Lasciando marcire l’Ulivo si rischia di distruggerlo
Un Ulivo che governa male oppure un Ulivo all’opposizione? Forse c’è una terza possibilità... Una risposta a Silvano Bert
Non dipingerei l’Ulivo trentino in maniera così tragica come ha fatto Silvano Bert sullo scorso numero di Questotrentino (Forse sarà rottura: ma che peccato!).
Sul fatto che questa Giunta provinciale non si sia rivelata all’altezza delle promesse pare vi sia, ormai, l’unanimità. Ma di qui a celebrare il funerale dell’Ulivo ce ne passa. E precipitoso è dunque vedere nelle critiche a questa Giunta provinciale l’auspicio di porre fine, magari con baldanza, all’esperienza dell’Ulivo, contrapponendo l’atteggiamento di chi l’Ulivo lo vede morire con tristezza. Non esageriamo, perché esagerare è fuorviante.
Chi, come il sottoscritto, non ha risparmiato critiche alla Giunta Dellai, è stato accusato, secondo le circostanze, o di voler ricacciare la sinistra all’opposizione, oppure di voler rompere l’Ulivo. Come se tra il governare male, da una parte, e la prospettiva dell’opposizione, dall’altra, non vi sia, ohibò, anche l’alternativa del governare bene. Come se tra un pessimo Ulivo e la rottura dell’Ulivo non vi sia, nel mezzo, anche l’alternativa di un Ulivo forte e vivace. Ma qui, caro Silvano, siamo giunti al punto che chi auspica di essere governato bene da un Ulivo forte e vivace è biasimato, dipinto come un estremista o addirittura come un traditore.
Al contrario, sarebbe ora che al Centro Europa capissero che è governando male che si rischia di finire all’opposizione. E che è lasciando marcire l’Ulivo che si rischia di spaccarlo.
Se l’Ulivo andrà all’opposizione o si spaccherà, non sarà certo per colpa (figuriamoci!) delle critiche di QT, quanto piuttosto perché non si sarà dimostrato all’altezza delle speranze di chi l’aveva votato. E’ forse un male che il cattivo governo comporti la cacciata all’opposizione? Tutt’altro: è un bene prezioso di ogni sana democrazia.
Questo significa forse che auspichiamo che l’Ulivo vada all’opposizione? No. Auspichiamo che l’equazione "mal governo uguale cacciata all’opposizione" stimoli i governanti (chiunque essi siano) a governare bene.
E’ ovvio, quindi, che c’è da rammaricarsi, e tanto, se la destra fa di tutto per farsi del male da sola, con le sparate sul cimitero islamico, su malga Zonta e sui libri di testo. Perché così facendo, apparendo impresentabile, irresponsabile ed estremista, rischia di tagliarsi fuori da sola dalla competizione per il governo della Provincia, facendo saltare la suddetta equazione. Se la destra appare pericolosa ed inaffidabile, fornisce infatti all’Ulivo uno straordinario alibi per continuare a governare male, restando tuttavia al governo.
Affinché una democrazia competitiva e bipolare funzioni (e l’Ulivo è nato per essere uno dei due poli di una democrazia competitiva) è necessario che vi siano almeno due soggetti che competono per il governo. Se ne rimane uno solo, perché l’altro rinuncia in partenza per overdose d’idiozia, è un grave problema per tutti.
Dovremmo forse rallegrarci del fatto di avere una destra che fa di tutto per perdere, poiché così l’Ulivo può rimanere al potere anche governando male? Personalmente preferirei che in Italia - anziché quell’accozzaglia di conflitto d’interessi, di nostalgie fasciste e di xenofobia che è oggi la Casa delle Libertà - ci fosse una destra seria, col senso delle istituzioni democratiche. Come quella francese, nata con De Gaulle dalla resistenza al nazismo e che oggi è in prima linea contro Haider e si rifiuta di allearsi con Le Pen, anche a costo di perdere le elezioni. O come quella tedesca, convintamente europeista, che si sta battendo per mettere al bando i neonazisti dell’NPD. Oppure ancora come quella inglese di Churchill, sbarcata in Normandia ed in Sicilia, insieme agli americani, per liberare l’Europa dal nazifascismo. O infine come quella americana di Bush (senior) che, a differenza di Clinton, prima di ogni intervento militare all’estero chiedeva quanto meno il permesso all’ONU e che è stata artefice dell’accordo di pace Rabin-Arafat e della fine dell’apartheid in Sudafrica. Sarei felice di avere, in Italia, una destra così, guidata magari da un Fazio, o da un Monti, anche a rischio di vedere la sinistra andare, periodicamente, all’opposizione.
In tutta sincerità, se ci sforziamo di non essere faziosi, mi pare che a livello nazionale Berlusconi, Fini e Casini ci stiano provando - qui non m’interessa addentrarmi nella disquisizione di quanto sia sincero quel tentativo - a fare della destra italiana qualcosa di presentabile. Fini ha abbandonato il fascismo e depone fiori alle Fosse Ardeatine. Berlusconi ha agganciato Forza Italia al PPE. Casini è forse stato il primo tra gli ex diccì ad aver compreso il funzionamento di una democrazia competitiva. E siccome di quei tre tutto si potrà dire, fuorché che siano stupidi, sono anche sicuro che, pur non potendolo far vedere, s’arrabbiano quando Storace o Bossi (o Plotegher o Boso) ne sparano una delle loro. Quanto meno perché hanno capito, a differenza dei loro affiliati trentini, che così facendo i voti si perdono, non si guadagnano.
In definitiva, qui mi pare che il vero problema stia nel fatto che quasi nessuno, in Trentino, abbia capito come funziona una democrazia competitiva. Col risultato che entrambi gli schieramenti, anziché competere per il governo, fanno la gara a perdere. Anziché cercare di conquistare elettori all’avversario dimostrando di essere la forza più seria e responsabile, quella che sa meglio interpretare l’innovazione, fanno l’esatto contrario: cercano di rinsaldare il legame coi loro elettori tradizionali. Alleanza Nazionale con le trovate fasciste, la Lega con quelle razziste, Forza Italia e la Margherita col doroteismo. E la sinistra, da ultima, pensando che, comunque si governi, i "lavoratori" la voteranno sempre lo stesso. Sbagliano i conti, perché le regole del gioco sono cambiate, anche in Trentino.
Silvano Bert ha ragione quando dice che la politica non è mai pura manovra di un singolo, che ci devono essere delle forze reali, nella società, per renderla possibile. Ed infatti, se questa Giunta provinciale crollerà, se questo Ulivo andrà all’opposizione in Provincia o si spaccherà, sarà perché la società se ne vuole sbarazzare, sebbene l’assenza di un’alternativa credibile potrebbe prolungarne per un po’ l’esistenza, con grave danno per il Trentino. In ogni caso, se non si cambierà rotta, il destino è segnato.
L’Italia ne aveva piene le scatole del pentapartito almeno dal 1985. Ma l’assenza di un’alternativa (c’era ancora il PCI) costringeva tutti a continuare a votare il pentapartito, turandosi il naso. Il risultato, anche lasciando perdere Tangentopoli, è che in quei pochi anni si è riusciti a portare l’Italia alla bancarotta, cosicché il sottoscritto andrà in pensione, se ci arriverà, all’età di ottant’anni. Se la svolta della Bolognina fosse avvenuta dieci anni prima, forse le cose sarebbero andate diversamente. Certo non si può accusare il PCI del malgoverno del pentapartito, ma di sicuro il conservatorismo di Natta ha fornito una sponda involontaria a Giulio Andreotti, allo stesso modo di come oggi Taverna la sta fornendo, altrettanto involontariamente, a Dellai.
Alla fine il pentapartito è caduto ugualmente e Giulio Andreotti, anche lasciando perdere i guai giudiziari, non ha certo concluso la propria carriera di governante tra gli allori.
Io sono un inguaribile ottimista. No, non sto parlando della carriera politica di Dellai. Parlo del ragionamento di Silvano Bert sulle forze reali della società, che prima o poi si sbarazzano dei governi inadeguati. Sono certo, infatti, che la società nel suo complesso sappia benissimo valutare quale sia il proprio interesse. Non è vero, insomma, che la maggioranza dei cittadini trentini voglia impianti di risalita dappertutto, sia affezionata ai comprensori, auspichi le speculazioni immobiliari. Qualcuno che vuole queste cose (una alla volta, non tutte assieme) c’è, ma è una minoranza. Sparuta.
Se gli impianti si fanno, se i comprensori ci sono ancora, se gli speculatori fanno affari, le forze sociali non c’entrano un bel niente: è soltanto perché chi ci governa ragiona come se fossimo ancora in una democrazia bloccata (e Taverna ci mette del suo, per suffragare questo tragico - per noi cittadini - abbaglio). Pensano cioè che per rafforzare il proprio potere, per rimanere al governo, il governare bene non conti nulla: si devono invece fare i favori agli amici, per affrancare il legame col proprio elettorato.
Il novantacinque per cento dei trentini (è una stima per difetto) è contrario al fatto che la Provincia regali soldi agli impiantisti, ma i rubinetti dei contributi non vengono chiusi perché si ha paura di perdere il voto degli impiantisti. Il novanta per cento dei trentini pensa che i comprensori siano inutili: se sono ancora lì è perché si ha paura di perdere i voti di chi ci lavora. Il novantanove per cento dei trentini è scandalizzato per le speculazioni immobiliari, ma verso gli speculatori c’è benevolenza perché si ha paura di perdere i loro voti.
Questa è la logica del sistema elettorale proporzionale e del sistema delle preferenze, nel quale i cittadini esprimono un voto di appartenenza, eleggono cioè i rappresentanti della propria corporazione. Non è la logica del "come se" ci fosse il maggioritario.
E’ ben vero che il maggioritario italiano nasconde ancora al suo interno il sistema proporzionale, per cui ogni partito è spronato a rinsaldare il consenso per se stesso, elargendo favori, anziché andare alla ricerca del consenso per la coalizione, governando bene. Le sparate di Bossi e Storace fanno sicuramente perdere voti al Polo, ma forse non fanno perdere alla Lega e ad AN i loro tradizionali elettori razzisti e fascisti.
Se poi il sistema prevede le preferenze, il problema si estende finanche alle singole persone. Cosicché la Val Jumela ha sicuramente fatto perdere voti all’Ulivo e probabilmente anche alla Margherita, ma forse non ha fatto perdere a Dellai i voti sicuri dei suoi amici impiantisti (e chissà, forse Pinter avrà pensato che votare contro quell’impianto gli sarebbe bastato per mantenere i voti dei suoi elettori ambientalisti).
Il gioco funziona sino a quando tutti gli altri elettori dell’Ulivo saranno costretti a turarsi il naso, poiché di fronte ad una destra impresentabile e pericolosa è pur sempre meglio un brutto Ulivo. Funziona insomma se la democrazia è bloccata. Ma poi?
Di sicuro c’è che, dietro il modo di governare di questa Giunta provinciale, tutto si può vedere fuorché il "come se" ci fosse il maggioritario. Il "come se" è stato usato solo per le elezioni, ma poi è stato rimesso nel cassetto.
In ogni caso, ai fans del "come se", che quindi presumo essere favorevoli al maggioritario, bisognerebbe ricordare che quel sistema elettorale non è stato un espediente inventato dalla sinistra, un trucco per andare al governo senza avere i voti. E’ un modello di funzionamento della democrazia alla base del quale c’è la convinzione che la periodica alternanza al governo sia una cosa salutare. E per alternanza non s’intende un periodo di democrazia alternato ad un periodo di fascismo, bensì un periodo di governo di centrosinistra (onesto, serio, responsabile e moderatamente riformatore) alternato ad un periodo di governo di centrodestra (onesto, serio, responsabile e… moderatamente riformatore pure lui).
Infine è il caso anche di ricordare che nella democrazia dell’alternanza i bravi elettori, fatti salvi gli addetti ai lavori, non sono quelli che votano sempre dalla stessa parte, ma quelli che scelgono di volta in volta, giudicando in maniera molto laica e per nulla ideologica i due schieramenti.
Stiamo andando incontro alla fine dell’Ulivo? Ma no, non disperiamoci: stiamo soltanto andando incontro ad una salutare convalescenza post-sbornia di questa sua brutta versione trentina. L’Ulivo si è formato per convenienza, quella di stare assieme se la competizione politica è di tipo bipolare (perché così stabiliscono le regole elettorali o perché così la percepiscono gli elettori). Sino a quando ci sarà questa convenienza l’Ulivo rimarrà. E’ vero: la permanenza del PPI all’interno del Partito Popolare Europeo costituisce una contraddizione che prima o poi andrà risolta. Ma questo è un problema che riguarda soltanto la ristrettissima cerchia del ceto politico.