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Fumo: licenza di uccidere

A proposito dello Stato-tabaccaio, e delle sigarette "leggere".

Per quanto riguarda il fumo, attivo e passivo, lo Stato italiano è in flagrante contraddizione. L’articolo 32 della Costituzione impone che la Repubblica tuteli la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La salute infatti è il primo requisito essenziale per la libertà dell’individuo, ed è noto che il costo della sanità incide pesantemente sull’interesse collettivo. Secondo la unanime interpretazione dell’articolo 32, lo stato di salute deve essere garantito, positivamente e attivamente, a ogni cittadino. Garantire la salute vuol dire quindi assicurare la cura e la riabilitazione in caso di malattia o di infortunio, ma soprattutto la prevenzione, sia per quanto riguarda l’ambiente, sia per i cibi e per qualsiasi sostanza ingerita.

Il fumo, come è noto, fa male, nuoce gravemente alla salute come è scritto su ogni pacchetto di sigarette in forza dell’articolo 46 della legge 29 dicembre 1990 n° 428. E’ sufficiente accostare l’articolo 32 della Costituzione alla legge appena citata per cogliere subito la contraddizione: lo Stato, che deve garantire la salute, produce e vende invece un prodotto fortemente tossico che provoca il cancro, come testualmente dice la legge 29-12-90 n° 428. In parole semplici, lo Stato fa il contrario di quello che dovrebbe: invece di prevenire, concorre nel produrre malattie gravi, violando il diritto alla salute e colpendo gli interessi della collettività. La contraddizione è insanabile. Potrebbe essere sciolta solo se lo Stato trovasse il coraggio (fiscale!) di rinunciare al monopolio, lasciando eventualmente ai privati la terribile responsabilità di uccidere col fumo.

Perdurando la contraddizione, essa è causa di ipocrisie di ogni tipo. Per esempio la legge sopra citata impone di avvertire il consumatore che il fumo provoca il cancro e nuoce gravemente alla salute. Come dire: uomo avvisato mezzo salvato. Ma non è così! Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità il fumo uccide ogni anno 90.000 persone in Italia, 500.000 in Europa, 3 milioni nel mondo.

Sperare che le multinazionali del tabacco trovino delle motivazioni etiche per creare sigarette non cancerogene sembra molto utopistico. Ciò vale, ovviamente, anche per lo Stato italiano. Nascono così nuove ipocrisie, come l’apposizione della dicitura lights nelle confezioni di alcuni tipi di sigarette. Propaganda ingannevole e perniciosa perché si traduce in un apprezzamento della caratteristica del prodotto, che risulta idoneo a orientare le scelte di acquisto dei consumatori. Costoro associano alla dicitura lights l’individuazione di un prodotto dal gusto diverso e più leggero rispetto alle sigarette normali e per un minor tenore di condensato e di nicotina, e ritengono che abbia minore dannosità.

L’indicazione lights assume pertanto una specifica finalità promozionale di sigarette altrettanto pericolose.

Recenti studi e il dibattito scientifico hanno messo in luce che non sono minori i danni alla salute provocati dal fumo di sigarette leggere rispetto a quelli prodotti da sigarette normali. Gli oncologi italiani anzi ritengono che le sigarette ritenute ‘leggere’ siano più pericolose delle altre: se ne fumano di più, per compensare la minore quantità di nicotina che, quindi, finisce per essere assunta in dosi superiori. Inoltre, considerate erroneamente sigarette a minor rischio, sono le preferite dalle categorie di fumatori in aumento: i giovani e le donne.

Il recentissimo provvedimento n° 11204/02 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha stabilito che la dicitura "lights" sui pacchetti delle sigarette Marlboroè ingannevole, perché atta a convincere il consumatore che il prodotto è meno pericoloso per la salute. La interessante decisione anticipa gli effetti della direttiva 2001/37 della Commissione europea che dal 30 settembre 2003 vieterà ai produttori di sigarette l’uso della dizione lights e simili.

Una ipocrisia in meno, ma la licenza di uccidere rimane.