Dellai candidato?
Una candidatura che in realtà è un benservito; che però non riesce. Anche se, in questa maniera, si mettono a rischio le elezioni. Balletti, intrighi, retroscena dietro la decomposizione di una coalizione.
E’ stato un coro: "Contro Patt e Lega candido Dellai" (Mauro Leveghi, socialista, presidente del consiglio regionale) "Sì, a questo punto Dellai deve presentarsi" (Giorgio Tonini, DS, ghostwriter di Veltroni) fino al brutale "Vada a Roma, e fra i peones, senza sognare di fare il sottosegretario" (Alberto Robol, senatore dei Popolari).
Certo, sono largamente prevalse le blandizie ("Con Dellai candidato si vince su tutto il territorio" ). Ma il senso era chiarissimo: mandiamolo a Roma, che ce ne liberiamo elegantemente. Un classico promoveatur ut amoveatur, lo promoviamo così ce ne sbarazziamo? Peggio, perché a Trento il presidente della Provincia decide su seimila miliardi, a Roma il peone, magari di opposizione, ha potere zero o quasi, il suo compito è alzare la manina a comando del capogruppo.
Insomma, tutte queste esortazioni alla candidatura del presidente della Giunta provinciale, insediatosi neanche due anni fa, sono francamente sconcertanti. E indicano quanto fosco sia Il tramonto di Dellai su cui avevamo scritto nel numero scorso.
Le motivazioni di fondo del benservito al Presidente rimangono quelle già illustrate: il tentativo di instaurare un potere rigidamente personale, sulle macerie delle formazioni politiche della propria aerea (a iniziare dal Partito Popolare) gli hanno procurato il risentimento degli ex-DC; la politica clientelare e la contiguità con l’affarismo lo hanno portato a un’estenuante guerriglia con gli alleati di sinistra; le giravolte, i tradimenti, l’arroganza, lo hanno reso inviso all’insieme del personale politico. Di qui la scarsa operatività della sua giunta, che finiva con l’alienargli le simpatie di gran parte del mondo economico.
E’ in tale contesto che si sono inseriti gli ultimi avvenimenti del gioco politico. Li illustriamo, non per amore dei retroscena, ma perché ci paiono altamente emblematici.
Dunque, in questo frangente è diventato centrale il PATT: il suo gruzzolo di voti può essere decisivo per la vittoria dell’uno o dell’altro dei due schieramenti alle prossime elezioni. Né esistono preclusioni, date le scarse motivazioni politiche del partito ("la difesa dell’Autonomia", cioè aria fritta: l’Autonomia non l’attacca nessuno) e la disponibilità dei suoi dirigenti ad allearsi con chicchessia.
Ed ecco quindi il segretario Bezzi stringere un accordo ("tecnico" - dice) con la Lega e quindi il Polo per un collegio per il partito, ossia per un posto a Roma per se stesso. Contemporaneamente Carlo Andreotti (sempre PATT ed ex-presidente della Provincia) tesse contatti con i diessini, dai quali sortisce la seguente prospettiva: via Dellai da piazza Dante, nuova Giunta provinciale con l’ingresso del PATT e degli ex-DC del Centro, alle elezioni alleanza del PATT con l’Ulivo.
Chi ci guadagna? Gli autonomisti: un assessorato in Provincia, un parlamentare a Roma, una coltellata a Dellai che li aveva infinocchiati promettendo e poi soffiando a Andreotti la presidenza del Consiglio provinciale. E la sinistra: ci si libera elegantemente dell’ormai indigesto Dellai; se ne ottiene la presidenza (non per i DS, ma per il socialista Leveghi); si aggrega il PATT al cigolante carro di Rutelli. Ma anche gli ex-DC ci guadagnano: quelli del Centro ritornano al potere, e fanno fuori l’odiato Dellai; i Margheritini si liberano del capo ormai troppo scomodo in modo indolore, promuovendolo a Roma, invece che facendogli le scarpe dopo le elezioni, come peraltro già programmato.
Ed ecco quindi salire il coro: "Dellai abbiamo bisogno di te!" "Si assuma le sue responsabilità" "Dobbiamo mettere in campo tutte le nostre forze migliori".
Il progetto però non va in porto (a meno di improbabili prossime nuove mosse). Chi vi si oppone è lo stesso Dellai, che correttamente interpreta il trasferimento a Roma come un brusco allontanamento dai posti che contano. Anche perché la sua dipartita da Piazza Dante significherebbe lo sfaldamento del suo entourage: che farebbe il braccio destro Grisenti, assessore al cemento e tessitore dei rapporti con l’affarismo? Che farebbe Mauro Betta, oggi coordinatore della Margherita e segretario/liquidatore del Partito Popolare, posto da cui verrebbe scalzato a giro di posta? Cosa il fido Duiella, nominato al vertice di molteplici società parapubbliche?
Il blocco di potere dellaiano non ha alcuna autonomia, dipende interamente dalla carica del capo; se questi se ne va, crolla tutto.
Di qui l’irremovibilità di Dellai: dovrete cacciarmi, piazza Dante è la mia linea del Piave.
L’altro corno è la sinistra; che nell’Ulivo è la prima e forse l’unica ad essere fortemente interessata al risultato positivo alle elezioni di primavera. I risultati del ’96 sono chiarissimi: tranne in Valsugana, l’Ulivo aveva vinto in tutti i collegi, ma solo perché Lega e Polo erano divisi: uniti avrebbero fatto loro l’en plein. Per contrastare l’alleanza Lega+Polo si dovrebbe aggregare il PATT (allora presentatosi come Abete, vedi l'elaborazione grafica).
Ma se al contrario il PATT passa addirittura dall’altra parte, non c’è proprio più speranza come dimostra il grafico, a meno di modificazioni profonde delle propensioni dell’elettorato.
E qui si apre il secondo aspetto: quanto questi anni - con l’Ulivo al governo - hanno modificato le opinioni dell’elettorato? Rimaniamo al discorso provinciale: i diktat dellaiani tipo Jumela, quanto hanno inciso? E soprattutto: quanto pesa l’evidente affanno di una coalizione che si professava granitica e riformatrice, e che invece si è rivelata profondamente divisa, e incapace di progettare?
Di qui, per i sostenitori dell’alleanza con il PATT, la positività di una scossa al governo provinciale: ci si libera di Dellai e dei suoi rapporti con affari e clientele e la coalizione può riprendere con più slancio.
In questa valutazione c’è anche il ricordo della giunta Andreotti 2, quella con la sinistra, negli ultimi dieci anni l’unica che, nella sua pur breve vita, abbia impostato un’azione seriamente riformatrice (scuola, comprensori, sistema elettorale…). Allora l’esperienza finì causa i robusti pali fra le ruote infilati da Tretter, che non ammetteva che Andreotti, numero 2 del suo partito, potesse oscurarlo. Ma ora Tretter è fuori gioco, una nuova giunta potrebbe riprendere quella strada riformatrice che con Dellai non è stata imboccata: in sostanza, vittoria ad aprile e una nuova gestione della Provincia.
Ma quest’ipotesi è stata subito contrastata, all’interno dei DS. Il sindaco Pacher, il vecepresidente della Provincia Pinter, il segretario Bondi la vedono in maniera diversa: Dellai non si può allontanare con un escamotage: c’è poco da fare, si è avvinti al suo destino. E con il PATT non è possibile condurre trattative serie: non è affidabile, tratta su più tavoli; e poi a che condizioni entrerebbe in giunta?
E soprattutto, a che condizioni entrerebbe il Centro di Valduga e Conci, da sempre alfieri della politica della clientela?
"Noi con Dellai non possiamo rompere. Significherebbe ridurci a una posizione di testimonianza" - ci dichiara Mauro Bondi. Non parliamo poi degli assessori, sindaci, ecc: una rottura renderebbe pericolanti tutta una serie di posizioni; quindi non se ne parla neanche.
Insomma, ai tempi della Jumela avevano detto che dovevano rimanere in Giunta, anche a costo di fare a pezzi i programmi, perché era prioritario vincere le elezioni di aprile. Adesso raccontano che devono rimanere in Giunta, anche a costo di perdere le elezioni… perché è prioritario rimanere in Giunta.
A noi - troppo idealisti? - la realtà sembra semplice. Non si tiene insieme una coalizione composita, se questa perde idealità, programmi, fiducia reciproca. E allora non servono - anzi, sono dannose - le rinunce ai propri principi fondanti, o le contorsioni per tappare i buchi raccattando per strada questo o quel nuovo alleato. (E che questa convinzione, in contrasto con i balletti dei notabili, incominci a farsi strada nel corpo della sinistra, lo dimostrano vari eventi, un esempio la gestione di Trento-città, vedi Pacher è avvisato: dal suo stesso partito).
In effetti il disfacimento della maggioranza sta andando avanti rapidamente. Respinta l’ipotesi PATT, il centrosinistra si è messo a guardare sotto altra luce le cifre delle elezioni del ’96. E le tabelle che hanno originato i nostri grafici a molti hanno fatto venire i sudori freddi.
A cominciare da Dellai, cui parte della stessa Margherita aveva già promesso lo sfratto, se ad aprile si dovesse perdere. La risposta è negare ogni rapporto tra Giunta e voto di aprile; e per far questo prenderne le distanze: "Dobbiamo evitare l’errore di D’Alema" dice in giro l’entourage dellaiano, "Quelle elezioni non ci riguardano".
Il che sta facendo imbufalire molti. In primis i DS romani, cui da Trento erano state decantate le mille meraviglie della Margherita e di questo centro-sinistra trentino bello, unito, popolarissimo, mentre ora si scopre che esso rischia di non fare neanche un parlamentare, e il super-leader se ne frega.
Ma anche dentro la Margherita. Tarcisio Grandi aveva dato il suo decisivo contributo a Dellai facendogli vincere, con un voltafaccia dell’ultimissima ora, il congresso del PPI di Comano. In cambio non aveva ricevuto praticamente niente, se non la promessa di un collegio al Senato; e ora anche questa si sta rivelando fasulla. Ecco quindi che Grandi si allontana, e assieme ad altri della Margherita (Cristofolini, presidente del Consiglio, e Molinari, l’inquieto assessore alla Cultura) inizia a guardare al movimento di D’Antoni. E anche le Genziane (gli assessori Casagranda, Muraro, Pallaoro) si smarcano: alle elezioni nazionali non si impegneranno, poi si vedrà.
Dalla nave che rischia il naufragio, i topi scappano...