Gli spari nel silenzio
Perché i conflitti africani sono dimenticati dall’informazione? Una tavola rotonda per rompere il silenzio.
Mentre i media di tutto il mondo ci tengono costantemente informati su ciò che accade in Europa, in America e in Medio ed Estremo Oriente, un intero continente galleggia nell’oblio, dimenticato come un pacco ingombrante: l’Africa. L’ACCRI (Associazione di Cooperazione Cristiana Internazionale) ha promosso tra il 9 e il 14 febbraio alcune iniziative (all’interno di un percorso dal titolo "Se il tamburo tace… L’Africa, le guerre dimenticate e il silenzio dei media. La cultura per (r)esistere"), finalizzate a riportare a galla i drammi africani dimenticati, come i 19 conflitti che insanguinano attualmente quelle terre.
Momento centrale dell’intera settimana è stata la tavola rotonda presieduta dal preside della facoltà di Economia Carlo Borzaga, alla quale sono intervenuti Nyamien N’Guessan Messou, segretario del Sindacato Nazionale della Ricerca e dell’Educazione Superiore della Costa d’Avorio, e Luciano Scalettari, inviato in Africa di Famiglia Cristiana. Il "caso" ivoriano descritto da Messou può essere esemplare per gran parte dei drammi dimenticati africani.
La Costa d’Avorio dal 19 settembre 2002 è al centro di una guerra civile che vede contrapporsi il presidente Laurent Gbagbo e i ribelli guidati dal generale Guéi, che nel 1999 aveva cercato di annullare le elezioni che lo avevano visto perdente, inducendo il vincitore Gbagbo ad un colpo di stato "democratico", sull’onda delle proteste della società civile, protagonista poi della redazione di una vera Costituzione. Questo conflitto, che i media, quando raramente ne parlano, dipingono come guerra etnica o religiosa, in realtà è dettata da questioni economiche, che vedono all’orizzonte la lunga mano degli ex colonialisti francesi. Il governo di Parigi, infatti, secondo le accuse di molti esponenti della stessa società civile ivoriana, forte di una risoluzione ONU che lo ha autorizzato ad intervenire come forza di pace, in realtà agirebbe ignorando e coprendo le violenze dei ribelli sui civili, in vista della destituzione dell’attuale presidente, reo di aver intrapreso una politica economica contraria a riconsegnare alle multinazionali francesi il controllo della produzione di cacao e caffè e della telefonia ivoriana, come era avvenuto sino alla fine degli anni ’90. I ribelli in realtà sarebbero per lo più mercenari di altri Stati africani vicini, interessati alle ricchezze della Costa d’Avorio e agli accordi economici con i francesi. "Quello francese - dice Messou - è un atteggiamento coloniale, finalizzato allo sfruttamento economico, e complice se non causa di quello stato di minorità in cui vivono le istituzioni e la società civile africana e che la Costa d’Avorio sta cercando di combattere e superare".
Francia: leone con pelle d’agnello, dunque. Ma perché di questa insanguinata pelle leonina dell’Occidente non si parla? Forse perché sono fatti troppo lontani? O perché si crede che gli avvenimenti d’Africa incidano poco o nulla sulla nostra vita?
Secondo Scalettari credere ad esempio che la guerra del Congo, con i suoi 4 milioni di vittime e i 14 milioni di profughi, non incida sulla nostra vita significa dimenticare che in quella guerra si ammazza anche, e soprattutto, per il controllo del coltan, il materiale utilizzato per la costruzione dei cellulari. In realtà il silenzio e l’ignoranza del sangue d’Africa dipendono da un’informazione ormai sedentarizzata, omologata, che teme di uscire dalla via sulla quale si incamminano gli altri media. "Non è funzionale per noi sapere le cose d’Africa, perché il silenzio aiuta gli affari". Per esempio chi sa che il maggior azionista della Swatch è un ex dittatore nigeriano che ancora trama per diventare futuro presidente?
C’è un’inquietante deformazione del sistema d’informazione secondo Scalettari, anche perché "non abbiamo un lettore che abbia un contesto di conoscenze che gli permetta di capire quello che un bravo giornalista può raccontare. E la continua riduzione dello spazio-esteri nei media impoverisce ancor più tale contesto. E’ un circolo vizioso, poiché se tutti i giornali individuano una certa priorità comune di notizie, il giornale che esce da questa linea rischia di perdere lettori e magari di sparire".
Il giornalista d’inchiesta è debole, poiché "se hai un giornale forte alle spalle puoi ancora alzare il ditino di fronte al potentato di turno e fare la domanda scomoda. Ma se, come spesso accade, il giornalista è lasciato a se stesso, esposto alle querele, la sua debolezza di fronte ai potenti lo costringe a tacere".
Cosa può fare il lettore di fronte a tutto questo? "Dobbiamo sperare che il lettore ad esempio preferisca il settimanale internazionale piuttosto che le formule stantie e trite della politica di palazzo dei nostri settimanali più diffusi come Panorama o l’Espresso".