Figli di separati, ma con due genitori
Si torna a parlare di “affidamento condiviso”; ma gli ostacoli non mancano.
"I nuovi padri, per ora, sono un fenomeno mass-mediatico piuttosto che la realtà italiana" - scriveva recentemente Tamara Pitch sul Manifesto, intendendo per "nuovi padri" degli uomini pienamente coscienti del proprio dovere di padri e disponibili ad occuparsi dei figli, anche in quelle incombenze tradizionalmente riservate alle donne. Il giudizio, ingiustamente liquidatorio, ha comunque un fondo di verità: basti dire che nei casi di coppie separate con figli, meno della metà (il 43%) dei mariti corrispondono regolarmente e per intero l’assegno di mantenimento. Troppi uomini irresponsabili, senza dubbio, ma forse anche una normativa che non li aiuta a farsi carico dei propri doveri. Di qui, il ripetuto tentativo di riformare l’articolo 155 del Codice Civile, quello che regola i rapporti fra coniugi separati in presenza di figli minorenni.
E’ una situazione che tocca un numero crescente di persone: secondo dati risalenti al 1998, per ogni 4 coppie che si sposano, una si separa, ed i minori figli di separati ammontavano in quell’anno a un milione di unità. In oltre il 90% dei casi, questi bambini vengono affidati alla madre (e la cosa non cambia granché anche in presenza di ragazzi già grandi: per i diciassettenni, la percentuale di affidamento alla madre è ancora dell’88%), e quando ciò non avviene è soprattutto perché la madre proprio non li vuole o perché presenta gravi problemi, ad esempio di alcol o tossicodipendenza. Al genitore non affidatario - quasi sempre il padre, dunque - rimangono poche possibilità di frequentare i figli: solitamente, un week end ogni due e 15 giorni durante l’estate. Un sistema - si legge nella relazione che accompagna uno degli ultimi progetti di legge di modifica - che "si dimostra funzionale solo agli interessi di padri poco consapevoli e responsabili, che chiudendo i rapporti con l’ex coniuge pensano di non avere più altro dovere verso i figli che la corresponsione di un assegno".
Per cambiare le cose, nel ’75 venne introdotto il cosiddetto affidamento congiunto, inteso come "esercizio congiunto della potestà", che però è ancora molto poco utilizzato (3.9% del totale), perché prevede che su ogni decisione riguardante i figli, anche di modesto rilievo, debba esserci l’accordo di entrambi i genitori, e da qui la necessità che fra i coniugi ci sia poca o nulla conflittualità (cosa rara), i frequenti fallimenti, e il conseguente scarso utilizzo dello strumento.
Tornando al discorso dei "nuovi padri", il signor B., che viene a trovarci in redazione, potrebbe essere uno di loro; e la sua storia, per raccontar la quale ha portato con sé il conforto di un grosso pacco di fotocopie, è la dimostrazione irrefutabile di come l’attuale sistema penalizzi anzitutto i figli delle coppie separate.
Il signor B. lavorava all’estero quando conobbe sua moglie; trasferitisi poco dopo in Italia, la donna non riesce ad ambientarsi ("Aveva delle aspettative eccessive" - sostiene il marito) e l’unione va in crisi prima ancora della nascita del figlio. Il quale, in sede di separazione, viene affidato alla moglie, che ha deciso di restare in Italia.
Passano gli anni e sempre più il signor B. si convince che la ex moglie non è in grado di assolvere adeguatamente i suoi compiti di madre. A dargli ragione, per cominciare, diverse comunicazioni scritte provenienti dalla scuola frequentata dal figlio (che oggi ha 12 anni): il bambino - dicono le maestre - arriva spesso in ritardo (e così ha perso diverse attività extra-scolastiche), non viene seguito nei compiti, di frequente è senza materiale, nessuno va a informarsi sul suo andamento scolastico, a prenderlo alla fine delle lezioni c’è gente sempre diversa (il che suscita qualche ovvia apprensione presso le maestre) ed è successo perfino che, non essendoci all’uscita nessuno ad aspettarlo e risultando la madre irreperibile, sia dovuto venire a prenderlo a Trento il padre, scendendo da Borgo Valsugana dove lavorava. Il piccolo - concludono le maestre - si sente "emarginato e umiliato".
Altrettanto significativa la testimonianza offerta dalle carte dei Servizi Sociali, ai quali il piccolo dice e ripete che vuole vivere col papà, e quando gli rispondono che la cosa non è possibile, "la sua reazione fu pesantissima. Scappò in lacrime dall’ufficio dell’assistente sociale e alcune ore dopo fu ritrovato sotto la casa del padre".
Altro episodio, avvenuto quando il bambino era ancora piccolo: il signor B. viene a sapere per caso che il figlio sta per essere sottoposto ad un intervento chirurgico. L’ex moglie non gli aveva detto niente. Fortunatamente, un accesso di febbre costringe a rimandare l’operazione e il padre (che è medico!) ha il tempo per far approfondire la situazione. Risultato: l’intervento non è assolutamente necessario.
L’anno successivo, una volta che il padre riporta il bimbo a casa dopo il week end trascorso insieme, ecco che la madre non c’è: è partita, tornata al Paese d’origine senza avvisare nessuno. E non si presenta nemmeno, pochi giorni dopo, ad una udienza in tribunale, e neppure il suo avvocato sa quando tornerà. Il signor B., a quel punto, tiene con sé il figlio e qualche giorno più tardi i due - è estate - partono in vacanza. Sono ancora via quando ritorna a Trento la madre, che a quel punto denuncia il marito per essere venuto meno ai patti riguardanti la gestione del figlio, che prevedono 15 giorni in estate ed un fine settimana ogni due insieme col padre. In primo grado l’uomo viene condannato, salvo poi essere assolto in appello.
Dopo questo ed altri episodi analoghi, finalmente le cose cambiano e il giudice stabilisce che il bambino starà una settimana col padre ed una con la madre, ferma restando l’entità dell’assegno corrisposto dall’uomo, circa 2 milioni (la donna lavora).
Appurato che la legge attuale consente situazioni come quella descritta, è ovvio che da diversi anni in Parlamento siano stati approntati dei progetti di legge tendenti a cambiare le cose, progetti che, seguendo quanto previsto in gran parte dei paesi europei, perseguono il principio dell’affidamento "condiviso", che malgrado la denominazione simile è profondamente diverso dall’affidamento congiunto, al quale abbiamo già accennato. Nell’affidamento condiviso, solo le scelte fondamentali sono affidate al parere concorde dei genitori; per il resto, a madre e padre vengono assegnati compiti distinti riguardanti la "gestione" dei figli, compiti ai quali devono provvedere anche economicamente. Ad esempio, l’una si occupa della scuola, l’altro della salute o delle attività sportive, e così via. Ognuno dei due, insomma, ha distinti capitoli di spesa, il che, evidentemente, motiva di più il genitore non affidatario a metter mano al portafoglio, perché vede concretamente dove finiscono i soldi che passa all’ex partner. Se poi risulta che il marito, tramite queste spese "dirette", non esaurisce completamente il suo dovere di contribuzione economica, salderà alla moglie quanto dovuto.
"Il genitore non affidatario - spiega Marino Maglietta, presidente dell’associazione "Crescere insieme" - oggi tende a non contribuire perché gli si chiede di dare dei soldi all’altro senza alcun rendiconto. Dandogli la possibilità di spendere direttamente per i figli, le cose non possono che andare meglio E quale danno può averne l’altro… se invece che aspettare un assegno verranno pagati l’affitto della casa, le vacanze del figlio, gli studi e i mezzi di trasporto?" Col nuovo sistema, si lascia all’assegno "solo una funzione perequativa, nell’eventualità che il contributo diretto dell’uno o dell’altro risulti inadeguato, considerati i rispettivi redditi e valutando economicamente la misura in cui su ciascun genitore gravano i compiti di cura". Il coinvolgimento dei padri, insomma, dovrebbe aumentare il loro impegno contributivo. L’affidamento ad un solo genitore, in conclusione, dovrebbe limitarsi ai soli casi di comprovata indegnità o incapacità di uno dei due ex.
Secondo queste nuove regole, la possibilità dei figli di frequentare in ugual misura madre e padre non avrebbe più le pesanti limitazioni di oggi; al punto che in uno di questi progetti si raccomanda ai genitori di cercare - nei limiti del possibile - di abitare a non troppa distanza l’uno dall’altra, in modo da favorire tale opportunità.
Questi sono i punti fondamentali di una possibile riforma, che nei suoi elementi fondamentali ha trovato il convinto sostegno di diverse associazioni di genitori ("Donne divorziate e separate", "Crescere insieme", "Associazione Italiana Sindrome X-fragile", "Associazione Famiglie Separate Cristiane", "Papà separati"), alcune delle quali hanno collaborato alla stesura dei progetti, e che ora si sono collegate in un coordinamento ("Associazione per la Riforma") che intende fare pressione sul Parlamento perché si arrivi finalmente ad un risultato.
Già nella scorsa legislatura era stato presentato un progetto di legge, sostenuto trasversalmente dalla maggioranza e dall’opposizione, che però non era giunto in porto. Adesso ci si riprova: fra maggio 2001 e gennaio 2002 sono state avanzate ben 5 proposte, da esponenti del centro-destra come del centro-sinistra, tutte ispirate all’idea dell’affidamento condiviso, anche se in qualche caso con significative differenze; quella più avanti nel percorso legislativo è comunque quella dell’on. Vittorio Tarditi, di Forza Italia, attualmente discussa in commissione, le cui linee fondamentali abbiamo esposto in precedenza. Il suo cammino, però, non è privo di ostacoli e di oppositori, essenzialmente da due fronti. Per cominciare - scrive Marino Maglietta, presidente dell’associazione "Crescere insieme" - "quella frangia di avvocati matrimonialisti, specializzati in liti miliardarie, che leggono la separazione in chiave di scontro vinci-perdi, in cui si promette al cliente di estorcere più denaro possibile alla ‘controparte’, applicando perverse equazioni ‘tempo di visita’-‘denaro di assegno’. Ad essi l’affidamento condiviso non va giù per niente".
Ma soprattutto ci sono forti resistenze sul fronte femminista, di cui è un esempio significativo l’articolo sul Manifesto citato all’inizio. La cui autrice, Tamara Pitch, dopo aver esordito ammettendo di non aver letto né il progetto di legge né la relazione accompagnatoria e di basarsi su quanto apparso sulla stampa, che ha "salutato l’affidamento condiviso come il mezzo migliore per assicurare ai minori di genitori separati la continuità dei rapporti con entrambi i genitori", critica duramente l’affidamento condiviso per diverse ragioni. Perché consentirebbe agli ex mariti di esercitare un controllo sulla vita della ex partner. Perché in caso di conflitti "si può trasformare in arma impropria nelle mani di uno dei due contendenti per ricattare e controllare l’altro… Ciascun genitore cercherà con tutti i mezzi di accaparrarsi il benvolere del figlio, e viceversa il figlio si troverà nella situazione ideale per ricattare i due genitori a proprio favore".
E ancora: quella mediazione che dovrebbe intervenire in caso di contrasti, diventerebbe in realtà uno strumento di parte, poiché "la mediazione finge che i contendenti siano pari, sullo stesso piano, sia per ciò che riguarda le risorse economiche, sociali e culturali possedute, sia per quanto riguarda il desiderio di vivere con i figli", il che quasi mai è vero. Per finire, viene attaccato il principio stesso dell’affidamento condiviso, cioè "il presunto bisogno psicologico ad avere due figure parentali di sesso diverso, pena non solo l’infelicità, ma il rischio di devianza".
Insomma, un "razionalismo patetico e denso di conseguenze perverse", "una disciplina giuridica minuziosa e invadente che produce molti più guai di quelli che vorrebbe evitare".
Più pragmaticamente, altri critici puntano il dito contro uno strumento che imporrebbe a due persone separate l’imperativo di andare d’accordo come genitori; che toglierebbe a un bambino un riferimento preciso, quale il fatto di vivere stabilmente nella stessa casa, e che lo porterebbe a interpretare la non partecipazione di un genitore a una sua attività (gestita dall’altro) come disinteresse.
"Rispetto all’eliminazione di un genitore i problemi logistici del condiviso sono un male minore. In pratica sarà il figlio, che ne ha diritto, a dosare la propria presenza presso i due genitori in funzione delle sue esigenze o preferenze, anche del momento. E’ importante, ad esempio, che se non lega bene con un nuovo partner possa cambiare casa, anche temporaneamente. Oggi deve subire". Così replica alle critiche Marino Maglietta, che ricorda come la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, pur stabilendo che "entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento e allo sviluppo del bambino", non si pronunciò esplicitamente per un affidamento a entrambi i genitori "solo per le resistenze dei paesi islamici, che volevano mantenere il privilegio paterno per la collocazione dei figli in caso di separazione".