San Michele: un museo in affanno
Perché questa struttura d’eccellenza nel suo genere ha pochi visitatori?
Negli ultimi mesi in Trentino si è sviluppato un duplice dibattito: da una parte sul ruolo e sulla gestione della cultura; dall’altra sulla ricerca e sulla forma degli enti deputati a farla (ricordiamo ad esempio le proposte di trasformazione degli enti provinciali di ricerca come il CEA, l’ ITC e l’Istituto Agrario in fondazioni di diritto privato).
In Provincia sono in discussione due importanti disegni di riforma: quello sulle Attività Culturali dell’assessore Margherita Cogo e quello sulla Ricerca dell’assessore Gianluca Salvatori. In entrambi i casi la volontà della Provincia sembra quella di trovare un modo per organizzare la produzione e la diffusione della conoscenza che sia economico e funzionale.
Questo è uno dei cardini del modello di svilupppo: come e dove creare il sapere, come finanziarlo, diffonderlo, promuoverlo, custodirlo, quale restituzione darne ai cittadini e all’economia.
Il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige entra a pieno titolo in questo dibattito, anche perché da tempo il direttore ne sollecita un rilancio.
Collocato nel centro geografico quasi perfetto della regione, il Museo risulta in realtà poco centrale nella politica culturale trentina, nonostante sia riconosciuto come il migliore e più completo museo etnografico nazionale.
Di questa marginalità sono consapevoli sia il direttore Giovanni Kezich, che l’assessore Cogo. Kezich ha avviato il dibattito con un intervento sul nostro giornale (San Michele: il Museo nel deserto), dove descriveva la difficoltà del Museo ad intercettare importanti flussi di visitatori, a stare dentro le logiche del mercato del turismo culturale e a godere di politiche di marketing territoriale positive.
Il Museo riceve circa 1 milione di euro di finanziamento pubblico all’anno, ma raccoglie solo 20.000 visitatori e le vendite di pubblicazioni prodotte sono scarse, così come sono scarsi i rapporti col Comune di San Michele e con le altre realtà museali e turistiche del territorio. Le attività culturali e convegnistiche sono qualificate, spesso di alto livello, la percezione è però che il Museo viva lontano dalla popolazione. Dove sta il problema ?
Per Kezich il problema del Museo è di non avere una precisa e consolidata missione, localizzato com’è in un luogo geografico (San Michele) "centrifugo rispetto alla vocazione centripeta della città di Trento, mai valorizzato, sacrificato al traffico e senza integrazione tra percorso museale e realtà esterna".
"Bisogna capire – spiega Kezich - se il Museo debba raccordarsi con il territorio oppure fare solo ricerca e conservazione: non è scontato che un museo debba essere comunque una agenzia politico-culturale".
E ancora, rispetto alle strategie di lungo termine: "Fa pensare che la Giunta abbia puntato tanto su un progetto come il Mart, certo di successo ma meno caratterizzato del nostro, che è il migliore museo etnografico di Italia, invidiato da molti studiosi per la sua completezza e perfezione".
Se i visitatori sono pochi e se la struttura non trova una collocazione dentro le politiche e i percorsi culturali e turistici, evidentemente la gestione del museo sinora è stata inadeguata: per colpa di chi? A rigor di logica, dovrebbe trattarsi di una mancanza di strategia e di politiche, attuate (dalla Provincia e anche dalla direzione) in modo inadeguato, ma per Kezich il Museo "è oggettivamente di difficile digeribilità. Il Trentino ha forgiato nel corso del Novecento una forte identità locale, che emerge tuttora nella coscienza collettiva. Questo Museo nasce però come museo etnografico prettamente dedicato all’identità rurale, non all’identità territoriale".
In questa visione il Museo quindi sembra un fermo immagine del nostro territorio ad una fase pre-moderna: "Siamo la provincia in Italia che forse ha formato la propria identità in tempi più recenti (negli anni 20/30), con una notevole tensione di appartenenza", ma qui ci rappresentiamo attraverso i simboli di una economia rurale che non corrisponde al presente. "Il Museo ci tramanda una piccola economia di sussistenza, quasi proto-storica. D’altra parte oggi il Trentino è sì una comunità coesa, ma anche frastagliata: dal punto di vista della cultura popolare, ogni valle fa storia a sé, siamo una comunità con dialetti, cultura alimentare, arti e mestieri che costruiscono culture materiali che si ignorano quasi l’una con l’altra".
E così, conclude Kezich, "è meglio valorizzare il Museo per quello che è, anche se così certo non si descrive al meglio l’attuale realtà locale; e comunque, contrariamente ad altre entità come un museo cittadino o il Mart, noi non siamo condannati all’innovazione, al perpetuarsi del cambiamento".
Ecco: se la cosa non funziona, forse è perché questo modello di proposta (lo splendido isolamento dell’eccellenza, la memoria delle radici materiali e immateriali di un mondo ormai altro) è legittimo e anche rigoroso (in fin dei conti un museo archeologico si basa sullo stesso principio); ma difficilmente può essere attrattivo per i visitatori, e men che meno per i residenti. Insomma, forse non è sufficiente esporre i segni del passato: bisognerebbe portare dentro il territorio una interrogazione forte sulla identità nuova delle Alpi, sulla cittadinanza della montagna, sulle nuove culture materiali e immateriali.
Etnografia significa letteralmente "descrizione della gente, racconto della gente": perchè pensarla solo come conservazione di una cultura passata e non come provocazione, ricerca, domanda aperta?
Al posto di un semplice museo etnografico potremmo avere un centro di analisi della identità alpina, un luogo dove discutere sulle capacità fondamentali necessarie per vivere tra le montagne.
Anche nel caso della cultura (come per il turismo, la gestione del territorio, l’economia, la mobilità) dobbiamo decidere quale identità scegliere: se un’identità originale, autonoma, quindi scomoda, di un ambito alpino moderno seppure geograficamente marginale, capace di adattarsi al cambiamento con una idea di sé, oppure la piatta identità, indefinita e fragile, di un Trentino da vetrina, incapace di rappresentarsi in modo attuale, dinamico, complesso ai suoi visitatori e annzitutto ai suoi stessi abitanti.
Dato che il risultato dipende spesso dalla strategia e dalla direzione scelte, a fronte dei successi di altre realtà, come il Museo di Scienze naturali e quello del Buonconsiglio a Trento, o del Mart a Rovereto, ci si chiede se nella gestione qualcosa debba cambiare in modo radicale.
"Probabilmente – risponde Kezich - qualcosa è mancato, ma forse si stanno aprendo degli spiragli: la compresenza del Museo e dell’Istituto Agrario dovrebbe essere un elemento su cui puntare. Per esempio, si potrebbe far concludere la visita al Museo con una degustazione di prodotti tipici, accedendo così ad un luogo di eccellenza integrato. Parallelamente San Michele dovrebbe proporsi come baricentro del territorio con una proposta di carattere turistico, che necessariamente dovrebbe riqualificare anche l’esterno del Museo, il borgo. Ultimamente si sono avviati dialoghi tra Istituto, Museo e Comune, ma siamo ancora lontani da risultati apprezzabili. E poi, per cambiare, per integrarsi sul territorio, servirebbe un mandato istituzionale, che non c’è mai stato. Per esempio, nella vicenda degli Eco-Musei, noi non siamo stati interpellati: la Provincia ha dialogato ogni volta con i singoli promotori".
In (sempre ingenerosa) sintesi, per il direttore il Museo è opera di ingegno di massimo livello (del suo fondatore, Sebesta), collocata però in un luogo sfortunato, poco valorizzato e condannata per natura ad autolimitarsi, perché la scelta della qualità e il tipo di percorso culturale escludono i grandi numeri. Gli errori sono stati commessi altrove, la mancata integrazione territoriale è frutto di un mancato raccordo con le politiche della Provincia e di investimenti dirottati su realtà più appettibili nel capoluogo.
Di diverso avviso l’assessore provinciale alla Cultura, Margherita Cogo: "Questa Giunta promuove una nuova filosofia museale, con azioni in linea con quanto di più qualificato nella nuova concezione dei musei in Italia e ne chiede l’attuazione al Museo di San Michele. In particolare, puntiamo su San Michele affinché, essendo il custode di una quota significativa delle radici identitarie delle comunità trentine, diventi luogo propulsore di restituzione culturale".
Margherita Cogo sostiene che il Museo "non può essere considerato solo una risorsa, ma anche un luogo di produttività. Mi auguro che sia capace di riformarsi in questa direzione arrivando a considerare ‘risorsa’ ogni potenzialità delle comunità per le quali dovrebbe operare occasioni di incontro. La sua capacità di organizzare servizi e la sua produttività (non solo in termini di didattica ma anche di azione culturale mirata alla socialità), avrebbero già dovuto farne un polo d’attrazione".
Il Museo, secondo l’assessore, si è invece chiuso in se stesso, facendo cose pregevoli ma lontane dalle esigenze delle realtà territoriali, che avrebbero invece bisogno di essere sostenute nei progetti di valorizzazione dei propri patrimoni, e in breve, di avere nell’istituzione una sorta di tutor.
Per quanto riguarda il "luogo museale", Cogo sostiene che "la Provincia, coordinando gli sforzi e le iniziative, sta promuovendo un progetto di valorizzazione che vuole incidere sull’intero territorio. Ma tale processo deve essere sostenuto e accompagnato dal Museo stesso".
Rispetto alla missione di un museo etnografico, "il mio interesse è richiamare alla contemporaneità la quantità di saperi e di competenze che si era sedimentata nella nostra gente, in parte accresciuti, modificati e scambiati con altri, che costituiscono il nostro patrimonio di oggi.
La parte dimenticata di quegli stessi saperi ha permesso ai nostri antenati di affrontare e risolvere crisi e affermare la propria identità. Credo vadano conosciuti, non solo nella realtà museale, ma, a partire da questa, entro le comunità, per leggerli consapevolmente per quello che sono nelle testimonianze che i territori hanno tramandato. La consapevolezza di essere già stati a confronto con altri, di aver dato vita a soluzioni culturali che ci hanno fatto giungere fin qui, testimoniata negli oggetti e nel patrimonio immateriale, è essenziale per promuovere nuovi confronti e cogliere nuove sfide".
Secondo l’assessore, fra gli obiettivi più importanti della riforma della legislazione sulle attività culturali, c’è quello di mettere meglio in rete i quattro grandi musei provinciali e più in generale tutta l’offerta culturale. "Fare rete è necessario per conseguire almeno due obiettivi: utilizzare le risorse in modo efficace, raggiungendo economie di scala su una serie di servizi, ottenendo che gli investimenti pubblici si traducano il più possibile in cultura e meno in spese di apparato, e quello di far percepire il nostro territorio, a chi lo abita e poi a chi lo visita, come un luogo culturalmente ricco e vivace, in quanto capace di un’offerta culturale ampia e variegata. Il singolo evento, per quanto di elevatissimo livello, non può farci sentire in un luogo culturalmente stimolante: ad esempio, ciò che di solito fa delle metropoli dei luoghi percepiti come culturalmente attrattivi è la varietà delle occasioni culturali e la capacità di proporsi come offerta culturale unitaria".
Se compito del Museo è soprattutto rafforzare il senso dell’identità, dell’appartenenza al territorio ripercorrendone usanze e tradizioni, allora San Michele costituisce, per Cogo, "una tipologia di museo inevitabilmente diversa dagli altri. Se dal Mart mi aspetto che mi incanti con una grande mostra, ciò che vorrei dal Museo degli Usi e Costumi è che qualunque zona del Trentino si visiti, o in qualunque zona del Trentino si viva, si percepisca di essere in un luogo ricco di storia, tradizione e cultura, nel quale la popolazione è consapevole di chi è poiché conosce le proprie radici".
Il contrario, insomma, di un luogo anonimo e alienante dimentico di sé, come tante località di villeggiatura sono divenute. Il contrario di quello che il Trentino diverrà (e in piccola parte già è) se le scelte della stessa Giunta saranno ancora finanziamenti pubblici per una ulteriore espansione dell’economia matura del turismo di massa invece che supporto al nuovo turismo "leggero" che ha spazi di crescita certi e conserva il valore del territorio e il capitale sociale.
"Dobbiamo cioè pensare a San Michele come il cervello, il luogo della ricerca scientifica, di un sistema diffuso su tutto il territorio" – è la conclusione.
Emerge insomma l’esigenza di interrogarci sugli elementi della nostra identità, di tradurre nelle località di valle e di pianura questo interrogativo attraverso strumenti efficaci, economici, per una comunità in trasformazione complessa.
Facciamo un esempio: il Museo di San Michele ha scelto di rappresentare le Alpi (trentine) alla Fiera dei Musei Etnografici di Lubjana (Slovenia), installando nello stand una malga. L’alpeggio sarebbe per Kezich l’elemento che unisce le culture dei popoli dell’arco alpino e "che ben rappresenta anche il nostro passato".
La forma da burro dell’ 800 esposta, reperto prezioso, non racconta le trasformazioni emozionanti dell’arco alpino e dell’Europa del millennio in corso, non svela nulla dei "noi" che saremo. Ecco, è una scelta: avremmo potuto rappresentare l’antinomia (veramente unificante degli attuali problemi delle Alpi - come riportato nel recente specifico convegno di cui parliamo in Trento città alpina dell’anno) città-pianura/comunità-montagna, autonomia/ omologazione, pretese dell’individualismo/diritti degli usi civici, espansione/ senso del limite.
Sono modi diversi di intendere il racconto di sé.