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QT n. 6, 25 marzo 2005 Quindici giorni

Questotrentino e l’on. Fontan

La Cassazione ribadisce il diritto di critica: QT, definendolo "peggio dei razzisti" non diffamò l'on. leghista Rolando Fontan.

Riteniamo di dover far conoscere ai nostri lettori la sentenza che la Corte Suprema di Cassazione ha pronunciato il 19 gennaio scorso assolvendo in via definitiva il nostro direttore Ettore Paris dall’accusa di diffamazione in danno dell’on. Rolando Fontan.

Ciò facciamo non per marcare un pur legittimo compiacimento per il felice esito di una vicenda che ci ha procurato spese ed apprensioni, ma perché la sentenza contiene l’affermazione di importanti principi che garantiscono alla libera stampa il diritto di criticare i personaggi che ricoprono ruoli politici.

I fatti risalgono alla campagna elettorale del 2001. Ettore Paris scrisse un articolo, sotto il titolo Le pagelle ai parlamentari, contenente brevi schede valutative dei candidati alle elezioni politiche. La valutazione dell’on. Fontan (Lega Nord) non era, fra tutte, la più severa. E tuttavia egli fu l’unico ad insorgere presentando querela per diffamazione, costituendosi parte civile e pretendendo una somma enorme a titolo di risarcimento del danno, affermando che la sua trombatura era stata causata da quell’articolo.

Magari avessimo una così grande influenza!

Il 20 maggio 2002 il Tribunale di Trento assolveva il nostro direttore "perché il fatto non sussiste". Fontan allora promuoveva appello, ma anche la Corte di Appello di Trento, con sua decisione del 19 novembre 2003, confermava l’assoluzione. Con cocciutaggine degna di miglior causa, Fontan proponeva ricorso in Cassazione, con il risultato finale di provocare la sentenza che qui pubblichiamo perché ribadisce principi preziosi per la nostra democrazia.

In sintesi, ed in termini più accessibili di quelli usati dal relatore - consigliere Rotella - in essa si afferma che la critica agli uomini politici trova il solo limite della insindacabilità della loro vita privata.

Tutto quanto, anche di personale, attiene alla loro vita pubblica è suscettibile di essere legittimamente criticato, anche in forme aspre ed estreme. E ciò perché l’uomo politico "si espone pubblicamente nell’espletare il mandato… In tal misura egli stesso chiede alla collettività una valutazione non solo delle sue idee, ma anche della sua sincerità nel rappresentarle e della sua probità nell’attuarle". Sincerità e probità sono per certo attributi personali, ma quando riguardano le manifestazioni pubbliche dell’uomo politico, sono oggetto di critica legittima.

L'on. Rolando Fontan.

E’ esattamente ciò che aveva fatto Ettore Paris scrivendo di Rolando Fontan e degli altri candidati. Ma non aveva espresso alcuna riprovazione circa comportamenti rientranti nella sfera privata del parlamentare leghista. Aveva severamente denunciato il suo modo di professare le già di per sé deprecabili idee del suo partito, la Lega Nord.

Tale principio, ribadito dalla sentenza di cui pubblichiamo ampi stralci, non è nuovo. Era già stato affermato da precedenti decisioni. Ma Fontan non ne ha tenuto conto ed ha presentato incautamente querela, obbligando i giudici di ben tre gradi di giudizio ad occuparsi della sua infondata lagnanza; e mettendo Paris nella scomoda posizione di imputato e nella gravosa necessità di pagarsi l’avvocato.

Sarebbe giusto che Fontan, pentendosi della sua irragionevole ostinazione, si disponesse a ripianare il danno cagionato.

La sentenza. "La Corte di Trento ha confermato l’assoluzione del Tribunale in data 20 maggio 2002 del direttore del periodico Questotrentino, Ettore Paris, quale autore dell’articolo "Le pagelle ai parlamentari", contenente brevi schede valutative dei candidati alle elezioni, dal reato di diffamazione a mezzo stampa dall’on. Rolando Fontan con la scheda a lui riferita, perché il fatto non sussiste.

La scheda reca: ‘Come da stile della casa madre, [Fontan] usa sempre un’estrema violenza verbale: anche nelle cose più tecniche, come ad esempio nel contrastare la riforma elettorale, naturalmente per basse ragioni di bottega (l’esigenza dei leghisti di potersi indifferentemente alleare a destra o sinistra). Figuriamoci poi quando ha affrontato i temi caldi del leghismo: secessione, intolleranza, razzismo. Ruoli orrendi, parole rozze e violente, interpretate con diligente precisione, con freddezza da ragioniere. Infatti, perfetto apparatnik leghista, di suo non è né un razzista né un naziskin; è peggio, per il posto al sole assicurato dalla carriera politica: di professione attizza l’odio nella popolazione’.

La sentenza motiva che nella specie si tratta di diritto costituzionalmente garantito di critica politica, da parte di un organo di stampa politicamente impegnato, per quanto nell’articolo si adottino argomenti altrimenti lesivi della reputazione. (…)

Per consolidata giurisprudenza, nel contesto politico è consentita estrema polemicità e perciò una dilatazione dell’ambito di continenza, salvo offensività intrinseca dello stesso linguaggio adottato, indipendentemente dal contesto. In tal caso, difatti, la polemica non trova giustificazioni, perché le locuzioni si sottraggono a qualsiasi parametro, risolvendosi nell’offesa apodittica dei valori fondamentali della persona. (…)

Va rilevato che la censura dell’uomo politico trova il suo parametro nel come egli si espone pubblicamente nell’espletare il mandato o, in competizione con altri, per ottenerlo. In tal misura, egli stesso chiede alla collettività una valutazione non solo delle sue idee, ma anche della sua sincerità nel rappresentarle e della sua probità nell’attuarle, e perciò di ragioni inscindibili da manifestazioni personali.

Insomma, nel caso di critica politica, il limite di adozioni che investano la persona si correla a quanto è estraneo alla disputa e coperto da riservatezza, onde sono sottratte alla polemica solo le convinzioni e le attitudini che l’uomo politico non pone pubblicamente in discussione con il suo comportamento e non offre al giudizio degli elettori quale ragione di scelta della sua persona a preferenza di altre.

La sentenza impugnata sottolinea che quanto Paris ha scritto circa Fontan serve solo alla scelta elettorale e motiva: ‘la scheda valutativa esprimeva enucleazioni concettuali e giudizi di sintesi strettamente collegati alle visioni del partito di appartenenza e mirava a rappresentare… come ciascun uomo politico le avesse personalmente interpretate e vissute nella sua esperienza parlamentare e politica’. (…)

L’opinione espressa da Paris può essere erronea e, all’evidenza, è di estrema vis polemica, come riconosce la sentenza proprio parlando di iperbole o artificio retorico. Ma tanto non esclude la causa di giustificazione e, per quanto qui interessa, risultando l’opinione espressa valutata correttamente in linea di principio e ragionevolmente in punto di fatto, dal Giudice di merito in doppio grado, nel rispetto del limite proprio dell’esercizio del diritto di critica politica, è insuscettibile di alternativa in sede di legittimità.

Per questi motivi

Rigetta i ricorsi e condanna la P. C. ricorrente, Rolando Fontan, al pagamento delle spese del procedimento".