Le Dolomiti “monumento del mondo”?
Una nuova farsa all’italiana, e una nuova figuraccia nei confronti dell'Unesco.
Le Dolomiti, le rocce dei poeti, rocce di ispirazioni profonde, rocce che richiamano eleganza, nella forma, negli slanci e quindi nell’arrampicata: un contrasto netto con i grandi spazi delle montagne delle Alpi Centrali e Occidentali, montagne che pretendono determinazione, forza, anche aggressività.
Sono trascorsi quindici anni da quando Mountain Wilderness elaborò la prima proposta di dichiarare le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO. Oltre dieci dall’estate del 1992, quando a Cortina d’Ampezzo l’associazione assieme a Lega Ambiente ed S.O.S. Dolomites in soli tre giorni raccolse oltre 12.000 firme a sostegno dell’iniziativa. Nel 1998, su impegno del Ministero dell’Ambiente, la proposta era definita nei confini e nei contenuti, pronta ad essere presentata a Parigi presso l’UNESCO. Il progetto partiva dalle Dolomiti del Brenta per raggiungere quelle trentine orientali, comprese le piccole Dolomiti a Sud, si estendeva nel Veneto, fin nel cuore della foresta del Cansiglio per risalire le Dolomiti friulane, entrare nel cuore del Cadore, dell’Ampezzo, le vette Feltrine ed i Monti del Sole, l’Agordino, per poi racchiudere nella provincia di Bolzano l’Alpe di Siusi, il Catinaccio, le Odle, le dolomiti di Sesto. Su questo estesa ed affascinante iniziativa cadde il gelo, il niet del governatore dell’Alto Adige, Luis Durnwalder : "La provincia di Bolzano non ha bisogno di tutele suppletive, nelle Dolomiti abbiamo già istituito i nostri parchi".
Mai Durnwader si è degnato di spiegare di quali tutele suppletive parlasse, mai si è confrontato con altri sui dubbi che lo tormentavano: solo dopo si è capito che dell’argomento sapeva ben poco.
Tutto si fermò, e poco tempo dopo a confusione si aggiunse altra confusione, con la impercorribile e demagogica proposta del Club Alpino Italiano di tutelare tutte le Alpi, con quella, sempre del CAI, di inventare, in totale assenza di accordi internazionali, le "Alpi patrimonio dell’Europa" (convegno di Bressanone, anno 2000), e con quella di dividere le Alpi in tre grandi aree da dichiarare Monumenti del Mondo; tutti passaggi che miravano a prendere tempo, a mantenere alto il clima dell’indecisione, ad alimentare confusione e quindi rendere impossibile qualunque decisione.
Durante questi anni solo Mountain Wilderness International ha mantenuto fermo il proposito e il disegno originario. L’estate scorsa il problema è ritornato all’attenzione della grande politica grazie alle sollecitazioni dei giornali che fantasticavano sulle Dolomiti che si sfasciavano, sui crolli di pareti rocciose, con giornalisti alla ricerca di titoli forti, di sollecitazioni che rivelavano impreparazione e totale ignoranza della montagna e del vivere la montagna.
Nello scorso autunno in Trentino partiva la proposta di un nuovo progetto sull’argomento, che veniva affidato alla ricerca di un gruppo di esperti, una proposta che doveva reggersi su forti contenuti scientifici e culturali (attraverso il Museo di Scienze Naturali). Finalmente la burocrazia e l’ambito politico lasciavano posto alla scienza e alla cultura, finalmente un eventuale progetto poteva essere condiviso dall’associazionismo e discusso nelle vallate dolomitiche, nei Consigli comunali, nei diversi paesi interessati.
Nel Veneto e nel bellunese, come sempre, si attendeva il lavoro degli altri. A Bolzano, Durnwalder storceva ancora la bocca e in suo soccorso arrivava la genialità del grande alpinista Reinhold Messner: "Tuteliamo solo le rocce: negli altri spazi dolomitici la gente deve vivere, ci deve essere sviluppo, altrimenti la montagna si spopola".
Poco meno di due mesi fa gli assessori alla cultura delle regioni interessate (Veneto, Friuli, Lombardia, Trentino e Alto Adige) venivano convocati presso il ministero ai Beni Culturali a Roma e lì veniva deciso di procedere con la proposta e di definirla entro l’autunno, affinché l’UNESCO potesse inserire le Dolomiti nei Patrimoni dell’Umanità entro la fine dell’anno.
Al Ministero le idee erano confuse. Le questioni della tutela della natura e del paesaggio non sono certo il piatto forte della cultura della destra italiana. Eppure, proprio al ministero ancora oggi è presente tutta la documentazione elaborata dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali della Regione Veneto del 1997-1998, un progetto chiaro, ricco di proposte scientifiche, culturali e ambientali.
Ben pochi hanno capito cosa ci stesse a fare la Lombardia in quel tavolo: con non poco sconcerto si viene così a sapere che al ministero allargavano le Dolomiti fino a tutto l’arco alpino centrale. Si rimaneva fedeli alla proposta di dividere le Alpi in tre grandi zone? O forse si volevano inserire nel disegno le lontane Grigne, senz’altro straordinarie cime dolomitiche, però chiamate a dominare il lago di Lecco e non a cullare Cortina d’Ampezzo?
La riunione porta frutti deboli, acerbi. Anche grazie all’avallo degli assessori di governi di centro-sinistra (Trento e Belluno) si decide di dividere le Dolomiti in aree di eccellenza, cioè di tutelare quanto in teoria dovrebbe essere già tutelato, i parchi nazionali e provinciali. Tant’è che in Trentino il Museo di Scienze Naturali viene esautorato del compito della ricerca e la giunta provinciale affida il lavoro al coordinamento dei tre assessorati, cultura, turismo e ambiente e per la parte scientifica si coinvolge la rete dei caposervizi delle strutture provinciali. Tutto il progetto di coinvolgimento della società civile e dell’associazionismo viene così azzerato in una sola giornata e con una delibera.
In Alto Adige Durnwalder ovviamente accettava la proposta, era la sua del 1998: in pratica, come auspicato anche da Messner, si tutelano solo le rocce, quanto risulterà inaccessibile al normale cittadino e nei fondovalle, o nei boschi, si potrà continuare ad incidere, consumare territorio e paesaggio, costruire uno sviluppo che alla fine riversa i suoi effetti negativi fino sulle più alte vette (Marmolada, Campiglio, Val Gardena e Plan de Corones, Tofane e Civetta). Anche Durnwalder in questi giorni, seguendo l’esempio di Trento, ha incaricato gli uffici della Provincia di elaborare la proposta.
Ma Durnwalder si spinge oltre: afferma esplicitamente che si dovrà tutelare sì l’ambiente (le rocce ovviamente), ma si dovrà lasciar perdere il capitolo relativo alla tutela culturale del patrimonio dolomitico. Uno schiaffo rivolto all’UNESCO, al significato importante di patrimonio dell’Umanità di un bene territoriale, uno schiaffo rivolto anche ai cittadini che amano la montagna e alle vallate ladine, peraltro nemmeno accortesi dell’accaduto.
Nel Bellunese la situazione è ancor più confusa. Troviamo il pieno assenso del nuovo governatore della Provincia, Sergio Reolon (centrosinistra), disposto anche ad allargare la proposta ministeriale. Ma vi si oppone, minacciando addirittura un referendum, l’assessore regionale veneto al Turismo, Floriano Prà, albergatore di Caprile, il fautore del nuovo assalto impiantistico alla Marmolada, clamorosamente sconfitto nella campagna elettorale delle elezioni provinciali proprio da Reolon.
Come si vede, la situazione ha dello schizofrenico. Da alcuni passaggi avuti presso tanti amministratori pubblici si coglie come questi non abbiano alcuna conoscenza del significato della tutela dell’UNESCO, cosa significhi una area tanto vasta dichiarata Patrimonio dell’Umanità. Inventano inesistenti rischi di blocco dello sviluppo, si appellano solo all’investimento pubblicitario gratuito che una simile iniziativa inevitabilmente comporta, nulla conoscono della parte di progettazione relativa alla riqualificazione ambientale o alla difesa delle minoranze culturali e linguistiche del territorio, delle specificità urbanistiche e paesaggistiche, della difesa della biodiversità.
Ora ci si chiede anche che fine faranno le Dolomiti di Brenta. Nel Trentino rappresentano il complesso montuoso dolomitico più vasto, imponente e di grande spettacolarità: nel precedente progetto erano incluse, in questa operazione sono dimenticate.
Se questo è il contorno del progetto che sarà presentato all’UNESCO, ancora una volta l’Italia uscirà umiliata. In Italia attualmente, dei siti tutelati, solo due hanno valenza territoriale ampia e paesaggistica: le Isole Eolie e, in modo confuso, le Cinque Terre. Le ultime realtà inserite, i Monti Sacri del Piemonte e la città di Ferrara, vengono pubblicizzati con orgoglio dalle amministrazioni interessate, senza alcun timore verso le tutele dell’UNESCO. Tante altre realtà fanno soffrire i tecnici di Parigi, tanto da portarli ad escludere la possibilità di accettazione di una qualunque nuova proposta di tutela arrivi dall’Italia, che pure vanta vanta il maggior numero di situazioni tutelate.
L’UNESCO da tempo sta aspettando di poter inserire nella grande lista solo le Dolomiti, ma non accetta e non accetterà un territorio frantumato in decine di francobolli, un territorio spezzatino all’interno del quale solo alcune isole saranno protette. In altri ambiti invece, formati da laghi, fiumi e torrenti, da foreste e pascoli d’alta quota, sembra si possa impunemente passare con autostrade (Valdastico o Alemagna), o con impianti che cancellano torbiere, endemismi botanici, zone archeologiche di rilevanza internazionale come accaduto e accadrà in Val Jumela, in Val Brenta, ai laghi di Colbricon, attorno al monte Pelmo o nell’Alpe di Siusi. Le Dolomiti Monumento del Mondo sembrano avere un solo destino: un’etichetta pubblicitaria per attirare ancora turismo di quantità.