Walk about
Mostra dei lavori premiati e segnalati del concorso "Walk about", foto di viaggio.
Il piede di un bambino penzola sopra il volto addormentato di un uomo dai fieri tratti mongoli. La corriera su cui viaggiano attraverso il Turkestan cinese, ingombra di coperte e sacchi, è partita alle due di notte, ma ormai il sole si è alzato sull’orizzonte e un altro bambino ha un gran bisogno di muoversi aggrappato alle scalette di alluminio. In una sola immagine (in tutto sono sei) Lucia Marana, ventiseienne di Vallarsa, riesce a porre vari elementi del suo racconto di viaggio, a trasmettere il senso di lunghe distanze affrontate da questi viaggiatori con tranquillo adattamento ai tempi e alla spartana qualità dei mezzi. La sosta per un pasto notturno a un ristorante sulla strada è quasi un set spontaneo, il cielo è ancora chiaro ma l’ombra già prevale sulle cose, con diverse fonti luminose sul fronte di case basse e un po’ precarie. Alle sette di pomeriggio, uno dei bimbi è colto con un filo di impazienza negli occhi: ma quando si arriva?!
Questo breve reportage in bianco e nero, che si propone come una sommessa sequenza di "istanti qualunque" rinunciando a cercare solo l’esotico (che pure avrebbe offerto dei materiali) e il paesaggistico, rinunciando anche alla sottolineatura narcisistica del punto di vista e dell’esperienza soggettiva dell’autrice preferendo piuttosto quello dei bambini, ha avuto il primo premio nell’ultima edizione del concorso "Walk-about". La mostra delle foto premiate e segnalate è in corso presso lo Spazio Polifunzionale dell’Opera Universitaria (dietro Sociologia) fino all’8 febbraio.
Passione e talento per la fotografia non sono un caso isolato, nella famiglia Marana: Gioia, sorella della vincitrice, è stata premiata anche lei per alcune immagini di un "Viaggio in Grecia", realizzate in un altro linguaggio, quello del fotomontaggio. Modalità esposta alla facilità di giochi paradossali e surreali non sempre fondati, viene applicata da questa giovane fotografa con risultati diversi: talvolta sono accostamenti di immagini in dissolvenza che si segnalano più come stratificazione di visioni inconsuete che per l’uso del linguaggio. In un paio di casi, invece, la sovrapposizione produce uno scatto dell’immaginazione, e allora delle candide oche nuotano eleganti sul pavimento di un bagno pubblico fatiscente, oppure la vettura di un vecchio tram staziona in un campo di girasoli giganteschi.
"Luoghi comuni", di Alessio Pedrotti, sono i mezzi pubblici della città di Porto: un po’ documentazione "antropologica" su dei cittadini pendolari che contrariamente al luogo comune non fanno i "portoghesi", un po’ omaggio all’iconografia della vita metropolitana, forse non originalissimo, ma onesto.
Ma è soprattutto fuori dell’Europa che si svolgono questi viaggi. Un Marocco di cui percepiamo qualcosa di più che l’atmosfera superficiale, pur senza mai vedere un essere umano, è quello che ci propongono le fotografie di Valentina Sartori, tra tutti colei che possiede una sensibilità cromatica e compositiva che sembra di matrice pittorica. Almeno due delle sue immagini meritavano, mi pare, più di una semplice segnalazione (ma è l’intero ciclo che si tiene): il desolato abbandono di un letto alle intemperie è come riscattato dal muro che gli fa da fondale, dove avviene l’incontro casuale di varie mani di pittura e i giochi d’ombra del pomeriggio mediterraneo. E poi, uno sguardo anch’esso marginale, sull’orlo irregolare di una tovaglia di plastica a fiorellini bianchi contro un pavimento di un blu profondo e inquieto, dettagli e fulgore di forme che sono però anch’essi elementi di un possibile racconto.
Qualcuno guarda ai paesi poveri mosso da altri sentimenti, da compassione magari (e il rischio del patetico è in agguato) descrivendo la fatica dei portatori a spalle di ogni genere di pesi ("La fatica del Guatemala", di Roberto Chiogna); oppure mosso dalla curiosità per aspetti culturali shockanti, come Demis Centi, con una sequenza sui combattimenti tra galli in Malaysia, senza tuttavia restituirne appieno le componenti di furore, di sadismo, di dramma; o come Walter Lorenzi (il terzo di Vallarsa, vincitore un paio d’anni fa) con la macellazione del capretto in Hindu Kush, che però produce la foto più interessante su un tema diverso (la cucina interna a una tenda).
Claudia Marini tenta un altro genere di viaggio, sceglie immagini-metafora (non a caso accompagnate da proprie interpretazioni introspettive), strada non priva di tranelli dove può succedere, nonostante alcuni scatti degni di interesse, che le intenzioni simboliche prevalgano sulla freschezza e l’autonomia dell’immagine.
Oltre Porto, Berlino è la città europea che suscita l’attenzione di due dei nostri narratori per immagini. Il primo è Maurizio Cau, che rivela uno spiccato interesse ai temi architettonici, con una certa enfasi sul vuoto e il riflesso delle illuminazioni artificiali degli spazi underground. L’altro è Michele Calliari, che affronta lo stesso concetto del vuoto, dei vuoti in superfice, come qualcosa che contrassegna una capitale che stenta a ridarsi un’identità sul sedimento di una storia troppo traumatica.