Il centravanti John Coltrane
Come avvenne l’invenzione del Jazz modale.
N el supplemento del giovedì del Corriere colgo la notizia che saranno proposte sul mercato riedizioni e compilation di registrazioni (sia note che inedite) di John Coltrane in occasione dei 35 anni dalla sua scomparsa. Mi metto in lista fra gli acquirenti e consiglio di fare altrettanto a tutti quelli che vedono la musica come un gioco avvincente cominciato tanto tempo fa, portato avanti dall’opera quotidiana dei bisonti ed esaltato dalle prodezze degli assi.
E John Coltrane era un asso, un Pelè, un Maradona. Per questo non riesco a definirlo jazzista, giacché non gli appartiene nessuna etichetta: era un campione e basta. I grandi musicisti sono un po’ come i grandi calciatori, imprimono una svolta al modulo di gioco (giocare e suonare in anglosassone sono lo stesso verbo: to play o spielen).
Un bel giorno un calciatore di nome Mortensen tirò un calcio d’angolo. Tutti si aspettavano un passaggio a centro area, come fino a quel giorno era sempre stato nella storia del calcio. Solo che al nostro Mortensen venne l’idea di provare a tirare direttamente in porta scommettendo come Einstein sul superamento della geometria euclidea. Fece un tiro ad effetto e insaccò. Da allora, durante i tiri dalla bandierina, c’è sempre un difensore a far da guardia al palo, non si sa mai. Mortensen ha lasciato il segno.
Un altro bel giorno anche Coltrane si trovò a dover battere un corner. Era già un sassofonista noto nel Jazz Bop degli anni cinquanta: aveva militato in squadre capitanate da goleador del calibro di Miles Davis e ciò avrebbe acquietato le aspirazioni di un buon mediano di spinta. Ma Coltrane si sentiva la missione del centravanti e per svolgere degnamente quel ruolo doveva risolvere un problema: la musica Jazz stava subendo una stagnazione. Dagli anni venti di New Orleans i jazzisti avevano perfezionato sempre più la tecnica dello sviluppare frasi melodiche, prevalentemente improvvisate, su un tessuto armonico rigido e ben definito. Fino a lì era funzionato tutto benone, grazie alla pulsazione atletica e incalzante dello swing che distoglieva l’attenzione dalla ripetitività della formula. Però il giochetto cominciava a farsi stantio. Come superare la prevedibilità dello schema?
Il nostro John aveva tre alternative: la prima consisteva nell’esplorare a fondo le possibilità del costruire la musica per accordi, pervenendo a strutture sempre più complesse e componendo brani di grande difficoltà di esecuzione con accordi in successione rapidissima. Inizialmente seguì proprio questa strada: emblematica la registrazione di Giant Steps con la performance imbarrazzante del pianista Tommy Flanagan che perde colpi e arranca dietro al vulcanico sassofonista.
La seconda strada poteva essere quella del free che in quel periodo stava intraprendendo Ornette Coleman, una specie di Schoenberg in versione afroamericana. Ma Coltrane non aveva l’istinto del gregario e grazie alla sua caparbietà pervenne alla terza strada, all’uovo di Colombo, al gol di Mortensen! Pensò: perché obbligare la linea melodica ad un inseguimento un po’ alla Willy Coyote dell’accordo? Perchè non lasciar libera la melodia di… fluttuare? Fu il primo ad intendere la musica Jazz come uno schema dinamico in cui le zone di marcatura (cioè gli accordi) si adattano all’estro del giocatore (cioè il musicista). Nasceva così il Jazz modale, che ripropone la nozione della musica antiqua: l’invenzione nasce e si sviluppa dalla melodia, una melodia che primeggia sugli accordi librandosi attraversando i vari "modi", cioè le varie scale della tonalità. In questo modo Coltrane fracassa la gabbia delle successioni armoniche scontate, il famigerato "giro di accordi". Da quel momento il suo sax somiglierà sempre più ad un vaso di Pandora.
I brani e lo stile di Coltrane apriranno nuove strade al Jazz, al Rock, alla musica contemporanea. La libertà tematica offerta dalla struttura modale permetterà straordinarie possibilità esplorative. Le invenzioni tematiche e i fraseggi, sia che poggino su tappeti ritmici marcati (come in My Favourite Things), sia che restino sospese su cadenze rarefatte (come in Lonnie’s Lament) sembrano tendere all’infinito, risultano evocativi e a volte ipnotici.
In effetti Coltrane nella vita era un mistico, teso alla ricerca di Dio. Questa connotazione lo fa ritenere da alcuni una specie di guru, un new-age ante litteram. Io piuttosto insisto ad associarlo a figure dello sport, tipo Cassius Clay: pure lui negro e mistico, il suo mestiere di tirare cazzotti lo sapeva fare quanto John Coltrane sapeva suonare. La new-age è un’altra cosa.