952. In questo "rimpianto", il film riecheggia quello che è già un luogo comune della sinistra riformista: la Democrazia Cristiana, con tutti i suoi difetti, era riuscita a svolgere un ruolo di mediazione laica tra lo Stato e la Chiesa (citazione testuale del recente discorso trentino di Massimo D’Alema).
Liliana Cavani ha voluto quindi fornire attraverso l’idealizzato ritratto di De Gasperi una descrizione della politica "così come dovrebbe essere": cioè fatta, un po’ retoricamente, di dirittura morale, capacità di distinguere tra pubblico e privato, spirito di sacrificio e volontà di servizio. Solo così intesa, la politica può conquistarsi l’affetto del popolo. Ma come ci dice il nipotino Giorgio, questa della DC - e forse anche della Politica con la P maiuscola - è una storia "che non finisce bene".
Se si guarda a "L’uomo della speranza" come una fiction da prima serata di Rai Uno (cosa diversa da un saggio storico o da un film da festival), non si può che dire che la narrazione scorre, la regia è professionale, le interpretazioni suono buone - soprattutto quella dimessa, dall’inflessione dialettale, del protagonista Fabrizio Gifuni. "L’uomo della speranza" riesce a svolgere quindi il suo compito divulgativo. Non era facile realizzare un film tanto migliore trattando una figura anti-spettacolare e complessa come quella di Alcide De Gasperi.