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“La macchina di sorveglianza”

La macchina di sorveglianza. La ricognizione aerofotografica italiana e austriaca sul Trentino, 1915-1918. A cura di Diego Leoni, Patrizia Marchesoni, Achille Rastelli. Museo Storico in Trento, 2001.

Capita che un libro contenga, almeno in potenza, tanti libri. In questo caso accade anche materialmente: la prima parte è dedicata ad una serie di saggi, la seconda è uno stupendo atlante fotografico del Trentino ripreso dall’aereo negli anni della prima guerra mondiale, la terza è un raffinatissimo cd rom allegato, intitolato "Album di volo" e costruito in buona parte con i documenti fotografici di un pilota dell’aviazione austroungarica, il trentino Mario Tschurtschenthaler. Ma il carattere composito, aperto, generoso di questo volume sta innanzitutto nella varietà dei punti di vista da cui viene affrontato il tema. Che è, in apparenza, un tema specifico e freddo: la ricognizione aerofotografica italiana e austriaca sul Trentino 1915-1918, come recita il sottotitolo. Non un libro sull’aviazione come arma della nuova guerra (c’era già allora chi, come l’ufficiale italiano Giulio Douhet, predicava l’efficacia terrificante dei bombardamenti aerei come carta decisiva per i futuri conflitti), né sul mito del duello nell’aria come moderna forma di cavalleria, né sulla propaganda dal cielo di ispirazione dannunziana, che aveva avuto il suo momento più spettacolare nel volo su Vienna del 9 agosto 1918.

L’aviatore Mario Tschurtschenthaler.

La ricognizione aerea è un aspetto poco considerato della modernità della Grande Guerra, in grado di modificare profondamente l’organizzazione dei servizi informativi, fornendo una quantità enorme di dati sugli eserciti nemici e sui territori coinvolti nei conflitti. Tra quelli che meglio lo capirono ci fu un trentino, il geologo Giovanni Battista Trener, cognato di Cesare Battisti e come lui arruolato volontario nell’esercito italiano. Trener mise a punto un metodo di lettura delle foto aeree, che espose anche in un pionieristico manuale, mettendo a frutto la sua esperienza e versatilità di studioso del territorio. La novità del suo contributo è messa in luce nel volume da un saggio di Achille Rastelli, eccellente per chiarezza e ricchezza d’informazione.

Trener è un protagonista della cultura trentina tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, a lui si devono tra l’altro la rinascita del Museo Civico di Trento, nel primo dopoguerra, e la sua trasformazione in un museo regionale con respiro nazionale ed oltre: è in definitiva il padre fondatore dell’attuale Museo Tridentino di Scienze Naturali, che intendeva innanzitutto come luogo di promozione della ricerca sulla natura delle Alpi. In un denso scritto introduttivo, Diego Leoni (cui si deve in massima parte il progetto di questo libro) connette l’apporto di Trener a tutto il lungo lavoro degli intellettuali trentini per la conoscenza/appropriazione del territorio, perlomeno dalla metà dell’Ottocento in poi. Scienze naturali, archeologia, alpinismo furono in quell’epoca strumenti di una appassionata battaglia per la conquista e la nazionalizzazione dello spazio alpino.

Su quello spazio conteso volarono i piloti e gli osservatori di guerra, fotografando paesaggi che nessuno aveva mai visto come li vedevano loro. L’atlante costruito selezionando le fotografie degli archivi italiani e austriaci si presta, come tutto il volume, a diversi piani di lettura. Camillo Zadra, introducendo un altro recente volume di fotografie di guerra, "Il fronte immobile", a cura di Tiziano Bertè e Antonio Zandonati (edito dal Museo della Guerra e dedicato a tredici grandi panorami dal Monte Baldo al Cimon d’Arsiero), esprime la preoccupazione che allo sguardo d’oggi sfugga il punto di vista che ha originato quelle immagini, rischiando così di non vedere "ciò che allora era l’unico oggetto di interesse". Nell’osservare questi documenti, scrive, "si tratta dunque di riscoprire un punto di vista che non ci appartiene più ed adottare un approccio a queste immagini, funzionale agli obiettivi che allora si dovevano raggiungere (la rilevazione di tracce), alle domande cui allora si doveva rispondere (le forme della presenza del nemico), alla comprensione dei sistemi di segni che allora si dovevano ricomporre".

Folgaria in una foto aerea scattata il 16 maggio 1916.

Sono osservazioni che si possono estendere alle foto aeree di questo libro e che mi sembrano del tutto condivisibili, come antidoto ad una lettura ingenua o banalmente estetica. Ma è altrettanto fecondo, dal punto di vista conoscitivo, che in questi documenti di quasi novant’anni fa lo sguardo cerchi di individuare, per contrasto, i mutamenti della vegetazione, gli sviluppi degli abitati, i percorsi delle strade e dei sentieri, insomma la trasformazione storica del paesaggio. La "macchina di sorveglianza" è oggi per noi una suggestiva macchina del tempo. E quelle fotografie di montagne sfolgoranti, quelle "visioni", come le chiama il libro, sono anche la testimonianza della scoperta di una bellezza nuova, non solo un documento di spionaggio celeste. A maneggiare quei prodigiosi apparecchi erano uomini capaci di emozioni, anche se non si chiamavano D’Annunzio o Marinetti. Uno di loro, Mario Ceola, racconta in un suo scritto memorialistico, "Dalle trincee alle nubi" (edito, anche in questo caso, dal Museo della Guerra): "Non so esprimere i sentimenti provati durante questa prima ricognizione sul nemico. (…) All’orizzonte i colossi delle Alpi, Monte Bianco, Adamello, Ortler con i loro ghiacciai cilestrini ed i nevai bianchissimi, che dal mio aereo sembravano inviolati ed inviolabili. Ma ben sapevo che anche fra quelle solitudini superbe e desolate l’uomo viveva e vigilava, pronto ad uccidersi nel nome di quella stessa civiltà e di quello stesso Genio Superiore che aveva inventata la macchina sicura e superba che mi stava portando a compiere una serie di atti, i quali erano per se stessi preludio di distruzione e morte".

Non è il passo di un grande scrittore, ma ha il pregio di metterci sulla strada di uno dei paradossi insiti nelle nuove esperienze che i combattenti della Grande Guerra andavano facendo. Un potente mito della natura (e in particolare della montagna) si andò affermando proprio mentre la guerra si appropriava violentemente della natura e della montagna.

Oltre a registrare i segni delle minute trasformazioni fisiche, le foto aeree di questo libro spingono a riflettere anche su questo passaggio culturale.