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QT n. 16, 16 settembre 2000 Servizi

L’estate dei ricatti: Folgaria e il Bondone

La visione del turismo che sta dietro all’aut aut “niente Daolasa, niente Bondone”.

E' stato salutare l’aggressivo proclama di chiusura degli impianti del Monte Bondone da parte della società funiviaria di Folgarida-Marilleva.

E’ stato salutare per i nostri politici, per gli albergatori rimasti stupefatti e increduli, in un secondo tempo offesi e scandalizzati. Ma non sono, questi, tempi che ci permettano di restare fermi, attoniti davanti allo scandalo. Chi si preoccupa sinceramente dello sviluppo equilibrato del Trentino deve leggere quella conferenza stampa in modo pragmatico e laico, seguendo il terreno abituale degli imprenditori. Da quella conferenza stampa si è capito cosa significa delegare le scelte di programmazione turistica alle sole esigenze degli impiantisti e dell’industria della neve.

Nell’ultimo decennio gli impiantisti hanno voluto strade veloci e in molte aree le hanno avute. Hanno preteso piste sempre più larghe e impianti veloci, con grandi portate e li hanno ottenuti; hanno chiesto vette, forcelle e pascoli per portarvi musica da discoteca, per imporre ristoranti e terrazze-solarium e l’hanno avuta vinta. Ora vogliono ancora altri collegamenti, aree urbanizzabili non solo in fondovalle, ma anche in quota, la Valdastico e la terza corsia dell’Autobrennero, decine di circonvallazioni. Fosse stato per Dellai-Grisenti e il centro-destra, avrebbero ottenuto anche questo.

Gli impiantisti hanno bisogno della velocità, di toccare e fuggire, di numero di passaggi, quindi solo di quantità: il turismo degli alberghi, dell’artigianato, l’agricoltura, la specificità alpina hanno bisogno invece della lentezza, di riflessione, di cautela.

Lo avevamo già scritto, ma nonostante questo le associazioni imprenditoriali degli albergatori, del commercio, qualche primula rossa del sindacato (endemismo alpino in via di estinzione, ma non per questo da tutelare) si ostinano a non capire.

La conferenza stampa di Bertoli e Renzi, caduta nella calura di fine agosto, ha messo in rilievo come nelle società funiviarie non esista alcun concetto di solidarietà, di interazione con altri soggetti, come prevalga l’egoismo, l’interesse della specifica impresa, e che per difendere interessi corporativi si è disposti a tutto, fino alla politica del ricatto (chiudo il Bondone se non mi date Daolasa quota 1400 e Mastellina). Avevamo scritto che la cultura dell’impiantista arrivava ad espropriare le vallate di potere decisionale: questo è avvenuto in Bondone, è presente ormai in tutta Fassa e in Rendena, ed avverrà in tempi brevi in altre località, anche a Folgaria.

Ovunque si sia in presenza di un reticolo sciistico, gli amministratori locali diventano dei portaborse delle società impiantistiche: non portano solo borse in quel di Trento, ma prendono ingenti quote dei bilanci comunali e li investono nelle società, agevolano qualunque operazione urbanistica, anche di grande impatto, attraverso l’istituto della delega, cancellano dalla storia trentina il valore dell’istituto dell’uso civico. Questi sindaci, eletti direttamente dalla popolazione, certo democratici, abdicano al loro principale dovere: quello di costruire uno sviluppo durevole che abbia una ricaduta equilibrata su tutto il tessuto sociale. Nel Trentino non si è ancora compreso tutto questo.

La conferenza stampa di Bertoli e Renzi è arrivata dopo un viaggio dei dirigenti della società in Bulgaria, un viaggio d’affari, di acquisti e vendite, di investimenti portati all’Est. La difesa dei dirigenti della società è stata subito fragile ed è stata smentita pubblicamente sulla stampa locale. Gli utili ricavati dal nostro territorio, costruiti con ingenti stanziamenti pubblici a fondo perduto, vengono quindi portati all’estero, non si fermano nelle nostre vallate per consolidare o migliorare la qualità dello sviluppo.

Questi effetti saranno ancor più dirompenti non appena le grandi società italiane verranno quotate in borsa. Come ha detto Renzi, direttore delle funivie Folgarida, gli azionisti pretendono utili.

E allora perché tenere in piedi i rami secchi? Fra poco ci si chiederà perché tenere in vita quelli che producono minimi margini di utili. L’attenzione rimarrà concentrata solo nelle zone forti, dove l’industria impiantistica avrà costruito una filiera inattaccabile: seconde case, centri commerciali, servizi, impianti, un villaggio tutto compreso. E’ la tendenza presente a Canazei con le nuove scelte di alcuni forti imprenditori entrati in Superski Dolomiti, che leggiamo a Folgarida con l’imposizione degli impianti in area a rischio geologico di quota 1400 e con il disegno che comprendeva linea ferroviaria, impianti e soprattutto seconde case.

Chi controllerà più questi pacchetti azionari? Non certo le comunque consistenti quote investite in decenni dai comuni (da Canazei a Cavalese, da Sarnonico a Vermiglio, da Pinzolo a Vigo Rendena, da Tonadico a Siror, fino a Folgaria-Lavarone) e men che meno le poche decine di milioni investiti da albergatori o maestri di sci. Le scelte saranno decise dalle grandi holding finanziarie, come già da qualche anno avviene in Francia e in Svizzera.

Chi comprerà più nei piccoli centri commerciali dei nostri paesi, o nelle botteghe artigiane? Quando si troveranno a disposizione appartamenti e residence gravitanti attorno a grandi sale-ristorante, ben pochi turisti andranno ancora in albergo: troveranno le loro giornate di soggiorno programmate minuto per minuto dalle agenzie turistiche, che importeranno cibi e souvenir, spettacoli e animatori, ricreazione e svaghi.

Ecco il Trentino che abbiamo costruito appoggiandoci alla politica della Provincia, grazie alla distribuzione a maglie larghe di denaro pubblico: abbiamo consolidato poteri che toglieranno energie economiche, risorse finanziarie, intelligenza e imprenditorialità dal territorio. Ai residenti delle vallate resteranno i lavori di manovalanza nei grandi alberghi e nei servizi; ogni specificità andrà perduta, ci ritroveremo in tutto simili ad una stazione sciistica slovena o francese.

E’ questo il futuro che vogliamo per le popolazioni delle Alpi trentine? Forse siamo in tempo per invertire una rotta tanto povera di prospettive, per non subire un’omologazione culturale devastante. Non serve grande sensibilità ambientalista per sconfessare le scelte urbanistiche sostenute da Dellai o dalla Confindustria trentina. Per cambiare basta un’analisi economica e sociale del nostro territorio, è sufficiente chiederci come e dove debba lavorare la popolazione trentina nei prossimi decenni, a cosa debba aspirare.