Trento città alpina dell’anno
Le città alpine nell'era dell'innovazione: come possono realtà usualmente conservatrici investire in originalità e ricerca? La montagna è luogo di isolamento o spazio di relazioni? Delle domande forti e un dibattito fecondo.
Trento, città alpina del 2004. Un riconoscimento importante quello che la CIPRA ha conferito al capoluogo trentino. Per dare contenuti all’ambìto premio il Comune di Trento ha organizzato una serie di convegni che hanno costruito un ricco confronto: il più importante, sul ruolo delle città alpine nell’era dell’innovazione.
Sì, perché la montagna è oggi vissuta come luogo di conservazione, forte di identità e chiusure difficili da scalfire. Come può investire in originalità, in ricerca, come può essere laboratorio di sperimentazione? E come le scelte di sviluppo indirizzeranno le funzioni delle città dell’arco alpino, nei rapporti con la pianura e con le valli? Queste le domande che l’assessore alle attività economiche di Trento Franco Grasselli ha posto ai relatori.
Il presidente di CIPRA Damiano di Simine ha costruito una cornice di riferimento che si rifà alla Convenzione delle Alpi: è in questo trattato infatti che troviamo i contenuti della qualità dello sviluppo, del dovere della conservazione, con le Alpi non più viste come territorio di confine, ma come cerniera, luogo di unione, di incontri, di sollecitazioni culturali che ci permettono/impongono di attuare una pianificazione in termini di sviluppo sostenibile.
E come si inserisce una città alpina nel rapporto con le vallate, con le località d’alta quota? Con l’indicatore della qualità dello sviluppo - è stata la risposta - che si misura non solo con i parametri della tutela dell’ambiente, ma anche con l’incentivazione della solidarietà territoriale e della ripresa della coesione sociale.
La docente dell’Istituto di Geografia alpina di Grenoble Marie Christine Kober ha messo in rilievo come tre fondamentali elementi che definiscono lo sviluppo - urbanizzazione, innovazione e identità - finora letti come fra loro conflittuali, possono invece nell’arco alpino non solo convivere, ma rafforzarsi l’un l’altro.
L’urbanizzazione è passata dal modello agrario a quello industriale per finire nell’attuale metropolitano, con un esito da sottomissione culturale, di "città nella montagna e non città della montagna". Il che ha portato a una perdita di identità, quindi di rispetto; con le vallate divenute aree marginali, dormitori assoggettati alle dinamiche e alle decisioni delle città. Una pesante sconfitta, da cui però si può uscire riproponendo la qualità del territorio come fattore dello sviluppo (cultura e innovazione, come è noto, si sviluppano meglio in contesti ambientalmente gradevoli); e di qui ridefinendo la territorialità, ossia i rapporti con la natura e la storia dei luoghi.
Spalla portante di questo disegno dev’essere l’investimento nell’innovazione, la costruzione di una intelligenza collettiva (identità, appartenenza, condivisione, collaborazione), che riporti valore al territorio e autostima a chi lo abita. Tutte cose distrutte dalla cultura metropolitana; che ora però possono rivivere, creando un nuovo mito, l’armonia fra città e montagna, uomo e natura.
Ma allora, la montagna, come confine o come identità transfrontaliera è un valore? E va pensata in opposizione al mare, alle città? E’ un luogo di isolamento o uno spazio di relazioni?
Secondo Annibale Salsa, presidente del Club Alpino Italiano, solo con la modernità, con il prevalere dello spazio urbanocentrico, che ha opposto ruralità a urbanità, si è rotto un percorso virtuoso che fino a pochi decenni prima si presentava forte, ricco, innovativo grazie a questi contrasti.
In questi decenni di programmato isolamento si è definito della montagna un immaginario folkloristico perfino nella vita dentro le vallate alpine (tipo Heidi e le caprette), quando non stereotipi pesantemente negativi (il termine "montanaro" assunto quasi ad insulto); mentre invece la rete dei contatti e della relazioni nel passato era sempre stata intensa.
Ora però, con l’annunciata morte della modernità, si vanno aprendo nuovi spiragli, che ripropongono la continuità del passato fra ruralità e urbanità, arrivando così ad abbattere l’attuale isolamento culturale, l’emarginazione della montagna, ed erodendo quindi l’egemonia che la città ha costruito e imposto sulla montagna.
Anche perché due dinamiche stanno valorizzando la cultura delle genti dello spazio alpino. Anzitutto, con l’Unione Europea, la trasformazione delle frontiere (barriere che chiudono) in confini (divisioni tra ambiti amministrativi) comporta l’evoluzione della terra transfrontaliera e dei suoi abitanti da ultimo avamposto a luogo di interrelazioni.
E poi il nuovo primato cui obbligatoriamente, in tutto il mondo, pena la catastrofe, dovranno assurgere le tematiche dello sviluppo alternativo; e che comporta la nuova rilevanza dell’abitante delle Alpi, che storicamente ha risposto alle asperità e fragilità del territorio con la simbiosi con l’ambiente, l’unione e la coesione sociale (vedi le regole feudali) per poter vivere comunque in uno spazio di eccellenza ed unico.
Se questa sarà la lettura futura dello spazio alpino ci troviamo in presenza di un affascinante laboratorio per lo sviluppo alternativo, ha affermato il presidente del CAI.
All’interno di questo scenario si sviluppano i laboratori dell’innovazione: la ricerca sull’agricoltura e le nicchie di alta qualità nella produzione: sulla filiera del legno, sul risparmio energetico, su nuovi percorsi della mobilità (accesso al mezzo di trasporto, non possesso), sull’abitare sano ed economico: l’esempio della casa ecologica in Alto Adige.
Ma alla domanda principe del convegno non è stata data risposta. Riuscirà la città alpina a ritornare esempio virtuoso per le vallate? Riuscirà ad attirare e promuovere, anche sotto le più impervie vette, lavori di alta qualità che mantengano sul territorio intelligenze, quindi ricerca, servizi di alto profilo? Riuscirà la città alpina a diventare luogo di elaborazione e sviluppo di nuove solidarietà, di convivenza, rispetto? O non si continuerà a subire la sconfitta, succubi della cultura delle metropoli che pretende ritmi asfissianti, autostrade (Valdastico, quindi cultura del possesso), ricreazione sportiva e lavoro precario basato sulle nuove Val Jumela e sulla monocultura turistica?