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Democrazia maggioritaria e terzo potere

L’attacco alla magistratura come effetto inevitabile di un sistema elettorale.

Se si esaminano le vicende italiane dell’ultimo decennio ci si accorge con una certa sorpresa che il potere giudiziario è stato costantemente al centro delle lotte politiche. Processi, inchieste, giudici hanno suscitato nel corso degli anni violente polemiche e scontri istituzionali al calor bianco. Dopo una brevissima stagione di consenso e di esaltazione all’alba di "Mani Pulite", o all’inizio del vero contrasto contro la mafia dopo l’assassinio di Falcone e Borsellino, si è passati a una successiva lunga sequela di attacchi delegittimanti, di insinuazioni calunniose, di insulti ("assassini!") da parte di esponenti politici del centro destra, cui si è contrapposta (si fa per dire) la difesa incerta, balbettante e in certi casi controproducente del centro-sinistra.

Dalle manifestazioni di consenso del cosiddetto popolo dei fax ("Di Pietro facci sognare!") si è giunti rapidamente alla persecuzione sistematica non solo contro Di Pietro, ma contro l’intera Procura di Milano e di Palermo, fino alla richiesta formulata nei giorni scorsi da Carlo Taormina (che dice quello che Berlusconi pensa) di arrestare i giudici della quarta sezione penale di Milano. Se invece di una innocua ordinanza interpretativa il Tribunale avesse emesso una sentenza di condanna, ne avrebbe chiesto la fucilazione nella schiena! Perché tutto ciò è accaduto? Perché si è arrivati a tanto?

Il potere giudiziario è apparso, dopo la breve illusione che ricordavo prima, il punto debole della democrazia italiana, dove tutti i nodi venivano al pettine, dove si scaricavano tutte le tensioni, in cui più distruttiva si manifestava la aggressività del centro-destra, e più debole, incerta, contraddittoria la difesa del centro-sinistra. E’ probabile che ciò sia dipeso da un lato dalla preoccupazione di coloro che erano inquisiti, pronti a tutto pur di evitare il carcere; e dall’altro lato dalla impreparazione giuridica dell’opposizione, poi andata al governo con l’Ulivo.

Questi elementi ci sono senza alcun dubbio, e anche altri che appartengono alla dinamica profonda delle società opulente. Io credo però che alla base ci sia una tendenza strutturale della democrazia maggioritaria. Non è un caso che il potere giudiziario si sia trovato sulla graticola, indifeso, esposto a ogni colpo dopo che l’Italia ha cominciato ad evolvere verso una democrazia maggioritaria sia pure imperfetta. Suo unico elemento costitutivo è infatti, almeno per ora, la legge elettorale (anch’essa imperfetta). Ci vuole ben altro per costruire una democrazia maggioritaria vera, dove le regole per eleggere e quelle per governare tendono a una sorta di democrazia immediata, con conseguente elezione diretta del vertice del potere esecutivo che acquisterebbe così la preminenza nella struttura dello Stato.

S’è chi sostiene che la vera base portante della democrazia maggioritaria è la cultura della "unicità del potere". Partendo dalla constatazione che la sovranità appartiene al popolo, si è teorizzato che tutto il potere deve essere assicurato alla sua maggioranza, e al governo che la esprime.

In altre parole, "l’indirizzo politico premiato dal voto popolare non deve trovare ostacoli istituzionali alla sua più completa attuazione" (Barbera e Fusaro, Il governo delle democrazie, Bologna, 1977). Così ragionando, mentre il potere politico (maggioranza parlamentare) e potere esecutivo (governo, espressione della maggioranza) si trovano naturalmente in sintonia eliminando di fatto ogni dualismo e ricomponendosi in unità, il terzo potere (quello giudiziario) con le necessarie pretese di autonomia, di obbligatorietà dell’azione penale e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, si trova in posizione di conflitto permanente, che si aggrava nei momenti di crisi.

Come può funzionare allora la democrazia maggioritaria, che deve assicurare stabilità, prestigio e capacità decisionale al Governo, se il potere giudiziario inquisisce la sua classe dirigente (economica e politica) e pretende di trascinare in giudizio perfino il Primo Ministro? In effetti Berlusconi ha fatto di tutto per apparire all’opinione pubblica come un Achab in veste di vittima arpionato dalla Magistratura in veste di un infuriato Moby Dick. In tal modo l’indipendenza del potere giudiziario diventa un elemento disomogeneo che va ridimensionato o addirittura eliminato. La democrazia maggioritaria sembra dunque collidere con il principio della divisione e separazione dei poteri, e quindi con uno degli elementi irrinunciabili delle moderne democrazie. L’infuocata polemica in occasione delle forzate dimissioni dell’on. Taormina e la minaccia di riformare la giustizia restringendone i margini di indipendenza, ne sono l’ultima dimostrazione. Una magistratura indipendente, che applica imparzialmente la legge, disturba il manovratore. E’ questa la ragione di fondo per cui la democrazia maggioritaria tende a ricomporre l’unità dei poteri, al di là degli interessi personali di singoli personaggi e delle intemperanze verbali dell’on. Taormina o del ministro Castelli.

Il problema è di notevole importanza perché dimostra che, senza opportuni contrappesi di carattere costituzionale, la democrazia maggioritaria tende per sua natura a trasformarsi in una democrazia ingessata, cioè, in parole chiare, verso un regime semi-autoritario. Sappiamo da tempo che nel mondo contemporaneo (anche negli Stati Uniti) il potere è sempre diviso, e che non si ha democrazia senza divisione e separazione dei poteri, così come deve essere separata la titolarità delle funzione che ne promanano.

Concludendo, con la legge elettorale maggioritaria l’Italia ha imboccato una strada pericolosa. O torna indietro verso una legge elettorale proporzionale con una soglia di sbarramento; oppure continueremo ad assistere a scontri sempre più vivaci con il potere giudiziario, fino a quando Berlusconi vincerà la partita e riuscirà a mettere la museruola a tutta la magistratura, inquirente e giudicante. Non sono sufficienti le dimissioni dell’on. Taormina, cui sono subito seguite le minacciose dichiarazioni del ministro Castelli e l’ennesima azione disciplinare contro Borrelli.