Sulle ali di “Finix”
Opera toccante, intelligente, impegnata, ben interpretata. Purtroppo in tedesco, e i sovratitoli non bastano...
La fenice è una creatura straordinaria: è immortale, risorge dalle proprie ceneri. Il suo mito, in sé innocuo, diventa una manna in bocca agli estremisti e al loro culto della forza. Perciò è stato scelto per dare il nome a "Finix", di cui è il tema portante. La fenice spiega le ali come un simbolo di libertà illusoria, ma in realtà è quasi una "mutazione divina" dell’aquila nazista.
Il docente universitario Martin Korn propone ai suoi allievi alcuni semplici esercizi, insegna loro che disciplina, autocontrollo, rispetto delle gerarchie sono la strada verso un mondo migliore e più efficiente. Il rendimento scolastico è solo il primo passo, poi tocca alle prestazioni sportive, ai rapporti interpersonali, al sesso e così via; tutto acquista il sapore nuovo delle regole, il piacere nascosto del potere. A poco a poco l’esperimento invade ogni aspetto della vita universitaria. Finix è ovunque ed ha infiniti modelli, come Frodo Baggins e Semvise Gangi che riescono a distruggere l’Unico Anello solo grazie alla loro determinazione e amicizia. Un altro mito piegato all’estremismo, per la gioia di chi vede nella saga di Tolkien un libro di destra. "Il potere è disciplina", "il potere è comunità"… Il detto "l’unione fa la forza" non potrebbe avere esiti più aberranti: chi non è assimilato dalla Gemeinschaft, la "Comunità", è escluso da qualunque aspetto sociale della vita (scuola, sport, amicizie) o picchiato a sangue.
Pochi si rendono conto che Korn assomiglia al dott. Frankenstein e il suo è un salutare ma crudele esperimento. L’ intento è aprire gli occhi ad allievi convinti che l’Occidente sia ormai troppo civilizzato per cadere nella barbarie; mai e poi mai ci abbasseremmo ad atti così vili come quelli terroristici di Al Qaeda. Ma il docente, nel peggiore dei modi, dimostra il contrario mutando in bestie gli uomini. Le sue idee seducono i ragazzi spingendoli a seguirlo ciecamente come fosse Hitler o Bin Laden. Solo perché uniti si sentono forti, invulnerabili come la fenice. Come un Dio, dà loro un credo e glielo toglie quando credono di volare così in alto da sfiorare l’orizzonte. Il potere diventa fragilità, illusione, persino tradimento; "l’aiutante", uno dei più fedeli tra gli adepti, comprende solo d’essere stato una cavia e stenta a capire l’importanza della vera libertà, quella di pensiero.
Per essere un musical, "Finix" è molto recitato, nonostante le canzoni di Michael Schnack rimangano l’asse portante e fungano spesso da raccordo con leit-motiv o sequenze di note più volte richiamate. Nessun brano probabilmente diventerà un classico, ma è interessante il modo in cui sono stati utilizzati più registri e generi musicali: dal mélo al punk rock all’inno nazionale, passando per sonorità che, specie in qualche attacco, ricordano quelle dei Placebo. Forse un po’ troppa captatio benevolentiae nella canzone finale, in italiano e meno ispirata rispetto alle altre, fra cui spiccano "Wer Für" ("Per chi") e quella eseguita dal gruppo punk dei Colors. Un nome scelto di proposito, che suggerisce varietà, l’intero spettro dei colori contro l’uniformità e la bicromia di simboli e divise. In particolare, la doppia F gialla di Finix su sfondo nero dei fazzoletti riproduce, stilizzandole, le ali spiegate della fenice, eppure mantiene una vaga somiglianza con la svastica.
Più in generale, le scene di Andreas Lugenschmid tendono all’essenziale, limitandosi quasi sempre a pochi oggetti la cui diversa disposizione simboleggia il passaggio dal caos all’ordine, dal meticciamento alla catalogazione e all’inquadramento nel sistema. Vi sono tuttavia due momenti onirici, da incubo, che nell’unità dell’opera danno l’impressione di formidabili inserti deliranti, a metà strada fra "Arancia meccanica" e "La caduta degli dei". E qui danno il meglio le splendide coreografie di Alonso Barros, perfettamente eseguite da tutto il cast, suggerendo l’erotismo del potere, l’ordine che nasce o conduce alla degenerazione.
Visto il risultato, non stupisce che "Finix" rientri nella rosa dei 65 progetti (il 2% del totale) promossi dall’Unione Europea per diffondere un messaggio d’apertura verso tutte le culture del vecchio continente. La stessa nazionalità degli attori-cantanti-ballerini dà l’idea d’un ponte culturale che va oltre Bolzano, Vienna e Lubiana, le tre città coinvolte nell’operazione. Accanto agli austriaci, ci sono anche due tedeschi, una slovena, una svizzera, un georgiano, un italiano; e dato che l’età media è 21 anni, con la loro giovinezza rappresentano un futuro che siamo tenuti a costruire insieme, altrimenti anche noi faremo parte di Finix e cederemo alla sua seduzione. Tra l’altro, il riferimento esplicito all’attentato dell’11 marzo a Madrid dimostra che il libretto di Tommy Taztber è in costante evoluzione e segue nel suo intreccio una Storia che cambia giorno dopo giorno.
Peccato dunque che il Sociale sia rimasto semivuoto quasi ogni sera. Forse a frenare alcuni abbonati sarà stato lo scoglio della lingua o magari il tema stesso del musical. Fatto sta che le battute erano solitamente comprensibili per chi ha una conoscenza almeno elementare del tedesco. Certo, alcuni passaggi hanno costretto i "profani" a curarsi dell’azione e non dei sovratitoli o viceversa, perdendo per breve tempo il senso globale, ma questo era da mettere in conto fin dall’inizio trattandosi d’una produzione austriaca, e in ogni caso i costanti riferimenti interni erano una guida più che sufficiente. Ci spiace che chi non ha visto "Finix" si sia perso un’opera toccante, intelligente e ben interpretata, capace di scavare nella nostra spesso finta bontà di uomini e donne "civilizzati". La barbarie, come insegna Abu Ghraib con le sue torture, è dietro l’angolo.