“2 fratelli”
I protagonisti dello spettacolo sono i due fratelli, Leb e Boris, e una ragazza, Erika, che vive nel loro appartamento e la cui sola presenza fisica sconvolge il già difficile equilibrio dei due. La scena è un parallelepipedo aperto su un lato acuto verso lo spettatore, e rialzato su una pedana; in questo esiguo spazio, che rappresenta una cucina dipinta completamente di verde, suppellettili vasellame e mobilia compresi, si consumano, senza alcun compiacimento descrittivo, le relazioni e le solitudini dei personaggi, connotate da battute asciutte e sferzanti che sembrano sottolineare che i rapporti valgono per quel che sono.
La scena costituisce un poco borghese e molto straniante Ritratto di famiglia in un interno, mentre un display elettronico scandisce il passaggio delle ore, dei giorni e dei mesi, cinquantatrè per l’esattezza, secondo una modalità rigidamente evenemenziale, sebbene il tempo sia manifestamente indifferente ai tempi del dramma.
I dialoghi con la famiglia lontana, e tra i due fratelli quando Leb si allontana per un breve periodo, sono registrati, in forma di lettere colme di menzogna, su cassette di cui è piena la loro cucina.
Gli accadimenti esteriori sono praticamente inesistenti, perché il vero il fulcro della storia è il rapporto umano, esistenziale e sentimentale fra i tre, rapporto che porta con sé beckettianamente elementi di sadismo, una solitudine tanto più forte perché non narrata e una soverchia violenza che sfocia in un Finale di partita ineluttabile per la ragazza.
Il rapporto tra i due fratelli è un intrico di sentimenti, che il testo non intende sciogliere e in cui la vittima e il carnefice continuamente cambiano di ruolo. Non ci sono le funi e i lacci che tengono insieme i beckettiani Vladimiro ed Estragone, tuttavia il legame di sotterraneo odio che li porterebbe a rompere il patto di fratellanza vive accanto alla certezza di dover rimanere insieme.
La bellezza del testo sta nell’avventurosa ricerca di un impossibile filo unitario nel rapporto fra i tre, che infatti continuamente si spezza e cambia orientamento, fino alla deflagrazione esistenziale della fine, rappresentata dall’impossibilità per i due fratelli di inscrivere la ragazza dentro il circolo del loro asfittico mondo.
In linea col testo, la scelta espressiva della recitazione dei giovani attori (Fausto Paravidino, Giampiero Rappa e Antonia Truppo) ha privilegiato un registro basato su un veridico eloquio quotidiano che ha evitato manierismi e artifici attoriali. Bravi perché in questo modo è emersa chiaramente l’immediatezza delle azioni e delle parole.
Uno spettacolo che ha largamente meritato il più importante premio teatrale italiano, l’UBU 2001, e il Premio Pier Vittorio Tondelli 99.