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QT n. 22, 24 dicembre 2004 Cover story

“Avvenire”, o il senso della catastrofe

Il mondo odierno nella drammatica visione del quotidiano dei vescovi.

Ad Avvenire io guardo con riconoscenza. Il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, è stato il primo quotidiano nel quale, a vent’anni, mi sono imbattuto. E lo trovavo difficile, come deve succedere ad un giovane, seppure studente universitario, che incomincia a leggere un giornale con continuità. Furono gli articoli di Raniero La Valle, Piero Pratesi, Giancarlo Zizola, Italo Moscati, Sandro Zambetti, che mi introdussero al dibattito politico e culturale. E religioso: quelli erano gli anni del Concilio Vaticano II. Dopo una lettera, critica verso una recensione, venni invitato a scrivere un articolo su Clemente Rebora, il poeta della mia tesi di laurea, nel decennale della scomparsa. L’articolo venne pubblicato in un inserto domenicale accanto a quelli di Carlo Betocchi e AlfeoValle.

La battaglia di Lepanto.

Poi, per alcuni mesi, nel 1968, raccontai sul giornale le mie prime esperienze di insegnante, in una scuola media del Veneto, a Possagno del Grappa, il paese di Antonio Canova. Spedivo i miei fogli per posta, scritti a mano. Il giornalemi mandava, da conservare, tre copie di ogni articolo pubblicato, accompagnate, incredibilmente, da un assegno di diecimila lire.

Da allora, di scuola, ma anche di religione, di cultura, e di politica, avrei scritto per tutta la vita. Non però su Avvenire. La direzione era stata sostituita, perché troppo "conciliare". I vescovi italiani, infatti, tranne poche eccezioni, al concilio erano schierati con la minoranza conservatrice, e non sopportavano quindi un "organo" aperto e pluralista. La Valle e Pratesi, nel 1976, verranno eletti in Parlamento, come indipendenti di sinistra nelle liste del Pci. Quegli "utili idioti" ebbi occasione di conoscerli personalmente, e apprezzarli.

Avvenire, sempre più lontano, rimase però per me il giornale su cui avevo imparato, quasi contemporaneamente, a leggere e a scrivere. Per questo ho accolto con sorpresa, e con piacere, la telefonata dalla redazione che mi annunciava un abbonamento per tre mesi. Sto così scoprendo, dall’interno, quali pensieri si elaborano, e si diffondono, fra i cattolici più fedeli. Cioè il punto di vista da cui si guarda sul mondo, forse, anche nella Curia di Trento, dal vescovo, dai preti, dai laici più attivi.

A dominare, direi, è il senso della catastrofe, in cui sono coinvolti il mondo, e il cattolicesimo. Emarginata, quasi perseguitata, appare la religione. Il caso di Rocco Bottiglione, respinto dall’Unione Europea, ha liberato indignazioni, lamenti, paure. Ho anche scritto una lettera, non pubblicata (finora), al direttore, Dino Boffo, per esprimere il mio dissenso (Lettera all'Avvenire).

Che cosa non accetta ancora Avvenire, enon sa darsi pace, all’inizio del terzo millennio? Direi la secolarizzazione, quel processo che ha reso lo stato più laico, ed ha emancipato la coscienza degli individui (degli agnostici, degli atei, ma anche dei credenti), dalla tutela ecclesiastica. E’ palpabile la nostalgia del paradigma rassicurante che è stata la cristianità medievale. Non si vuole ammettere che quel dio, all’uomo moderno, adulto, appaia un "tappabuchi", di cui liberarsi, perché inutilizzabile per rispondere alle domande, inedite, di oggi.

Ma poiché, nella sua grandiosità di certezze e di sicurezze, lo riconosce ormai anche la Chiesa, quell’epoca non tornerà, il dovere è oggi di salvare il salvabile.

La Chiesa si vive, e si presenta, come l’unica istituzione capace di difendere quel "minimo di eticità" indispensabile alla condizione degli uomini, in ambiti come l’intangibilità della vita umana e la difesa della famiglia tradizionale. Poiché è la destra culturale e politica, quella di Silvio Berlusconi e George W.Bush, che dichiara, con solenni pronunciamenti, di fare riferimento a questi "valori", pare naturale alla Chiesa simpatizzare per essa. Ne vengono, in cambio, leggi, riconoscimenti, finanziamenti.

Passa in secondo piano, o viene attribuito alle durezze contingenti della storia, il fatto che sul terreno dell’economia, della pace e della guerra, dell’immigrazione, del rispetto dell’ambiente, la destra teorizzi e pratichi politiche poco conciliabili con i valori cristiani. Si può persino dissociarsi su una questione particolare, ma senza mettere in discussione la scelta generale, profonda.

Cesare Cavalleri, direttore della rivista Studi Cattolici.

Un solo esempio. Cesare Cavalleri, direttore della rivista Studi Cattolici, è collaboratore autorevole di Avvenire. Così commenta, il 24 novembre, un’ordinanza ecologica: "E’ sconcertante la pedagogia delle leggi a cui il cittadino deve sottostare. Abbiamo il diritto di uccidere praticando o consentendo all’aborto, ma se si usa l’auto in una domenica ecologica fiocca subito la multa. Chi accende una sigaretta al ristorante è considerato un pericoloso attentatore della salute altrui, ma per una madre che uccide il figlio che porta in grembo si trovano tutte le attenuanti, quando non la si propone come modello della libertà di pensiero".

Dei tempi moderni, in cui Dio lo ha chiamato a vivere, Cavalleri non riesce ad accettare che uno Stato laico, nella sua legislazione democratica, debba rispettare il pluralismo etico, distinguere l’etica dal diritto, garantire le condizioni di una pluralità di progetti di vita.

Il cardinal Camillo Ruini.

Nell’introdurre il recente Forum del "Progetto culturale della Chiesa italiana", il card. Camillo Ruini intravede uno spiraglio nel buio dell’individualismo, del nichilismo, del relativismo.

Scrive Mimmo Muolo, su Avvenire del 4 dicembre, che dopo l’11 settembre "il risveglio identitario dei popoli islamici" ha provocato, di riflesso, "il risveglio identitario delle nazioni di matrice storica e culturale cristiana". In questo c’è un rischio, "che la fede cristiana venga strumentalizzata e ridotta a ideologia", e un’opportunità: "mostrare la plausibilità della proposta cristiana nel contesto odierno".

Giuliano Ferrara.

Su la Repubblica, Marco Politi rende più esplicita la scelta a cui si sta orientando in Italia la Chiesa. Il "risveglio d’identità", questa è la novità inattesa, avviene "sia a livello di popolo sia in una parte significativa della cultura laica". Il cardinale, presidente della Cei, propende per l’opportunità. Lo schierarsi al fianco della Chiesa da parte di Marcello Pera, Giuliano Ferrara, Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Pierluigi Battista (gli "atei cristiani" all’assalto, li ha chiamati Piergiorgio Cattani sul n.19 di Questotrentino), "è un’occasione perchè il cristianesimo offra alla società moderna una visione della vita e dei fondamentali valori etici che forniscano la base dell’identità delle nostre nazioni". Per ridimostrare, dell’"etica cristiana", secondo Avvenire, la "plausibilità", anche nei tempi moderni.

Che il problema sia serio lo dimostra un episodio. Per preparare questo numero di QT sul tema della religione in Trentino, si sono trovati a discutere il direttore, Ettore Paris, e don Marcello Farina. Io li ho ascoltati, quei due "laici", uno credente, l’altro ateo. Certo hanno parlato del vescovo mons. Bressan, del vicario don Zadra, di don Turrini, responsabile della cultura. Della curia e dell’Isa. Con aneddoti anche gustosi. Ma, fortunatamente, anche di altro. Perché, più che essere il papa (e il vescovo) a fare la Chiesa, è la Chiesa (e la società intera, pluralista com’è) a fare i papi (e i vescovi).

Ma in che cosa consiste la "criticità" di don Farina, che non gli permette di accettare le posizioni del cardinale Ruini? E che lo ha spinto, fra l’altro, a rifiutare l’abbonamento gratuito ad Avvenire. Direi la riduzione del Cristianesimo a fattore d’identità nazionale (ed europea, occidentale), la sua riduzione a religione civile che garantisce la coesione sociale. Il Cristianesimo, per lui, è "profezia", una fede da testimoniare. Non una religione, non un’etica, men che meno un’etica razionalmente "plausibile".

In linea con Paolo di Tarso il quale, nella lettera ai Corinzi, racconta che parve "pazzia" ai sapienti del tempo la predicazione della morte e della resurrezione di Cristo. Don Farina è preoccupato che l’ultima ricerca sulla religiosità degli italiani sia potuta uscire con il titolo "Forza della religione, debolezza della fede".

Io non so cosa scriveranno i due interlocutori, ma in qualche momento mi è parso che parlassero linguaggi diversi. Ettore Paris è un laico, non un laicista (se posso esprimermi così).

Non pensa come la scienziata Margherita Hack che, in una recente intervista a l’Unità, dichiara di considerare la credenza religiosa un segno di "infantilismo", o come il filosofo Carlo A. Viano che auspica, nello scontro fra individualismo e comunitarismo, l’"emancipazione dalla comunità religiosa". Su Avvenire Gianni Gennari sbeffeggia ogni giorno tali opinioni, e le considera la prova del pericolo che corre il cattolicesimo in Italia.

Ettore Paris ritiene invece il confronto necessario e produttivo, ma non con la "fede" di Marcello Farina, alla quale è indifferente, ma proprio con la "religione", quella cultura che ha plasmato il Trentino, e l’Italia. Però, mentre gli "atei cristiani" alla Giuliano Ferrara abbracciano l’"identità cristiana" del cardinale Ruini, da conservare e difendere, in guerra contro l’Islam, l"ateo laico" ritiene di poter spremere ancora da quell’etica solidarietà, coesione sociale, accoglienza verso i popoli nuovi che arrivano. Per contribuire, insieme con altri, a costruire un’identità nuova.

Anzi, con un ottimismo che Marcello Farina non condivide, sottolinea, nel Trentino di oggi, il permanere di un volontariato e di una tolleranza che non esita ad attribuire alla "cultura" cattolica. E ritiene possibile, per la Chiesa, liberarsi dall’etica misogina e sessuofobica in cui è oggi imprigionata. A differenza di Piergiorgio Cattani, l’altro interlocutore cattolico, per il quale la tentazione per il Cristianesimo è proprio di riconvertirsi in "religione civile".

Forse non ho capito bene, né sono chiamato a interpretare. Ma siamo, faticosamente, all’interno di una dialettica, fra storia ed escatologia (utopia), ineliminabile. "Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo", disse anche Gesù ai suoi seguaci.

Il cristiano, anche il più radicale, è anche un cittadino che vive nella storia, realtà penultima, opaca. E del mondo deve prendersi cura ogni giorno. Il Cristianesimo non è un’etica, né un progetto politico, ma i cittadini, cristiani, ebrei, musulmani, agnostici, atei che siano, devono costruirseli, lavorando insieme, e adatti ai tempi che mutano. Che qualcuno però, profeticamente, denunci criticamente anche la costruzione più riuscita, non può che fare bene, a tutti.

L’incontro fra diversi è fecondo non se si conclude con la conversione, ma, scrive Enzo Bianchi, per "misurare e svelare ciò che vi è di idolatrico o di inautentico nelle rispettive opzioni".

Avvenire,che continuo a ricevere, e a scorrere, si colloca altrove, rispetto a questo dibattito, contento che il presidente del Senato, Marcello Pera, già anticlericale focoso, sia tornato all’ovile del cardinal Ratzinger. Invece dovrebbe, piuttosto, sentirsi interpellato anche da chi accusa di infantilismo la religione. Anche se, è vero, non è una parola adatta ad avviare un confronto.