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Ricerca e mercato

Una volta la cenerentola del bilancio dello Stato era la scuola, e se ne vedono da tempo le conseguenze negative.

Ora prende il suo posto la ricerca scientifica, applicata e di base. La percentuale di spesa della ricerca è attualmente dell’1,04% del prodotto interno lordo. Una miseria. Gli altri paesi europei ci superano largamente. La Svezia e la Finlandia sono al primo e al secondo posto rispettivamente col 3,78% e con il 3,37% del Pil.

La conseguenza è che l’Italia è all’ultimo posto nel numero di ricercatori e di nuovi dottorati di ricerca, ultima nelle prestazioni scientifiche, nelle tecnologie, nelle esportazioni di hi-tech.

Eppure le intelligenze non mancano. Molti nostri studiosi brillano nell’orizzonte internazionale, ma per brillare devono cambiare emisfero. Così si dà il caso che ricercatori italiani vanno all’estero e vincono il premio Nobel.

Se il presente della ricerca è brutto, il futuro è ancora peggio. Gli economisti avvertono che il pilastro su cui si costruisce l’avvenire è l’innovazione scientifica, che in Italia praticamente non esiste. Philip Busquin commissario europeo per l’innovazione ha recentemente dichiarato: "Per l’Italia il deterioramento continua, dato che ha diminuito le spese per la ricerca. Confesso di essere preoccupato. Capisco che per i problemi di bilancio pubblico bisogna stringere i cordoni della borsa, ma investire sull’avvenire è fondamentale". Per diventare competitivi occorrono 4 o 5 anni, e intanto l’handicap italiano ricade su tutta l’Europa. "La debolezza dei grandi Paesi - ha dichiarato ancora Busquin - non può essere pareggiata dalla forza di quelli piccoli". Svezia, Finlandia e Danimarca per molti parametri sono al livello degli Stati Uniti, ma ciò non impedisce il ritardo del complesso europeo. E’ una gara in perdita nell’economia della conoscenza che pesa sull’Europa. I dati dicono che l’Italia è un traino pesante, mentre potrebbe essere un motore di spinta.

La verità è che nessun sistema industriale punta così poco sul futuro come quello italiano. I liberisti giustificano lo stato di cose con la battuta "la ricerca non sfugge alle regole del mercato". Battuta priva di fondamento sol che si rifletta alla natura della ricerca. Ha osservato il prof. Enrico Bellone nell’editoriale di "Le Scienze" dell’ottobre 2002 che le scoperte della ricerca fondamentale non sono programmabili, e sul breve termine non servono ad alcunché di commerciale, a niente di fatturabile. "Qui sta il fascino della scienza di base: vive di libertà intellettuale, di curiosità per il mondo e di eventi inattesi".

Senza ricerca fondamentale, non esiste innovazione tecnologica. Ecco perché i governi avveduti finanziano la libera ricerca di base senza legarla al mercato: essi sanno che la libera società della conoscenza genera nuove tecniche e produce ricchezza. Ne consegue che bisogna rovesciare la tesi mercantilistica e affermare, come fa il prof. Bellone, che "le regole del mercato non sfuggono alla ricerca".

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