Il demagogo
Inesorabilmente piccolo. Un soldo di cacio, un tappo. Come Mussolini rinforza le scarpe con tacchi e controtacchi, interni ed esterni. Piccoletto ma di buon fisico: atticciato, stretto in vestiti di stoffa carissima, tagliati da grandi sarti, abituati a fasciarlo ed abbellirlo. Al solo vederlo si avverte il profumo di un dopobarba francese. Il sorriso dei denti smaglianti taglia la faccia con lampi di luce.
Lui, l’imprenditore, l’uomo che lavora, che si è fatto da solo, ha costruito una fortuna e poi l’ha raddoppiata, grande comunicatore e grande leader che vuol ripetere l’esperienza di governare il Paese. Creare, dopo le imprese edilizie di Venezia, Pioltello, Milano2, Milano3 e dopo quella di Mediaset in campo televisivo, finalmente l’Azienda Italia, totalmente nelle sue piccole mani. Per questo si è fatto costruire un altissimo pulpito (a prua di nave), dal quale ogni tanto arringa un popolo di fedelissimi.
Le imprese edilizie di Venezia e di Milano furono possibili ai bei tempi di Bettino Craxi. Molti segretari comunali socialisti aiutarono il ducetto nelle sue imprese. Consentirono gli allacciamenti: acqua, gas, luce, telefono… Tutto sul velluto. Quattrini per tutti. Molta gente passò dall’ago al milione. Tutti erano contenti e nessuno si faceva male.
Personalmente il Demagogo non ha mai avuto un’impresa edilizia: si serviva di ditte specializzate, e al momento dei pagamenti erano dolori. Non pagava mai. Traccheggiava, passava la pratica ai suoi avvocati, Previti in testa, che trovavano mille cavilli. Nei giornali del tempo si trovano tracce di questi processi. Alla fine gli avvocati consigliavano un patteggiamento e il Demagogo se la cavava pagando il meno possibile. In questo modo diventare ricchi non è una fatica, è un obbligo.
Ma poi, a poco a poco, le imprese si resero conto che venire sodomizzate dal Demagogo era poco salutare. Il Nostro odorò il vento infido e diresse i suoi capitali verso un mondo più nuovo ma ricco di possibilità: le telecomunicazioni. Con due vantaggi: per prima cosa anche qui, a saperci fare, si guadagnano quattrini a palate; seconda cosa, hai in mano il mezzo per imbesuire le masse e prepararti la strada per una terza e ultima impresa, la più grossa di tutte, l’Azienda Italia: trasformare uno Stato, una nazione, in un affare personale. Una proprietà privata. Le reti tv infatti potevano risultare utilissime a questo scopo. Servendosi di collaboratori esperti e affezionati, come Emilio Fede: mentre il Demagogo è facilone, arrogante, pressappochista, male informato, dilettante, Fede è tutto il contrario. Quella di Emilio (ottimo giornalista e speaker convincente) nel leader maximo è una fede senza limiti, cieca, pronta, immediata. Questo grande persuasore fa del suo padrone una specie di deus ex machina che potrà guarire gli infiniti mali della penisola. Emilio espone lasua fede con cautela, perizia, savoir faire. E’ infinitamente meno gigione e simpatico del suo boss.
Demagogo, dal greco, vuol dire "guida del popolo" in un senso che spesso arriva fino all’arruffapopolo. In Italia ne abbiamo avuti tanti, come Cola di Rienzo o Arnaldo da Brescia. I più svelti diventavano podestà o signori. Ma si ricorda anche la cacciata del Duca d’Atene da Firenze; e, più recente, la triste fine di Mussolini. Si sa – come dice il proverbio – che "il popolo è bue", ma si dice anche che "quando il popolo si desta, Dio si mette alla sua testa"…
Il Demagogo, per ora, spera di vincere le elezioni di primavera. Lui si dice sicuro, anche se Rutelli ragiona e lui fa demagogia. Lui è il Demagogo: grazie alla lampada al quarzo è sempre abbronzato, sicuro, sorridente, e come al solito promette di togliere le tasse e dare lavoro a tutti, e – sotto sotto – di mandare via gli extracomunitari. I quali ormai sono come gli untori al tempo di Renzo Tramaglino. Hanno colpa anche del cattivo tempo.
Berlusconi garantisce, lavorando, prosperità a tutti. Lui la prima prosperità la deve a suo padre, mezzo direttore di una banca privata di Milano, che gli prestava i soldi per le prime imprese. Il Demagogo mette sempre avanti il suo lavoro, ma ignora il sudore della fronte. Un suo bel lavoro, agli inizi, fu quando insieme all’amico di sempre Previti, portò via alla contessina Casati, orfana recente di padre e madre, la tenuta di Arcore, che valeva molti miliardi, per la misera cifra di 500 milioni, oltre tutto pagati a rate.
Adesso, per vincere le elezioni di primavera, ha messo su una nuova armata Brancaleone che potrà anche avere successo. Tuttavia, dalle premesse, siamo autorizzati a pensare che durerà meno dei 7 mesi della vittoria precedente.
Fra le altre battute, il Nostro dice di amare molto l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Se lo avesse letto davvero, probabilmente non lo citerebbe. Certo non per avvertire che, nel suo caso, un elogio sarebbe una follia. Noi, infatti, in questa breve analisi anche così scarsa di elogi, ne abbiamo parlato fin troppo bene.