Fare famiglia in Trentino
Nuclei familiari sempre più piccoli e più vecchi. Poco aiutati e poco studiati.
Quali sono gli aspetti del vivere quotidiano che danno maggior serenità ai trentini? Gli ultimi sondaggi mettono al primo posto come grado di soddisfazione le relazioni tessute in famiglia; seguono il lavoro, la salute, infine la situazione economica (vedi grafico 1). E la sfera famigliare è considerata fra le cose più importanti della vita anche dai giovani, come conferma una ricerca del 2003 promossa dalla Provincia e condotta su un campione di mille ragazzi fra i 15 e 29 anni. Insomma, le inchieste confermano che la famiglia è ancora un abbraccio affettivo rassicurante che ci consente di gettare le basi del nostro benessere.
Eppure al di là dell’immagine rosea che i sondaggi tracciano, se proviamo ad inoltrarci nell’argomento le sorprese non mancano. Ciò che balza agli occhi, approfondendo il tema nella nostra Provincia, è la carenza di studi che forniscano un quadro d’insieme della famiglia. Per cui di famiglia si parla tanto, si litiga anche sugli scranni del Consiglio provinciale; ma si conosce poco.
Vediamo comunque, con le informazioni a nostra disposizione, di tracciare un identikit della famiglia trentina.
Qual è il suo stato di salute? Sempre più ristretta nel numero di componenti (pari al 2,4 nel 2002) e allentata nei legami di solidarietà, langue nelle sue forze per il fardello di compiti da svolgere: educativi, assistenziali e di cura. E se nel passato il lavoro gratuito femminile soddisfaceva buona parte delle esigenze dei membri più deboli, come bambini ed anziani, ora ciò non è più possibile: si rende indispensabile un cambio di rotta.
Infatti, con la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione (il 18% dei trentini supera i 65 anni) e i nuovi ritmi di vita, la solidarietà familiare fatica a reggere tutti i carichi. "E in Trentino infatti - ci dice il prof. Antonio Schizzerotto, Ordinario di Sociologia all’Università di Milano Bicocca, nonché coordinatore del Comitato scientifico presso l’Osservatorio Permanente del Sistema Economico-Sociale Provinciale - più che nel resto d’Italia, esiste una lodevole propensione ad accogliere i genitori della coppia nella famiglia, qualora non siano completamente autosufficienti. Questa naturalmente per l’anziano è una situazione preferibile al ricovero. Ma ecco che anche qui sorgono dei bisogni che non sono pienamente soddisfatti. E’ vero che esistono le case di riposo, ma si deve pensare la necessità di intervenire a sostegno delle famiglie".
La famiglia, dunque, va aiutata perché è sempre più incombente il rischio della disgregazione. E lo dimostrano i tanti disagi psico-fisici espressi da membri famigliari, in prevalenza donne, che fra le mura domestiche si occupano dell’assistenza di congiunti non autosufficienti, come emerge da una ricerca condotta sul nostro territorio. Urgono perciò politiche che sappiano dare un adeguato alleggerimento e riconoscimento sociale al lavoro di cura.
E la famiglia, in Trentino, si è affievolita nelle energie non solo perché è più piccola, ma anche più vecchia. Si sa, nascono meno bambini: l’indice medio di figli per donna nella nostra Provincia si è quasi dimezzato dagli anni ‘70, raggiungendo l’1,25 nel 1999. Naturalmente questo calo di natalità, diffuso peraltro a livello nazionale, è dovuto a diverse ragioni, in primis al fatto che il matrimonio e la nascita del primo figlio sono posticipati in età più avanzata. C’è poi da chiedersi quanto le politiche sociali abbiano supportato la strada, tutta in salita, dell’emancipazione femminile.
"Esiste una pluralità di donne -ricorda Schizzerotto - per le quali, la partecipazione al mondo del lavoro diventa difficile da conciliare con le responsabilità domestiche e famigliari: per cui ci vogliono interventi atti a fissare dei tempi di lavoro più ragionevoli, più flessibili, più modulari… Più che il part-time vedo la necessità di orari flessibili: sull’arco della giornata, del mese e dell’anno. Poi sarebbero necessari dei cambiamenti culturali: la divisione uomo-donna del lavoro domestico dovrebbe essere meno asimmetrica".
Uomini poco collaborativi? C’è da dire che rispetto al passato i maschi trentini, sempre più alle prese con pappe e pannolini, hanno riscoperto la "paternalità", o meglio il piacere della cura dei figli. Tuttavia, gli impegni di accudimento gravitano in gran parte sulle donne, e lo testimonia il fatto che il part-time è una scelta tutta al femminile. Tant’è che nella nostra Provincia, ne usufruiscono, secondo i dati del Servizio Statistica PAT 2002, il 22,8% delle lavoratrici sul totale degli occupati contro il 2,2% dei maschi.
E sempre in tema di supporti alle donne, - sottolinea il professore – è importante "far funzionare le istituzioni formative in modo più adeguato e più consono alle esigenze di partecipazione del mercato del lavoro della componente femminile. Ad esempio, è ampiamente noto che i posti negli asili nido sono decisamente contenuti ed insufficienti rispetto ai bisogni della prima infanzia (ed infatti, come si evince dal grafico 2, non tutte le valli trentine risultano adeguatamente coperte per la fruizione di questo servizio, n.d.r.). Sappiamo invece che per le scuole materne la situazione è decisamente migliore: registrano tassi di scolarità intorno al 98-99%". Inoltre, sarebbe necessario favorire tempi più elastici di funzionamento anche, ad esempio, con "una maggiore flessibilità degli orari della scolarità d’obbligo".
Ed in ambito di politiche famigliari e offerta di servizi – precisa Schizzerotto - "non si può chiedere solo all’ente pubblico di produrre servizi, anche se è chiaro che esistono delle responsabilità della società politica e di altri attori…. Credo che si debba trovare un ragionevole mix tra l’intervento della società politica, il sostegno cooperativo e l’intervento dei singoli. Io credo che siano problemi collettivi rispetto ai quali l’intera società civile e non solo la società politica dovrebbe muoversi; d’altra parte, non è neppure pensabile che tutto venga privatizzato, perché ci sono dei problemi di equità nelle possibilità d’accesso ai servizi per la persona e per la famiglia, nei confronti dei quali la completa assenza dell’ente pubblico potrebbe essere ancora più dannosa di quella attuale. Privatizzare tutto sarebbe un errore altrettanto evidente; il pubblico potrebbe invece, ad esempio, limitarsi a sovvenzionare iniziative di stampo cooperativo, volontaristico; questo soprattutto per il Trentino, che ha lunghe tradizioni cooperative alle proprie spalle".
Abbiamo parlato finora dei fattori che possono incidere sul basso tasso di fecondità, ma non dobbiamo scordare che in Trentino anche il tasso di formazione delle famiglie è decisamente contenuto, specie nelle giovani coppie. I trentini si sposano meno, scelgono frequentemente le unioni civili e spesso decidono di spezzare il legame coniugale, sebbene i dati sul totale di separazioni e divorzi (0,39% sul totale delle famiglie nel 2002), siano in linea con la media del Nord-Est (0,38%) ed inferiori a quella nazionale (0,58%).
Ma benché il matrimonio rimanga un traguardo importante e la scelta preferita per vivere in coppia, spiccare il volo e costruire un nuovo nido, per i giovani trentini non è un’impresa facile."Un buco delle politiche famigliari del Trentino, - commenta Schizzerotto - ma anche probabilmente del Nord-Est e di tutta Europa è proprio questo: mancano delle politiche per la formazione delle nuove famiglie e per la tutela delle giovani coppie che vogliono avere figli. L’accesso alla casa è obiettivamente difficile, cioè se non c’è il babbo o la mamma che regalano l’appartamento, il mercato della casa non è avvicinabile, se non sotto forma d’acquisto: chiaro che una coppia giovane non ha le risorse per comprarsi un appartamento.
Dopo di che esistono i problemi dell’instabilità occupazionale, non della disoccupazione: lavori temporanei, a durata determinata, che riducono le risorse a disposizione delle giovani coppie, che quindi prima di imbarcarsi ad avere dei figli ci pensano molto".
Da questa rapida zoomata sui vari volti della famiglia trentina, abbiamo capito che i suoi bisogni sono articolati e complessi. A fronte di ciò, è naturalmente difficile intervenire su ogni aspetto. Ma una domanda sorge spontanea: come si possono approntare interventi adeguati, senza una conoscenza a tutto campo della famiglia e del suo modo d’essere?
Forse proprio qui sta il punto: "Quello che manca in Trentino ma anche a livello nazionale ed internazionale - conclude Schizzerotto - è sapere esattamente quali siano i bisogni delle famiglie e come si sviluppino e manifestino nel tempo: per poter stabilire quali sono i modelli d’intervento più efficaci".
Non ci resta, quindi, che auspicare per il futuro, più che polemiche ideologiche, una maggior attenzione ed approfondimento sul tema della famiglia, sia in ambito politico che accademico.