Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 10, 15 maggio 2004 Servizi

La provocatoria utopia dell’architetto Salvotti

Commento critico alla proposta su lungofiume e aerea ex-Michelin dell'arch. Salvotti.

Sergio Dellanna

Quando ci si approssima ad un progetto urbano dell’architetto Gianleo Salvotti, l’imbarazzo intellettuale è di rigore. Si gira intorno senza capire se prenderlo sul serio, nel dubbio che si tratti di una provocazione ironica, o di una elaborazione artistica da esposizione, oppure dell’eclatante esibizione di una ennesima "architettura disegnata".

L'arch Gianleo Salvotti.

Nel suo lavoro, le più elementari considerazioni di fattibilità tecnico-economica, di opportunità politico-amministrativa, di funzionalità urbanistica, che di norma costituiscono il presupposto culturale di ogni operazione di trasformazione urbana, sono aprioristicamente rimosse quale fastidioso retaggio vetero-funzionalista, per "aprire le porte" al protagonista unico ed indiscusso, lo "stile", "quell’insigne esiliato che il conformismo intellettuale ha voluto discriminare".

La proposta dell’architetto Salvotti: nella cartina in alto il quartiere (come quello di Renzo Piano) a forma semicircolare, prospiciente una piastra-giardino pensile sull’Adige. In basso, sulla destra dell'Adige l’Italcementi, e più in là (appena visibile) un porto fluviale a Piedicastello.

Per quella città dove sembra impossibile costruire un marciapiede senza incappare in estenuanti battaglie politico-legali, Salvotti sogna soluzioni figurative estreme, enormi macrostrutture disposte in rigoroso ordine geometrico secondo un codice semantico pescato nel bagaglio della tradizione progettuale ludico-filosofica dei giardini signorili del sei-settecento. Là dove si fatica a coordinare il semplice allineamento di due edifici rispetto alla strada o a far rispettare i più elementari criteri di decoro urbano, Salvotti propone luoghi soggetti a regole e gerarchie assolute ed incontestabili, castelli metafisici destinati a soddisfare lo spirito contemplativo di una comunità estetico-filosofica, pezzi di una città ideale indifferente e sprezzante verso la petulante caciara della gente.

Salvotti non si limita a criticare la trascuratezza del lungofiume trentino, a proporre una riforma organizzativa ed architettonica di un comparto urbano. Dal suo progetto traspare il rifiuto, nella sua intima essenza, della città contemporanea, della metropoli caotica e conflittuale, pulsante e tentacolare, la città inarrestabile ed irrapresentabile che quest’epoca inquieta si vede crescere in pancia, forse feto o forse tumore.

Con le ossessive geometrie dei suoi disegni Salvotti allude nostalgicamente all’ordine perduto della città preindustriale, dove le rigide gerarchie sociali e la staticità politico-economica ne informavano la struttura con semplicità e chiarezza. Auspica una inattuale potente unità d’intenti che solo un principe poteva garantire, idealizzando l’utopia regressiva quale medicina per il decadimento della città.

"A questo punto la ricetta dell’elisir che si propone per lenire la desolazione del fiume e della città è chiara: un salvacondotto per il rientro della grande tradizione mediterranea, espressa non già negli stereotipi delle forme storiche bensì nelle figure universali che la illuminano mostrandone le immagini ancora inespresse ma sempre attuali".