Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Diecimila desaparecidos

10.000 gli immigrati oggi in Trentino; ma di loro non ci si accorge, se non per la piccola porzione di marginali e devianti. I problemi sul come riconoscere il problema, e avviare meccanismi di partecipazione e integrazione.

Nei faccia a faccia elettorali trasmessi alle 8 di sera su Rai3 abbiamo visto numerosi candidati di liste contrapposte in grave difficoltà nello spiegare ai giornalisti che li interrogavano le differenze fra i due schieramenti avversari: i più eludevano la domanda, mentre qualcuno, ingenuamente, spiegava che sì, in effetti, non c’erano grandi diversità, ma in un piccolo comune la cosa andava considerata normale. Il che può essere vero, ma solo fino a un certo punto; ad esempio, l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione dovrebbe essere - anche in una piccola realtà - uno spartiacque ben visibile fra una coalizione di centro destra e una di centro sinistra. Ma su questo tema, nel corso dei numerosi dibattiti che ci è capitato di seguire, non ricordiamo di aver sentito una mezza parola.

La "invisibilità" degli immigrati è stato appunto un tema centrale nei due giorni del convegno organizzato la settimana scorsa a Trento dal Forum Trentino per la Pace ("Immigrazione in Trentino: progettare la cittadinanza")

Citiamo da una delle relazioni: "Questa significativa componente sociale (10.000 persone in Trentino) dove e come è presente? Purtroppo questa presenza è spesso evidente, o evidenziata, soltanto in termini di forza-lavoro necessaria o come potenziale serbatoio della criminalità. E’ un fatto che oggi in nessun luogo, sia civile sia istituzionale, dove si creano e si discutono idee, progetti, politiche (anche in tema di immigrazione), questi cittadini sono partecipi. Quello che oggi si chiede ad un amministratore in tema di immigrazione non può essere unicamente di fornire servizi ad un soggetto passivo o debole, ma quello di individuare forme, modi e soprattutto opportunità che consentano una presenza sociale degli immigrati, una partecipazione effettiva, che passi, eventualmente, anche attraverso forme di rappresentanza".

E ancora, l’antropologa Annamaria Rivera: "Si tende a vedere i clandestini, gli irregolari, i marginali; non si vedono, invece, gli stranieri che hanno compiuto un percorso di inserimento, quelli che lavorano nelle fabbriche, nei servizi, nelle campagne, nelle case degli ‘autoctoni’. Lo straniero è tollerato proprio nella misura in cui è invisibile, è riducibile a forza-lavoro docile, muta, nascosta, incapace di reclamare diritti... Mentre il processo di inserimento è un processo silenzioso, i casi di marginalità e di devianza vengono enfatizzati, sottolineati in modo seriale e martellante dai mezzi di comunicazione di massa. Ciò finisce per polarizzare l’attenzione pubblica sulla componente più marginale dell’immigrazione, o meglio, sugli stranieri rappresentati come marginali e rafforza l’idea dell’immigrazione come problema, anzitutto come problema di sicurezza e di ordine pubblico".

E’ un’invisibilità metaforica, ma per certi versi anche fisica: la presenza percepibile di queste persone, infatti cessa non appena esse escono dai cancelli del loro posto di lavoro, perché le difficoltà di socializzazione fanno sì che raramente sia possibile incontrarle nei normali luoghi di ritrovo; e così, ad uno sguardo distratto e superficiale, la sola presenza straniera visibile rimane quella, disperata e marginale, di una minoranza.

Gli altri non ci sono più. Diecimila desaparecidos - ha detto qualcuno. La loro è una "inclusione subordinata", che li vede tollerati e addirittura richiesti ma solo finché servono alle nostre necessità: e allora - ha ricordato Antonio Rapanà della CGIL - capita perfino che certi agricoltori leghisti protestino contro il troppo limitato numero di stranieri ammessi a lavorare nella raccolta delle mele.

Come se non bastasse, l’invisibilità degli stranieri ha pure un altro aspetto, così sintetizzato da Annamaria Rivera: "Gli stranieri, mentre sono percepiti come troppo visibili, al tempo stesso vengono resi invisibili fino a scomparire come persone... si tende a enfatizzare la questione dell’identità, sempre intesa come identità etnica. Gli stranieri vengono per lo più visti non come persone, con la loro condizione, storia, biografia, ma come tipi che incarnano l’essenza etnica (o addirittura razziale) del gruppo con cui, talvolta arbitrariamente, vengono identificati. In tal modo si finisce per vedere negli altri null’altro che stereotipi: il musulmano, l’arabo, l’albanese, il marocchino, lo zingaro, invece che persone in carne e ossa".

Ma concretamente, a cosa si pensa nel momento in cui si parla di una maggior partecipazione degli stranieri, di una loro visibile presenza in veste di cittadini?

Sì, il diritto di voto, o quanto meno - come già accade in alcune realtà avanzate come Modena - la loro presenza ufficiale in Consiglio comunale sia pure senza diritto di voto. Ma essere cittadini a pieno titolo è un obiettivo al quale ci si avvicina anche con altri modesti accorgimenti: "Favorire la partecipazione degli immigrati - dice Rapanà - è anche fare in modo che lo straniero possa veder rinnovato il suo permesso di soggiorno senza lunghe, umilianti code alla questura; è avere a disposizione, negli uffici pubblici, un dépliant che gli spieghi, nella sua lingua, quali documenti richiedere per quella certa pratica; è la possibilità, per la donna musulmana, di trovare al consultorio e in ospedale, degli operatori informati di quale è il suo rapporto con il corpo... E’ anzitutto grazie a interventi di questo genere che l’immigrato può sottrarsi alla passività, alla subordinazione e quanto meno avvicinarsi alla condizione di cittadino".

A che punto siamo in questa direzione?

Nonostante le positive novità previste dalla nuova legislazione nazionale, al convegno non si è percepito molto ottimismo: il mondo dell’immigrazione è ancora estremamente fragile, debole, e il clima politico circostante non autorizza molte speranze: "Su circa 160 comuni che andranno al voto - ha osservato sconsolato Walter Micheli - in 40 si presenterà al giudizio degli elettori una sola lista. E questo è sintomo di una democrazia stanca, dove un problema già complesso come quello della piena cittadinanza degli immigrati diventa inevitabilmente ancor più difficile".