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Lettera da Gaza/ 5

Fabrizio Bettini

La notizia arriva sempre serafica e diretta come uno sparo; inizialmente è frammentaria, poi si aspettano le conseguenze. La notizia è quella di un attacco suicida. Delle volte in Israele altre volte negli insediamenti.

Ibrahim era di Hamas. Chi lo conosceva o ha sentito parlare di lui dice che non apparteneva a nessun gruppo, semplicemente era animato da un desiderio di vendetta. Aveva visto molti amici morire negli attacchi israeliani, compreso il figlio di sua sorella, un bambino. Una mattina Ibrahim si è alzato come tutte le mattine e si è recato in un insediamento che si trova nei pressi di Rafah; era armato ed ha aperto il fuoco su chi gli capitava a tiro. Il risultato è stato di due persone morte e molte altre ferite. Ibrahim non si è fatto esplodere, ha sparato con un’arma automatica. Prima di essere ucciso dai proiettili della sicurezza israeliana ha avuto il tempo di tentare una fuga disperata.

Per molti Ibrahim è un eroe, è considerato un "martire". Quando chiediamo un perché, qualcuno risponde che Ibrahim amava più la sua patria che la sua famiglia. C’è anche chi, però, capisce l’inutilità del suo gesto.

Le foto che lo raffigurano sono ora appiccicate nei pressi della sua casa, ormai ridotta in macerie dalla rappresaglia israeliana. La casa dove viveva Ibrahim con la moglie diciottenne e il figlio di pochi mesi era di quattro piani e oltre alla sua ci vivevano anche le famiglie di altri sei fratelli, oltre al padre e alla madre.

Di fronte alle rovine, con le foto attaccate sui pavimenti inclinati dall’esplosione, ci sono sette tende, che ospitano i famigliari, ora senza tetto. Gli abitanti della casa erano in totale 52 e 22 i bambini.

Era un giovedì notte; poche ore prima, durante la mattinata, era arrivata la notizia dell’attacco compiuto da Ibrahim. Sono arrivati, a mezzanotte, tre tank, tre buldozer, poliziotti, soldati, cani. Elicotteri Apache sorvolavano il cielo. Sono rimasti due ore, il tempo di far uscire tutti dalla casa e far detonare l’esplosivo.

Due boati si sono portati via la casa con la stessa cieca violenza e voglia di vendetta con cui i colpi sparati dal fucile di Ibrahim hanno portato via la vita di due coloni israeliani, che abitavano oltre il muro fortificato che si vede anche dalla casa.

I fratelli lavoravano in Israele, ma ora tutti hanno perso il permesso di valicare il check point di Erez. Uno zio che lavorava nell’insediamento dove è avvenuto il fatto è stato arrestato e di lui non si sa ancora nulla.

Cosa c’è di eroico nell’uccidere persone e nell’abbattere case? Cosa c’è di eroico nella rabbia che raffforza le file dei gruppi che applicano una strategia di terrore? Cosa c’è di eroico in un esercito che uccide e occupa una terra che non è la sua?

Israele è distante una decina di chilometri, ma negli insediamenti tutto è israeliano. Ibrahim ha sbagliato, non ci sono giustificazioni, ma quello che si capisce vivendo qui è che questa rabbia esiste e che la fabbrica di questo odio è l’occupazione. Sono gli insediamenti, sono i check point che impediscono di muoversi dentro la Striscia di Gaza. Sono le case sotto coprifuoco con l’imbrunire, sono le ingiustizie quotidiane che hanno preso il sapore della normalità.

Rabbia è il sentimento che provo anch’io di fronte alla violenza, da qualsiasi parte venga. Rabbia perché perdono i palestinesi e gli israeliani che vogliono giustizia e libertà per tutti. Rabbia perché ogni morto, ogni ingiustizia è un passo in più verso il baratro.

La moglie di Ibrahim, diciotto anni, ha ricevuto la notizia dal chiacchiericcio del taxi che la portava presso il locale ospedale per curare il figlioletto raffreddato. Era l’unica a sapere che sarebbe successo, ma non sapeva quando. Non voleva essere la moglie di un "martire", non voleva essere vedova, ma suo marito non l’avrebbe più amata se lei avesse fatto qualche cosa per impedirgli di ammazzare e essere ammazzato. Magari credeva veramente che il miglior modo di amare suo marito fosse il silenzio.

Non ho visto e non ho parlato con la vedova, ma me la immagino con uno sguardo da bambina, ora vedova di un eroe, forse convinta che il marito sieda vicino a Dio, ma anche distrutta dall’assenza.

Se avesse avuto la forza e il coraggio di fermarlo...