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QT n. 16, 29 settembre 2001 Servizi

La soluzione: imparare a conoscersi

Come possiamo, noi occidentali, interagire con una grande cultura -l’Islam - che vive una crisi di transizione?

L’attentato terroristico è un "evento", che esplode però dentro "strutture" profonde, di lunga durata. Ed è su di esse, l’economia e la politica, che lentamente si va spostando l’attenzione di chi vuole capire, per tentare di rispondere alla domanda ‘che fare’. Il singolo evento è difficile da spiegare con una causa. "Perché uccidono tanta gente e fanno tremare quelli che non uccidono?" - domanda la bambina al padre. E Ben Jelloun le risponde: "Non lo so, bambina mia, io sono come te e non riesco a capire". Ragionare sulle strutture ci permette di non stare chiusi nella paura, e di riacquistare qualche speranza.

Fernand Braudel, durante la seconda guerra mondiale, ai compagni prigionieri nel campo di concentramento, e angosciati perché le armate naziste sembravano avanzare invincibili, diceva, da storico, che quello, terribile, era "solo" un evento. E poi discutevano, con passione, sulla storia della Francia, dell’Europa, del mondo. E così resistevano, preparandosi alla liberazione.

In questi giorni io vedo, per la prima volta, cittadini italiani e stranieri, arabi, ma non solo, confrontarsi sullo stato del mondo. Con molta fatica, anche con qualche rischio d’incomprensione, ma da correre, se vogliamo, a poco a poco, conoscerci. Qualcuno vorrebbe parlare, e non trova ancora il coraggio, qualcuno si autocensura nelle parole che usa.

Ha fatto bene quindi Enrico Franco, nel dibattito organizzato dall’Ulivo trentino, a rivolgersi con franchezza all’imam Aboulkeir Breigheche, con toni aspri persino, sul tema del fondamentalismo islamico, e a fargli, su Bin Laden, le domande che gli stavano a cuore. E un arabo ha fatto bene ad intervenire, dal fondo della sala, e fuori tempo, per contestare al giornalista la visione degli Stati Uniti, troppo idillica, che a suo giudizio stava emergendo. E’ così che impareremo a conoscerci.

Ed è forse così - in sala i giovani erano presenti in buon numero, trascinati da un evento di grande dolore - che può avvenire l’avvicinamento di una generazione alla politica. Avverrà nel rigetto dell’Islam, o dell’America? Sergio Fabbrini ha presentato gli Stati Uniti sotto il segno del paradosso: una grande potenza responsabile di errori e di crimini, ma pur sempre "grande democrazia", a cui l’Italia, l’Europa, il mondo, devono molto.

Sono menti deviate, malate, quelle che hanno ucciso, facendo crollare in frantumi le torri a NewYork? Erano pazzi, bestie, mostri, i nazisti a Marzabotto o a Lidice, i paesi incendiati in Italia e in Cecoslovacchia? Non possiamo accontentarci di queste risposte. L’Eric Priebke delle Fosse Ardeatine era un uomo come noi. Dobbiamo scavare più a fondo.

L’irruzione della modernità è stata per l’Islam un fatto traumatico, perché fu tardiva, e venuta da fuori, sull’onda della colonizzazione europea. Il passaggio da una visione teocentrica, la ragione divina, a una antropocentrica, la ragione umana, è avvenuto in Occidente in un processo, lungo e contrastato, di secolarizzazione. Gli effetti sulla società musulmana furono devastanti: fu una rottura dell’identità sul piano funzionale, antropologico, istituzionale. Il radicalismo islamico è una risposta a un problema difficile, quello del rapporto fra l’identità di appartenenza e l’autonomia del soggetto, fra tradizione e modernità. La tecnica, il sapere, la nazione, affascinano e respingono, sia le elite che le masse. Quando Abdus Salam, fisico pakistano, ottiene nel 1980 il premio Nobel per la fisica, e nel 1988 lo ottiene per la letteratura l’egiziano Naghib Mahfuz, gli avvenimenti sono vissuti con grande entusiasmo, come prova della compatibilità fra Islam e modernità.

Come possiamo, noi occidentali, interagire con una grande cultura che vive una crisi di transizione? E’ sufficiente ripetere, per ottenere dagli arabi un qualche consenso, che l’America è comunque una "grande democrazia"? Lo è, certamente, ma in crisi, anch’essa. Persino la procedura elettorale, che ha portato Bush alla presidenza, ha mostrato falle impensate, nella partecipazione, nel conteggio dei voti, negli apparati militari e industriali che finanziano il candidato e poi chiedono il conto.

La crisi della modernità provoca fondamentalismi lì, e spoliticizzazione qui, in Occidente, anche in Italia. Quello che i sociologi chiamano "reinvestimento nel sacro" viene dalla caduta di un mito, il Progresso. Le due crisi si toccano, in qualche modo. L’evento del terrorismo investe noi e loro, in un momento di passaggio difficile. Restaurare un’impossibile identità islamica tradizionale è il suo obbiettivo, e spingere l’Occidente a una guerra infinita, esibendo inesistenti certezze: "il Male e il Bene", "o con noi o con loro".

Invece a una crisi di sicurezza occorre rispondere insieme, facendo dialogare le rispettive identità, in una ricerca comune.

I terroristi, contrariamente a quanto si crede, non hanno una forte presa sulle masse arabe, nemmeno su quelle attratte dal radicalismo islamico. Ce lo ricorda, in questi giorni, Khaled Fouad Allam, docente all’Università di Trieste: istituzioni e cittadini di buona volontà sono chiamati a un lavoro culturale e politico per evitare ciò che i terroristi desiderano, lo scontro di civiltà.

E’ per questo che la spoliticizzazione, nel ricco e potente Occidente, delle "grandi democrazie", è un grave problema. In milioni, in Italia, anche in questi giorni, si divertono con il "Grande fratello" in Tv. E’ il nostro limite, simmetrico al loro fondamentalismo.

Costruire, secondo le parole di Giovanni Kessler, deputato dell’Ulivo, il "governo democratico del mondo", per arginare il terrorismo, ridurre le guerre, avviare una distribuzione più equa delle risorse, richiede una consapevolezza politica diffusa in tutti i gangli della società.

Le religioni sono oggi ispirate al dialogo e alla pace: ne è stato un segno la serata, a Trento, di preghiera inter-religiosa, a cui hanno partecipato l’imam musulmano, il prete cattolico, il rabbino ebreo, la pastora valdese.

Non sono innocenti però le religioni, la loro storia è intrisa di sangue, e a quell’integralismo identitario si richiamano ancora oggi gruppi e individui, anche nel Trentino cattolico. Ma se le religioni possono "ispirare" i credenti alla pace, la sua costruzione è operazione tutta politica. Su come organizzare la convivenza a Gerusalemme non è facile trovare l’accordo nemmeno fra l’ebreo, il musulmano, il cristiano, capaci per una sera di pregare insieme lo stesso Dio di Abramo.

Gli eventi terribili di questi giorni possono forse contribuire a farci diventare un poco tutti "cittadini del mondo". Solo allora i morti non saranno morti invano, e come Ben Jelloun potremo dire alla bambina, in un soffio di voce: "Non devi preoccuparti, nonostante tutto la vita è bella." Una verità parziale, ma non un imbroglio, se fondata sulla cultura, sull’impegno, sulla politica.