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Forza Europa!

Il nano politico, forse, inizia a crescere.

Già al tempo in cui frequentavo il Parlamento Europeo (primi anni Settanta) si diceva che l’Europa era un gigante economico ed un nano politico. Non era più soltanto il M.E.C. (mercato europeo comune), già si chiamava C.E.E., comunità economica europea, cominciando a covare quell’embrione comunitario di sapore meno economico e più politico, che oggi si è sviluppato in una vera e propria Unione Europea che sta per darsi persino una costituzione di carattere tendenzialmente federale.

Blair, Schroeder e Chirac.

E tuttavia ancora oggi si può dire, con l’allargamento a ben 25 stati aderenti, che l’Europa resta un gigante economico sia pure un po’ in affanno, ed un nano politico perché incapace di esprimere una politica unitaria sulle grandi questioni del mondo.

La cosa non deve sorprendere. Infatti l’Europa di questi ultimi cinquant’anni, ivi compresi anche gli stati dell’est di recente sodalizio, è permeata di una cultura liberal-democratica che costituisce, assieme allo stato sociale, il gioiello più prezioso della sua tradizione. E’ perciò perfettamente conseguente che in essa fermentino le idee più varie, originate dai diversi interessi economici e dai diversi orientamenti politici volta a volta prevalenti. Nei singoli stati queste differenze sono mediate e superate grazie ai meccanismi costituzionali, e precisamente dalla regola madre che fa prevalere la volontà della maggioranza, affidando alla minoranza una funzione di controllo e di potenziale ricambio alternativo.

Ebbene, tali meccanismi regolatori non vigono ancora nella Comunità od Unione Europea. In ciò sta la sua debolezza, ossia il suo nanismo politico. In ciò sta la sua divisione sui maggiori problemi del globo. Divisione che si misura principalmente nel tipo di rapporto con gli Stati Uniti d’America, rapporto che, pur essendo gli USA per tutti gli stati europei il partner naturale, si atteggia per ciascuno di essi con sfumature diversificate, talvolta assai accentuate.

Per la Gran Bretagna il rapporto con gli USA è speciale, come se Londra fosse la capitale del cinquantunesimo stato dell’Unione d’oltre oceano, ed il suo isolamento geografico dal continente ne marcasse anche la distanza politica.

Al contrario la Francia, fedele alla grandeur che trovò in De Gaulle il suo massimo ma non unico interprete, è sempre stata gelosa della sua distinzione da Washington, affermata anche con rotture clamorose.

La Germania e la Spagna di Zapatero, entrambe a guida socialdemocratica, hanno francamente dichiarato la loro opposizione alla guerra preventiva di Bush in Irak, rivendicando il ruolo delle Nazioni Unite nella risoluzione delle controversie internazionali. Altri stati, fra i quali la Repubblica Italiana e la matricola polacca, hanno invece privilegiato la cieca e passiva condiscendenza alla linea avventurosa di Bush.

Ma in questi ultimi giorni sembra che il nano politico abbia cominciato a crescere. Il nucleo forte della "vecchia Europa", anche in virtù del posto occupato dalla Francia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e con il contributo di Russia e Cina, pure titolari del diritto di veto in tale organo, ha costretto il governo di Washington ad un parziale mutamento di rotta per rientrare, almeno formalmente, nei canali procedurali del diritto internazionale. Se anche l’Italia avesse seguito l’esempio spagnolo ritirando il suo contingente di pace da uno scenario manifestamente di guerra, avrebbe dato un importante contributo a portare gli Stati Uniti sulla via di un ravvedimento virtuoso.

Avrebbe rispettato la nostra costituzione che ripudia l’uso del nostro esercito in interventi aggressivi. Avrebbe concorso a consolidare una politica estera e militare unitaria di questa vecchia Europa che appunto non è solo una potenza economica ma, per la sua esperienza, per la sua storia, per i valori che afferma, ha ancora molto da offrire al futuro dell’umanità.

Speriamo che le elezioni europee siano una buona occasione per dimostrare che il popolo europeo ha imparato la lezione dei fatti.