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L’immagine di una città

La fisionomia odierna di un centro storico non è il risultato immodificabile di un progetto coerente.

Esiste, nel Tirolo, la legge provinciale n. 61/1976, "sulla tutela dell’immagine caratteristica delle città e dei villaggi". In luglio, il Consiglio provinciale (nella sua ultima seduta prima delle elezioni del 28 settembre) discuterà su un disegno di legge per una riforma quasi radicale di questa legge. Si tratta, per la verità, della terza versione di questo benedetto ddl; la prima era dell’ottobre scorso, ed aveva mandato su tutte le furie sia gli architetti che i costruttori.

Negli anni Settanta dello scorso secolo, abbiamo vissuto una rinascita dell’idea della tutela delle città, dopo le orge di demolizione e di cementificazione modernizzatrice del miracolo economico degli anni Sessanta. Non sarebbe una facile battuta dire che il boom di quegli anni, per le città, era un disastro quanto le bombe della guerra mondiale. Dunque, avviare un discorso sulla tutela dei tratti caratteristici, della fisionomia delle città, era un gran bene.

Però... Il primo articolo della legge n. 61 stabilisce che vanno "conservate" le strutture architettoniche ed urbanistiche caratteristiche, sia dal punto di vista strettamente architettonico che da quello delle "organiche" funzioni di utilizzo, da tutelare nei confronti di cambiamenti "svantaggiosi".

Ma cos’è un cambiamento "svantaggioso"? C’è ovviamente chi dice che il vecchio ha un suo valore intrinseco, e che, di conseguenza, ogni cambiamento è un male da evitare. In fin dei conti, cambiare la fisionomia delle zone tutelate dalla legge sarebbe vietato. La città va conservata tale e quale.

Per decenni, questa tendenza era maggioritaria in seno al comitato scientifico che, in base alla legge, doveva dare il suo parere su tutte le licenze (di demolizione, di ristrutturazione, di nuova costruzione) per le zone di tutela (definite, su proposta del consiglio comunale, da ordinanze della giunta provinciale). Il parere del comitato scientifico non era vincolante, l’amministrazione comunale poteva anche non tenerne conto, ma l’iter burocratico, di regola, era lungo e tortuoso, e le polemiche certo non mancavano.

Negli anni novanta, il discorso cambiò. Gli architetti sessantottini finalmente erano in maggioranza nelle strutture dell’Ordine degli architetti, e così abbiamo vissuto una vera e propria svolta: finalmente, l’architettura tirolese smise di essere localistica, campanilistica, per aprirsi allo sviluppo europeo, e produsse architetti di statura internazionale. Ad esempio - per citarne alcuni - Peter Lorenz, che vince concorsi in tutto il mondo ed è docente di architettura sia a Venezia che a Hong Kong; Rainer Köberl, in mostra alla Biennale di Venezia, e Georg Pendl, che per un pelo non vince il concorso per un centro culturale a New York. E ancora Dominique Perrault, che costruisce non solo il nuovo municipio di Innsbruck, ma anche un supermercato per una catena locale, e Zaha Hadid, autrice del nuovo trampolino sul Berg Isel. E chi crede che il sottoscritto soffra di un eccesso di patriottismo cittadino, vada a Milano a vedere l’esposizione dell’architettura contemporanea dell’Austria occidentale.

Questa nuova generazione di architetti (ma anche chi li fa lavorare, il Comune in prima linea, che organizza concorsi a catena, come pure costruttori privati) non è più disposto a credere che il vecchio è bello sempre e comunque. Con il loro Ordine, con iniziative private, e con il Foro per l’architettura, un centro culturale di gran valore e prestigio, iniziano un discorso pubblico su una nuova cultura urbanistica. In sostanza: bisogna, sì, rispettare l’esistente, ma la città non è un museo, è un organismo vivente, in continuo sviluppo, e una città che non cambia è già morta. Ci può, anzi ci deve essere concorrenza, confronto e dialogo fra il patrimonio architettonico e l’architettura contemporanea.

Questo movimento per una nuova cultura del costruire (che non ha niente in comune con il vecchio piatto modernismo post-bellico, quello delle ruspe e del cemento) ha trovato anche il suo manifesto, scritto dal decano della teoria dell’architettura, Friedrich Achleitner, che possiamo così riassumere: non farti un’immagine della tua città, bisogna capire che quell’immagine, quella fisionomia che percepiamo come un valore estetico, non è una cosa fuori del tempo e della storia. E’ un fenomeno storico, non un ideale estetico. Voler conservare, costi quel che costi, quest’immagine, equivale al tentativo di dichiarare la fine della storia, è insomma un’impresa allo stesso tempo romantica e reazionaria. Non a caso la prima fioritura delle idee della conservazione dell’immagine urbana avvenne, appunto, col romanticismo, al tempo della costruzione dello Stato-nazione, con tutto un patrimonio - spesso mitico - definito in funzione nazionale. Ricordiamo che Karl Popper ha definito la nazione come un gruppo sociale tenuto insieme dagli stessi malintesi sulla propria storia.

La fisionomia della città che percepiamo come un disegno armonioso ed inequivocabile, in realtà è la fotografia dei risultati di un lungo processo di interventi (anche brutali), di lotte sociali, politiche e culturali, di lotte per l’egemonia culturale di diversi strati (e, perché no, classi). L’imperatore Massimiliano (uno dei piú grandi geni della comunicazione e delle pubbliche relazioni) non esitò a costruire un palazzo rinascimentale nel gotico centro storico della città. I nobili del Settecento non esitarono a confrontarlo con un palazzo in stile ultra-rococò. La borghesia cittadina della fine dell'ottocento costruì il primo supermercato dell’epoca a cento metri di distanza.

Questo è il centro storico, il gioiello estetico della città. Costruzione armonica, interventi organici? Un accidente! Questi qua erano sicuri di sé, si sentivano nel giusto, hanno parlato la loro lingua architettonica contemporanea, e producevano qualità. Ed è questo che conta: la qualità, appunto. Non l’organicità.

Sotto la tutela del comitato scientifico, in mano ai conservatori, ai musealisti, era possibile quasi tutto, finché non compromettesse lo status quo. Bisognava "citare" l’esistente, con ciò si era sicuri di passare l’esame. Essere discreti, fino al punto di essere noiosi, non creare alcun disturbo, e l’affare era fatto.

Il nuovo disegno di legge, dunque, sembra il risultato di lotte epiche fra alcuni architetti rinomati (e tollerati dall’amministrazione comunale) ed il comitato scientifico, negli anni Novanta. La prima versione, però, era ancora segnata dai conservatori. In un confronto lungo e difficile, gli architetti l’hanno riscritto, insieme a qualche coraggioso funzionario della Provincia.

Ora, il primo articolo del ddl recita: "Questa legge vuole promuovere la qualità architettonica. Zone cittadine e gruppi di edifici da tutelare in quanto caratteristici per la fisionomia della città vanno conservati nella loro struttura e visibile sostanza, vanno sviluppati e, se necessario, migliorati... Questa legge mira ad una sintesi fra architettura storica e contemporanea, tenendo conto sia della tradizione locale che delle esigenze dello sviluppo della città". E scusate se è poco.

Le motivazioni che accompagnano il ddl parlano ancor piú chiaro: A pag. 58, si legge testualmente (come se Achleitner fosse stato il ghostwriter): "Bisogna vedere la città come un’entità storicamente cresciuta. Ne consegue che anche nel centro storico ci deve essere spazio per uno sviluppo architettonico, anche per un confronto fra edifici storici e contemporanei... Un atteggiamento storicistico, che in verità nega sia la storia che la contemporaneitá, va evitato". E quando si tratterá di valutare pareri scientifici e perizie, per rilasciare o no le licenze per costruzioni, queste motivazioni del legislatore peseranno come pietre...

E’ già un piccolo miracolo che un testo così ce la faccia a arrivare in aula. Ma è iscritto all’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio. Ovviamente, i tradizionalisti danno battaglia, e non si sa ancora come andrà a finire. Dipenderà anche dal Capitano, il quale di urbanistica si intende, e col cuore sta dalla parte dell’architettura contemporanea.

Ma siamo alle fine della legislatura, e la sua campagne elettorale sarà caratterizzata da un forte conservatorismo; il Capitano si presenta come padre-padrone della destra, e forse non vorrà disturbare il nucleo duro dei tradizionalisti. Insomma, il ddl governativo potrebbe anche sparire nel nulla, magari per riapparire dopo le elezioni. Oppure sarà emendato dalla maggioranza popolare.

Vedremo. Intanto ci siamo goduti un pochino di aria fresca europea...