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Rauschenberg a Ferrara

Oltre 80 opere del pop-artista americano in mostra a Palazzo dei Diamanti.

Oltre ottanta opere, molte delle quali per la prima volta in Italia, sono esposte a Ferrara (Palazzo dei Diamanti, fino al 6 giugno) in un’ampia retrospettiva dedicata alla variegata attività artistica di Rauschenberg. L’artista, uno dei massimi nomi della pop art internazionale ed ancora oggi vivacemente attivo, ha un rapporto privilegiato con il nostro paese. Nel 1964 ricevette infatti il Gran premio internazionale di pittura alla Biennale di Venezia, segnando di fatto il passaggio da una centralità artistica europea ad una d’oltreoceano, e anche nella produzione più recente numerosi sono i riferimenti all’Italia.

Rauschenberg, "Retroactive I" (1963).

Grande precursore della multimedialità, Rauschenberg assassina la bidimensionalità dell’opera inserendo di prepotenza la realtà oggettiva nelle opere, una realtà quotidiana, perfino banale. I suoi "combine painting" intrappolano letteralmente l’oggetto, mischiando le carte tra pittura, scultura e installazione, tra materiale artistico tradizionale ed oggetti di scarto, dall’insegna pubblicitaria all’asse da stiro, dall’animale imbalsamato al frammento meccanico.

A questa produzione, avviata sulla metà degli anni Cinquanta, si affianca poco dopo quella dei "transfer drawings". La tecnica consiste nel trasferire mediante un solvente un’immagine dal suo contesto originario (una pagina di giornale o un manifesto pubblicitario) a un extracontesto che accoglie, affiancate o caoticamente sovrapposte, una moltitudine d’immagini legate all’immaginario di massa: episodi di cronaca estrapolati dai rotocalchi, riproduzioni di dipinti, loghi pubblicitari. Un grande blob mediatico, ripreso nel decennio seguente quando, influenzato da Warhol, avvia una copiosa serie di dipinti serigrafici. Questi lavori si differenziano però dai precedenti, al di là della specificità tecnica, per un uso più libero e manipolatorio delle immagini riportate, che si svincolano dal formato originale per assecondare l’estro dell’artista. Ancora una volta il caos mediatico ingloba contemporaneità ed antichità, volti di presidenti e pubblicità, campioni dello sport e reperti archeologici musealizzati, particolari di oggetti quotidiani e loghi di eventi epocali, come in una delle opere più importanti in mostra, "Retroactive I" (1963), che affianca J. F. Kennedy all’uomo sulla luna, in un turbinio di zone cromatiche.

Se con questo uso costante di un’iconografia popular Rauschenberg è non a torto considerato uno dei nomi imprescindibili della pop art, è giusto anche sottolineare le differenze tra quest’artista e personaggi come Warhol e Lichtenstein. L’uso di tecniche come la serigrafia, pur utilizzata in larga misura da Rauschenberg per riprodurre immagini mediaticamente note e quindi già digerite, non giunge mai nei suoi lavori a un uso seriale dei soggetti. Non abbiamo mai, insomma, qualcosa come una serie di Marilyn, di Campbell’s soup o di scatole di Brillo. La serigrafia di Rauschenberg è forte infatti di volute imperfezioni che rendono ogni opera irripetibile, senza contare il fatto che i suoi riporti d’immagini sono poi quasi sempre ritoccati da pennellate fortemente gestuali di colore puro.

A fianco delle opere pittoriche, Rauschenberg avvia dai primi anni Sessanta la produzione di sculture-installazioni. Molte le opere che utilizzano il solo cartone, apprezzato per le sue qualità materiche e cromatiche, ma ancor di più è forte l’uso delle stoffe, ora tese tra due sedie (Sant’Agnese-Venetian, 1963) a ricordo delle reti dei pescatori viste in Italia, ora appese a muri tramite semplici chiodi (la serie Hoarfrost) e ricoperte dal solito vortice d’immagini eseguite con la tecnica del transfer.

Dai primi anni Ottanta l’attenzione di Rauschenberg si sposta al metallo, per lo più al suo stato finale di rottame, ma anche, come nella serie degli "Shiners", alla sua elaborazione. In questi lavori la superficie è ora trattata a specchio, ora corrosa da acidi, ora nuovamente ricoperta da immagini serigrafiche. Gli ultimi lavori dell’artista non risentono di alcuna stanchezza inventiva, ma anzi si rinnovano nello sperimentalismo tecnico; ne è esempio una particolare riattualizzazione dell’affresco, sul cui intonaco vengono trasferite delle immagini fotografiche realizzate durante una serie di viaggi.

Tra le opere più interessanti in mostra, "Quake in Paradise", una struttura labirintica di 235 metri quadrati composta da 29 grandi pannelli, ora trasparenti, ora a specchio, sui quali sono state riportate serigraficamente innumerevoli immagini.

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