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Un’Odissea che parla un linguaggio antico

L’Odissea del Teatro del Carretto, vista sabato 13 marzo scorso, ha stregato letteralmente il pubblico roveretano, catturandolo in una ragnatela di magie, grazie all’evocazione di un linguaggio antico sprigionatosi da accurate scelte drammaturgiche e sceniche.

Lo spettacolo è un attraversamento del poema che focalizza di quello alcuni episodi, tralasciandone altri, in particolare tutta la narrazione del viaggio di Telemaco alla ricerca del padre. La scena, realizzata da Graziano Gregori, è costituita da una pedana perfettamente circolare in legno grezzo inclinata di 45°, sul cui bordo corre un sedile continuo, che ricorda l’antica orchestra dei teatri greci; dalla scena fissa deriva la creazione di quadri scenici che velocemente si dissolvono per l’incalzare di altri.

La prospettiva narrativa predilige l’ambientazione nel palazzo reale di Itaca – del resto dodici canti del poema sono dedicati alle vicende del ritorno in patria dell’eroe – che ospita la scena iniziale della visita di Mente-Pallade (nello spettacolo è lo stesso personaggio di Ulisse sotto le mentite spoglie del mendico) che predice l’imminente ritorno di Ulisse mentre i Proci gozzovigliano, deridendo e molestando lo straniero. Gli altri episodi - l’incontro con Polifemo, la prigionia presso Calipso, l’arrivo sull’isola della maga Circe e la trasformazione dei compagni in porci, la discesa negli inferi per interrogare l’indovino Tiresia, l’incontro con le temute Sirene, l’uccisione delle vacche del Sole - sono rammentati liberamente sul filo della memoria, tra racconto e discorso diretto.

Le principali convenzioni della tragedia greca sono fatte proprie dalla regia di Maria Grazia Cipriani. I personaggi assumono di volta in volta i ruoli di altri: perciò i Proci svolgono anche il ruolo dei compagni di Ulisse, l’ancella infedele ricopre anche quello della vecchia balia Euriclea e di Anticlea, madre di Ulisse, ritrovata nell’Ade, ecc. La crudeltà delle morti è risolta drammaturgicamente fuori dalla vista o con gesti simbolici accompagnati dai rumori mimetici dei colpi mortali.

L’incanto e il perfetto equilibrio dello spettacolo risiedono nella fusione di molti elementi: la povertà della messiscena, le azioni e le voci degli attori – tutti bravissimi - i suoni mimetici, le maschere animali che, nel complesso, restituiscono alla narrazione una dimensione simbolica ed onirica, proprio laddove è più forte il linguaggio della fisicità dei corpi e la determinazione degli umani sentimenti e dei divini voleri.

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