Rovereto: l’harakiri di un sindaco
Un sindaco che taglia il ramo su cui è seduto, una forza poltica che sta al goveno con un “irresponsabile, fazioso, dalle vedute corte”. Storia di una crisi, di una progettualità esaurita, e di chi può uscirne vincitore.
"Irresponsabile, fazioso, dalle vedute corte" "un incapace, un burattino" "un personaggio insignificante". Questo è Roberto Maffei, sindaco di Rovereto, secondo l’unanime giudizio di Rovereto Insieme, la maggior formazione politica che, si fa per dire, lo sostiene. Appunto: come si fa a dare di una persona un giudizio così liquidatorio, e per di più in pubblico, non al bar, e poi sostenerla come guida di un esecutivo? E per converso, come fa un sindaco a tagliare il ramo su cui è seduto, prendendo a pesci in faccia chi lo sostiene, fino a condurlo all’esasperazione?
Questa vicenda ha molto di roveretano: la pubblica litigiosità di una cittadina ridente, che però teme di perdere identità e ruolo. E poi c’è un aspetto più ampio: i travagli di una politica divisa tra progettualità e governabilità purchessia, in crisi di persone - che non sa selezionare - e di idee - che, se ci sono, non sa comunicare.
Riassumiamo gli antefatti, soprattutto per i non roveretani. Alla fine del suo mandato, il sindaco di sinistra Bruno Ballardini, per motivi personali non ricandida. Come suo successore la sinistra, forza maggioritaria dell’Ulivo, sceglie Roberto Maffei, della Margherita: come assessore di Ballardini è stato bravino e modesto, sarà un sindaco facilmente manovrabile, pensano i volponi di Rovereto Insieme (così si chiama l’aggregazione delle sinistre), emuli del gran maestro D’Alema.
E come successo a D’Alema, la furbata diventa un boomerang: Maffei, vinte (di un’incollatura) le elezioni, si esercita subito a ridimensionare Rovereto Insieme (primo partito della città). Con tutta una serie di azioni che nella logica dei partiti sono ingiurie sanguinose: non gli concede il posto di vicesindaco, silura la presidente diessina dell’Azienda Farmaceutica (nominando chi ne aveva propugnato una politica opposta) sbeffeggia l’ex sindaco Ballardini prima ventilandogli la presidenza dell’Azienda Municipalizzata, e poi trombandolo (vedi Rovereto, la città, le poltrone). Sul piano dei contenuti amministrativi rivede il piano del traffico di Ballardini, mettendone in discussione alcuni presupposti fondamentali.
Così, quando la giunta va a sbattere contro un ostacolo un po’ consistente (la contestazione alla chiusura di una scuola) entra in crisi. Più che una crisi politica sembra uno psicodramma: per 75 (settantacinque) giorni il sindaco alterna riunioni a ritiri monacali, "deciderò entro la settimana" a "mi prendo una pausa di riflessione", progetti di allargamenti di maggioranza, rimpasti, ribaltoni, cambi di assessori, stessi assessori ma redistribuzione di deleghe ecc ecc. Alla fine la decisione irrevocabile: fuori dai piedi due assessori, entrambi di Rovereto Insieme, anzi i più rappresentativi, Aida Ruffini (la capolista) e Fabrizio Rasera (il più votato dell’intero Consiglio).
Bene. Perché? "Perché ho deciso così" risponde Maffei, in Consiglio e alla stampa (da noi, che pur avevamo sempre avuto rapporti cordiali, non si è fatto nemmeno trovare).
A questo punto la sinistra è pronta ad esplodere. Pronta? Calma. Entra subito in campo il segretario provinciale dei Ds Mauro Bondi. La cui linea è l’immobilismo assoluto: qualsiasi cosa succeda, non possiamo mettere a repentaglio i rapporti con la Margherita. Mai. Pertanto, se ti prendono a pedate nei denti tu incassi. La cosa è risaputa e quindi, nel teatrino politico locale, chiunque nel centro-sinistra, quando non sa come finire sui giornali, rifila una sberla ai Ds, tanto è gratis. Dunque, Bondi piomba a Rovereto a imporre la sua linea, in maniera brutale: "O voi andate d’accordo con Maffei, e sostituite Rasera e Ruffini, oppure lo faccio io".
Poi, inaspettato, esce proprio Rasera, che in un’affollatissima assemblea pone sul piatto la sua proposta: Bondi è "intollerabile"; Maffei è "irresponsabile, fazioso, dalle vedute corte"; ma noi, che siamo il primo partito, che siamo responsabili e dalle vedute lunghe, non possiamo lasciare la città in mano agli irresponsabili; quindi nominiamo i due nuovi assessori come vuole Maffei, saranno i nostri commissari in giunta, i controllori dei programmi. "Saremo più rigorosi e meno docili, più propositivi e meno subalterni, e soprattutto più orgogliosi del nostro ruolo, perché è sulla nostra progettualità e responsabilità che la città sa di poter contare".
Rasera, grandissimo oratore, riscuote il consenso dell’assemblea prima, e delle forze politiche (compresa Rifondazione) poi. Così parte il Maffei 2, con nuovi assessori Sandra Dorigotti e Walter Nicoletti.
E’ una soluzione vera? Può un sindaco governare con chi lo ritiene un irresponsabile, un pover’uomo ecc ecc? Evidentemente no. E allora che senso ha questo Maffei 2?
Il disegno di Rasera & C non è stato evidentemente esplicitato. Nell’appassionata e orgogliosa assemblea che ha dato il via libera ai nuovi assessori, c’erano tante parole forti, ma anche tanti sottintesi. Il più grosso dei quali era: questa è una soluzione provvisoria. Se come primo partito non possiamo mandare tutto a catafascio, non possiamo però adesso permetterci nuove elezioni: dobbiamo trovarci un nuovo candidato sindaco, nuove alleanze con il centro. Di qui la tendenza a scindere: Maffei e il vicesindaco Donata Loss (dei Verdi) sono i cattivi; gli altri della Margherita, a iniziare dall’ex sindaco Monti sono i buoni, il centro con cui è bene e giusto che la sinistra si allei.
E Maffei? Aspetta tranquillo che lo si siluri? Come dicevamo, non abbiamo parlato con lui. Però è facile intuire la sua prospettiva: intanto ricuciamo lo strappo e poi lasciamo giocare il fattore tempo. La voglia di poltrone, l’immobilismo della linea Bondi possono aiutare nell’immediato; poi ci penserà il ridimensionamento della sinistra, cui stanno alacremente lavorando in tanti, a iniziare da Dellai.
Chi dei due avrà ragione? E quali prospettive la città?
Sfuggono le ragioni per cui Maffei abbia deciso di sottoporre i suoi grandi elettori a un progressivo logoramento: forse per affrancarsene sul piano politico, forse per liberarsi, sul piano personale, dalla presenza di personaggi ingombranti, di individualità percepite come troppo forti. "E’ un mediocre, e ama circondarsi di mediocri" dicono i maligni.
Di sicuro però, ha potuto agire in un contesto di crisi degli alleati diventati antagonisti. Crisi negli uomini, e crisi nei programmi.
Infatti in questi lunghi mesi, prima dell’orgogliosa assemblea anti-Maffei, Rovereto Insieme era andata alla deriva, sfilacciandosi e disperdendosi. L’aggregazione di sinistra infatti, da tanti anni (una decina almeno) è egemonizzata da un gruppo di intellettuali cinquantenni, amici dal Liceo quando non parenti: Rasera, Ballardini, il segretario ed ex vice-sindaco Cossali, l’arch. Bruschetti ex-assessore all’urbanistica, la neo assessore Dorigotti, il capogruppo Fait, il consigliere Zadra direttore del Museo della Guerra, il filosofo Rella… sono tutti amici dai tempi dei calzoni corti e spesso imparentati. "I famigli" vengono chiamati dal resto dalla sinistra roveretana; o anche "il tappo": personalità forti, intellettuali di spicco, hanno costituito un gruppo autoreferente. Di politica, della città, discutevano tra loro; gli altri erano peones, mai all’altezza di cotanto senno.
Il problema, da anni latente, è diventato esplosivo quando, a fianco dei "famigli", è stata eletta in Consiglio una nuova leva di persone: tra cui alcuni quarantenni ambiziosi, che concepiscono la politica come un ascensore, ci entri e sali; e hanno iniziato a scalpitare per avere visibilità e posti. Lo scontro con i "famigli" (che in definitiva, prima di approdare a qualche carica, si erano fatti lustri di appassionato volontariato in molteplici associazioni politiche e culturali, tra cui QT) era inevitabile.
Ma non basta. C’è il discorso programmatico, sulla città: infatti una finalità programmatica chiara, forte e condivisa, avrebbe potuto compattare un’aggregazione politica altrimenti in crisi sul piano dei rapporti personali.
Ora, la giunta Ballardini si era caratterizzata per una visione coerente del futuro di Rovereto: una città che, in armonia con le sue migliori tradizioni, puntasse su cultura, istruzione, tecnologia, solidarietà. Di qui alcuni obiettivi: un Prg che disegnasse una città della qualità invece che della quantità; un Polo museale che diventasse elemento di traino di un turismo culturale; l’Università; un’attenzione alla ricerca e alla new economy che fungesse anche di supporto alla secolare vocazione industriale roveretana.
Con il passaggio da Ballardini a Maffei questo programma sembra non avere più carica propulsiva: il Prg è approvato; il Polo con il nuovo Museo di Arte Moderna sta per essere inaugurato, ma – per una serie di motivi che QT ha in parte già trattato – sulla sua incidenza ci sono ampie riserve, e in ogni caso non si è stati capaci di connettere Museo e città; l’Università è diventata un fatto privato della vice-sindaco Loss e dei suoi frequenti incontri con il rettore: ne sono sortite tante piccole iniziative pregevoli e utili, corsi paralleli e post-laurea, ma niente che incida veramente; sul fronte tecnologico la zona industriale non va niente male, ma non certo per le iniziative pubbliche, di cui è difficile dire che abbiano fornito stimoli significativi.
Insomma, un bilancio tutt’altro che negativo. Ma che non ha più propulsività. E allora si rischia da una parte di accontentarsi della gestione dell’esistente; dall’altra di aprire spazi alle lotte per le visibilità individuali, invece che ai programmi collettivi.
All’assemblea di Rovereto Insieme di questo non si è parlato. L’unico intervento che ha messo in discussione l’autoproclamata forza programmatica dell’aggregazione, è stato prontamente, e da molti, esorcizzato.
Ma a noi questi sembrano i problemi: se non verranno affrontati vincerà il tran-tran della gestione ordinaria, e chi saprà meglio interpretarlo.