Nestlè: quanto paga la Pejo?
Come GAN (Gruppo di Azione Nonviolenta) chiediamo di sapere quanto paga alla Provincia di Trento o al Comune di Pejo la multinazionale Nestlè per la concessione dell’acqua. Intervenendo nella disputa che vede il Comune di Trento aver promosso il boicottaggio dei prodotti della Nestlè, crediamo che la minacciata perdita dei posti di lavoro non sia un motivo ragionevole per non sostenere una campagna che denuncia la morte di 1.500.000 bambini all’anno nel sud del mondo per uso improprio di latte in polvere.
E’ chiaro che la Nestlè deve rispettare i criteri del Codice Internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la commercializzazione dei sostituti del latte materno e quindi anche quelli definiti dai consumatori.
Come consumatori attenti chiediamo che venga pagato un minimo definito per legge per la concessione che comprenda i costi ambientali per il trasporto dell’acqua che costa alla cittadinanza attraverso le tasse per pagare gli interventi sanitari. Rinforziamo le richieste dei movimenti ambientalisti per il non-acquisto delle bottiglie in plastica, inquinanti in quanto derivato del petrolio, a favore delle bottiglie in vetro a rendere, che oltre al riutilizzo creano un indotto con più occupazione locale.
Se si parla di acque minerali bisogna andare oltre questi episodi di contaminazione che non aiutano a capire i veri retroscena del mercato delle acque minerali, che si è triplicato negli ultimi quindici anni raggiungendo un fatturato da 4.500 miliardi, di cui 1.500 spesi in pubblicità per gonfiare il mito e facendolo diventare uno status symbol. Dal quaderno "Acque minerali ed acque potabili tra qualità e business’’ prodotto dalla Fondazione ICU (Istituto Consumatori e Utenti) promossa da Federconsumatori, si apprende che il 46,5% degli italiani beve acqua minerale (primi in Europa), con un consumo pro capite di 160 litri.
Se analizziamo il prezzo delle acque minerali scopriamo che un metro cubo (da 370.000 a 3 milioni di lire) costa più del doppio di un metro cubo di petrolio (150.000 lire). Ma la fregatura delle acque minerali non sta solo nel costo che può arrivare fino a 1.000 volte di più dell’acqua da rubinetto, ma anche nel contenuto. La Direttiva della Comunità Europea CEE 96/70 del 1996 che stabilisce l’obbligatorietà di riportare la composizione analitica delle sostanze presenti nell’acqua minerale non è mai stata recepita dall’Italia e quindi nelle etichette non sono riportate tutte le sostanze, tra cui ammoniaca, ferro, manganese, rame, zinco.
Per altre sostanze invece viene richiesto di indicare i parametri solo quando superano i limiti per le acque di rubinetto: antimonio, arsenico, cadmio, piombo, idrocarburi. Ma nessuno dice mai ai consumatori che la soglia dei nitrati è pari a 50 milligrammi per litro per gli adulti e 10 milligrammi per litro per i bambini. Ma per le acque in bottiglia che superano i 10 milligrammi per litro di nitrati non è riportata l’informazione che quell’acqua non è adatta per i bambini. E sul credo della sicurezza delle acque minerali ecco che si scopre che le acque di rubinetto sono molto più monitorate rispetto a quelle in bottiglia, sono più sicure per la salute, più economiche e rispettose dell’ambiente.
Da non dimenticare, infine, i costi di concessione: un decreto regio del 1927 stabilisce che il canone di concessione è proporzionale alla superficie del giacimento e non alla quantità di acqua estratta.
Ma il canone di concessione in tanti casi non è sufficiente neppure per recuperare i costi amministrativi di riscossione alle regioni.