Rovereto: la festa della biblioteca
Una fiumana di cittadini, non solo roveretani, ha occupato pacificamente per quasi tre giorni questa nuova grande casa di tutti.
"Sono stato all’inaugurazione dei nuovi spazi della nostra biblioteca. Mi sono fatto la doccia, mi sono risbarbato, ho indossato l’abito buono e ho messo la cravatta che mi piace di più: stavo andando a una festa. Festa della città e festa, quindi, anche mia" - mi ha scritto un amico gentile, aggiungendo di aver avuto in mente, durante questa preparazione rituale, qualche mia parola che non aveva dimenticato.
"Quando entro nella nostra biblioteca (quando ci entro con agio, senza la fretta di un qualche compito da sbrigare) mi sento e sono un signore. Ho mezzo milione di libri e documenti a mia disposizione, posso consultarli in uno scenario piacevole e degno, posso riprodurli o farmeli prestare, a seconda dei casi, dispongo di uno scaffale ideale con mille periodici correnti. Sono ricco, perché beneficio di una forma concretissima e dolce di comunismo, attraverso la messa in comune dell’eredità di molte generazioni": è a questi pensieri che si riferiva il mio interlocutore, messi su carta in un’occasione in cui dovevo spiegare in sintesi perché si investivano le nostre risorse in nuovi spazi.
Nella straordinaria festa dei giorni scorsi mi è parso che a moltissimi altri venissero in mente suggestioni simili. Una fiumana di cittadini, non solo roveretani, ha occupato pacificamente per quasi tre giorni questa nuova grande casa di tutti, cominciando a sperimentare, senza filtri né imbarazzi, uno spazio di vita più largo, più aperto, più accogliente. Le parole che si captavano nell’aria erano di apprezzamento, sorpresa, gioia, orgoglio, entusiasmo: per una volta non c’è stato nessuno che si sia lanciato alla caccia dei difetti o dei problemi irrisolti, che sicuramente ci sono, ed ha prevalso su tutto la consapevolezza che siamo, o possiamo essere, più ricchi. E poi c’è stata la bellissima ritualità democratica dei due giorni di lettura, dove centinaia di lettori sono stati protagonisti, non solo "utenti": una rappresentazione spontanea, quasi formatasi da sé, del pluralismo, della vastità e varietà dei linguaggi del nostro tempo, della vitalità profonda e del tempo lungo di una collettività (ancora una volta, più vasta di quella di Rovereto).
Qualcuno aveva temuto una sorta di sagra del dilettante: è stata invece un’occasione per far emergere, se mi si passa l’espressione, un’aristocrazia culturale di massa. Il nuovo Mart, insomma, avrà accanto a sé non un generico, per quanto apprezzato, servizio pubblico, ma uno spazio permanente di cultura viva. Che non avrà bisogno di costose campagne di comunicazione per attirare pubblico: nei primi giorni di apertura normale, sedie e tavoli erano già occupati, segnalando che è meglio non perdere tempo per completare il lavoro attraverso il restauro del rosminiano Palazzo dell’Annona, già progettato e finanziato. Tra i bei pilastri settecenteschi (la cui eleganza classica chiama ad un duro confronto i neri cilindri dell’architetto contemporaneo) avranno spazio, al piano terra, gli studenti universitari e al primo piano quanti avranno necessità di consultare le carte d’archivio e le edizioni rare. Sopra ancora, resteranno le affascinanti librerie dei magazzini, fatte costruire negli anni tra le due guerre da quel prete culturalmente dannunziano che era don Rossaro: un paesaggio dello spirito che non lascia indifferente nessun visitatore, si tratti di un ragazzo delle scuole o di uno storico del libro come Luciano Canfora. La strada della biblioteca roveretana, insomma, non si ferma a questa miracolosa festa.
Negli orizzonti futuri, c’è il raccordo con le altre biblioteche della città: quella del condomino Mart, che potrebbe fruttuosamente avvalersi di servizi e risorse comuni; quelle degli altri musei, sacrificate negli attuali spazi; quelle storiche delle scuole, in abbandono più o meno decoroso. Il grande ventre dei magazzini del Polo potrà finalmente ospitare gli archivi dispersi: quelli industriali in fase di censimento, quelli scolastici, noti e descritti ma sempre a repentaglio, forse anche quello del tribunale, sballottato di qua e di là e così importante per ricostruire la storia di un territorio molto più vasto della città in cui ha sede. Potrebbe tornare d’attualità l’ipotesi, spesso accarezzata, di una sede staccata dell’Archivio di Stato.
Per fare tutto questo, la biblioteca dovrà irrobustirsi anche sul piano dell’organizzazione. Il direttore Baldi merita il trionfo di questi giorni (come Sandra Dorigotti, che ha concentrato con lucida determinazione su questo passaggio le sue fresche energie di nuovo assessore), ma non potrà affrontare da solo compiti sempre più complessi: si sente l’esigenza di un comitato scientifico che lo affianchi, o di un consiglio di biblioteca ripensato come organo di governo, non più di mera e saltuaria partecipazione. L’affetto che c’è intorno a questa istituzione simbolo dovrà tradursi anche in forme di collaborazione strutturata, come accade nel caso del Museo Civico o secondo altri modelli.
Inizia una nuova fase, insomma, che reclama nuove idee e nuove fatiche. La costruzione del Polo è la condizione e lo stimolo per nuovi sviluppi: se qualcosa di analogo avverrà per il Mart, il grande investimento sarà stato non la soluzione di tutti i problemi, ma un possente fattore di dinamismo, oltre che il rilancio di un’identità urbana sovente appannata e incerta.