“Montagne di pace”: poche idee confuse
Presenzialismo, ovvietà, buoni sentimenti e un po’ di spettacolo. E’ così che si lotta per la pace?
Forse non tutti lo sanno, ma il 2002 è l’Anno Internazionale delle Montagne. Peccato che l’Himalaya, il Caucaso o il monte Songa in Burundi siano devastati dalla fame e dalle guerre. Così le autorità - trentine e non - hanno pensato a una "due giorni" (15/16 novembre) dal titolo "Montagne di pace": incontri e convegni, divisi fra Trento e Rovereto, più quello che potremmo definire uno "spettacolo informativo". Un’occasione per riflettere che, secondo noi, non ha centrato il bersaglio. Se infatti a Palazzo Trentini, Geremia o alla Regione, qualcosa, anche se poco, si è concluso, altrettanto non si può dire della serata "Dieci speranze di pace per dieci montagne in guerra", organizzata al Sociale.
Ci aspettavamo un discorso costruttivo e ci siamo trovati, invece, di fronte a un tam tam di interventi, per lo più scontati e vuoti, tipo "Vogliamo un mondo di pace e di giustizia", "Lottiamo per la convivenza fra i popoli", "Valorizziamo i confini" (montani, s’intende). Ma c’è bisogno di mobilitare eminenti personaggi per giungere a tali brillanti conclusioni? Sarà, ma la presenza di assessori, presidenti, giornalisti e dello stesso arcivescovo Bressan ci è sembrata piuttosto un riempitivo con tante, troppe comparsate sopra il palco. Per la serie "io c’ero".
Ma andiamo con ordine e, in mezzo a questa baraonda, cerchiamo di vedere i pochi lati positivi, seppur vanificati dal contesto. Innanzitutto le letture, con la voce di Castelli, da reportages e diari di guerra (Rumiz, Chiesa, Innaro, Botteri…). Pagine crude, di condanna e - non sempre - di speranza, che fanno o dovrebbero far riflettere. Il pubblico ha ascoltato ed ha applaudito puntualmente a ogni pausa prolungata. Come ai funerali di Stato.
Cosa si applaude? L’interpretazione? L’efficacia del brano? O è un modo per partecipare al dolore, standocene nel calduccio d’un teatro, e alleggerirci la coscienza? Tanto qui la guerra, quella vera, non arriva; e nemmeno il gas nervino. In compenso ci illudiamo di essere impegnati, interessati ai problemi degli altri, lontani dagli occhi ma non dal cuore. E’ il tipico difetto del mondo post-industriale, la civiltà dell’informazione. E "Montagne di pace" incarna perfettamente lo spirito del nostro tempo.
Il problema è che l’informazione, da sola, non basta. Sapere cosa accade serve, come serve conoscere una diagnosi, ma il bravo medico non si limita alla teoria: dopo passa all’azione. Qui invece le uniche proposte sono state quelle di Giulietto Chiesa e Giovanna Botteri, che hanno suggerito analisi e soluzioni degne di nota sebbene, purtroppo, utopistiche. Da un lato i governi dei 5 continenti dovrebbero riunirsi attorno a un tavolo per ridisegnare il quadro socio-economico mondiale, ridistribuendo le risorse in modo equo; dall’altro la maggioranza della gente, che "vuole la pace", dovrebbe imparare a non essere lassista, dato che la minoranza è più determinata e sa come averla vinta. Per il resto, solo i soliti buoni propositi. Non stupisce, a questo punto, che il titolo iniziale ("Dieci proposte…") sia stato sostituito all’ultimo momento da "Dieci speranze…".
Utili, comunque, qualche intervento di Bonavolontà e la presenza di padre Ibrahim Faltas. Uomo semplice e privo di retorica, il frate francescano ha messo a repentaglio la sua vita nei 38 giorni d’assedio della Chiesa della Natività a Betlemme. Poco importa che gli manchi una seria e approfondita analisi politico-sociale: il coraggio dice più di tante parole. E la preghiera, suo vero leit-motiv, non nega in questo caso il passare a vie di fatto. A lavarsene le mani, semmai, sono stati capi di governo e autorità (a parte, va detto, il Papa), salvo poi presenziare a cerimonie come questa. Tanto che abbiamo avuto persino la sgradevole impressione che qualcuno fosse lì per questione d’immagine o per vendere più copie del suo ultimo libro.
Il cinismo, però, preferiamo accantonarlo; meglio concentrarci sul vero sano scossone della serata. Alcuni attivisti new-global avevano adagiato uno striscione nell’atrio, "Giù le mani dal Movimento. Liberi tutti!", per gli arresti di Cosenza. Poi, civilmente e senza imposizioni, l’hanno sospeso con le mani dal primo ordine dei palchi. La scritta, nera eccetto il rosso di "movimento", è rimasta lì per tutto il tempo. Finché Giulietto Chiesa ha invitato quei ragazzi a dire la loro. Sul palco è salita una portavoce del movimento scelta a caso, che ha letto con fermezza un comunicato. La pace parte anche dalla democrazia… non era quindi un contributo fuori tema. Ma Tafner, il presentatore, deve aver pensato diversamente perché, dopo aver promesso un dibattito e più spazio al dialogo, ha optato invece per l’ultima lettura di Castelli (toccante, da Terzani) e, udite udite!, per l’esibizione in chiusura dell’orchestrina.
Così, invece che sentire le ragioni delle varie anime che compongono i new-global (difficile pensare che la pensino tutti allo stesso modo), ci siamo sorbiti di nuovo i Bulgarisch Tantz, che già ci avevano allietati in diversi intermezzi. Bravissimi, per carità, oltre al fatto di essere una band multietnica di slavi e italiani. Ma l’operazione è suonata come un diversivo musicale proprio nel momento in cui il pubblico era chiamato a pensare. Meglio l’allegria, la speranza, la retorica, in una formula di successo importata dagli Stati Uniti,: informazione + intrattenimento, o come dicono loro, infotainment. Cosa conta se poi noi italiani lo slavo non lo conosciamo e non sappiamo distinguere un testo d’amore da uno che parla dell’immigrazione?
F’impressione è che, nel complesso, la montagna abbia partorito un topolino. Non abbiamo lasciato un segno, non abbiamo deciso nulla di concreto. Ci siamo aggiornati su ciò che già in parte sapevamo o, almeno, immaginavamo: 5 miliardi di persone sono messi proprio male. Tutti d’accordo sul cosa; e, come al solito, nessuno o quasi ha spiegato il come.
Il rapporto fra pace e giustizia è stato appena sfiorato, insieme ai sacrifici necessari - per tutti - per costruire questo "mondo migliore".
E’ andata meglio alla conferenza di sabato, più mirata già dal titolo, "I mass media tra guerra e pace"; ma anche qui il piatto forte non è stato l’intervento, una proposta di risoluzione, ma la solita campagna informativa, questa volta sull’informazione medesima e sul suo ruolo.
Un consiglio, se volete andare sul sicuro. Giovedì 28 novembre, alle 20.45 nell’aula 1 di Sociologia, si terrà l’ultimo incontro sulla critica sociale organizzato dal Laboratorio sul Moderno. La ricetta miracolosa per la pace e la giustizia non esiste, ma qui almeno ci potremo confrontare ed avviare quel dibattito che il signor Tafner ha elegantemente evitato.