La carrozza di tutti
La fine psicologia da tramvai di De Amicis nel ritrarre la varia commedia umana.
Quando la scrittura si presenta come una tecnica per evocare il ricordo, un’immagine rappresentativa di una cosa, di un momento o di un’emozione, a distanza di tempo può trasformarsi nel resoconto di un sogno o di un viaggio nella memoria (che si sposa con un insiene di visioni), di déjà vu, ma che si impongono per forza di immediatezza. Un libro d’altri tempi associato ad icone d’altri tempi nello spazio di una stanza può produrre una sorta di effrazione, di passaggio tra parole e realtà. "La scrittura opera nello spessore delle parole di cui si serve come mezzo di apertura di una via che porta alle cose" - così scrive Carmine Benincasa.
Tutta questa introduzione per dire semplicemente che da giorni mi ritrovo nella Torino delle pagine di Edmondo De Amicis, esattamente ne "La carrozza di tutti", cioè in un tramvai d’inizio secolo tirato da cavalli e nello stesso tempo in centinaia di quadri da me visti, volti soprattutto, senza meravigliarmi "di non aver mai badato, in tanti anni, ad alcuno di quei contrasti sociali che pure sono così frequenti in quei carrozzoni, nei quali soltanto, non essendovi separazione di classi, può accadere che gente del popolo infimo si trovi per qualche tempo a contatto con gente della signoria, con tutto l’agio di esaminarla, di fiutarla e di ascoltarne i discorsi..., in quella specie di carrozza democratica, dove tutte le classi continuamente si toccano e si confondono".
Da anni faccio l’abbonamento annuale agli autobus, mi muovo con pullmann e treni, ma lo spettacolo della varia umanità non muta, anzi si arricchisce di tutte quelle contraddizioni che si pensa di aver risolto per sempre, ma la bugia diventa sempre più enorme: i poveri, eccome se esistono! Giorno per giorno, mese per mese, sfilano compagni abituali di viaggio sulla piattaforma: un quidsimile d’ortolano, vicino ad un quarantenne sferoidale, la classica vecchina vicino alla giovinetta carina...
Più interessanti le pagine legate agli odori ed ai pruriti, il tramvai come "arem continuamente cangiante,... la scoperta (non posso fare a meno di quest’espressione barbarica) dell’erotismo tramviario, una delle molte forme psicologiche di quella eccitazione sessuale che, secondo il Ferrero, è cagione della minore attitudine della razza latina al lavoro metodico, in confronto della razza anglo-sassone", il carattere delle donne dai diversi modi di far fermare il tram, le giornate piacevoli e quelle nefaste, le facce istupidite dalla digestione di una mangiataccia domenicale, qualche bell’ubriacone che ti si attacca come una mignatta, la battaglia elettorale vista dai finestrini con i baloss e ciarlatan che si sprecano, i piaceri della conversazione con un amico, "l’uso degli annunzi esteriori sui carrozzoni... avvisi d’ogni forma e colore appiccicati al cielo e alle pareti, volendo lì per lì, ad ogni costo, calzarvi e vestirvi, insaponarvi e profumarvi, tinti con i colori più chiassosi", e la fine di una poesia tra il profilo d’una bella signora e la pubblicità di "pillole rilassative": "l’insolenza crescente dello sconcio".
Dall’altra, la scuola di cortesia e di educazione che può rappresentare l’esempio, sotto lo sguardo di molti occhi, o il modo che ti dà di studiare i bambini.
Dal punto di vista iconografico un’immagine per tutte: quella di Virgilio Guidi, "In tram", ma cambiate le figure seguendo le storie di De Amicis, e il trompe l’oeil del soffitto o della parete di fondo vi apparirà più nitido.