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QT n. 10, 13 maggio 2000 Servizi

Violenti e immorali. Albanesi di oggi? No italiani di ieri

Da uno studio sulla emigrazione trentina a fine’800 nel Vorarlberg: gli stereotipi e le generalizzazioni, identiche a quelle che oggi applichiamo ai nostri immigrati.

Passerini Vincenzo

Del convegno "Immigrazione in Trentino: progettare la citta-dinanza", tenutosi a Trento il 6-7 maggio scorso, parliamo diffusamente nella rubrica "15 giorni" (Diecimila desaparecidos). Qui riportiamo invece l’intervento introduttivo a quel convegno di Vincenzo Passerini, presidente del Forum Trentino per la Pace, che riprendendo lo studio di una storica austriaca sul clima che accompagnò l’emigrazione trentina nel Vorarlberg austriaco a fine Ottocento, ci dimostra con una chiarezza impressionante l’implacabile ripetitività di certi stereotipi applicati nei confronti dei "diversi". Pubblichiamo questo contributo pensando soprattutto a quanto importante sarebbe se certe conoscenze passassero più frequentemente nelle nostre scuole...

Voglio cominciare questo mio intervento leggendo una massima che ho trovato sulla rivista "Trentini nel mondo" (nel numero di febbraio del 1999), che è il mensile dei nostri emigranti:

"Il tuo Cristo è ebreo.
La tua macchina è giapponese.
La tua pizza è italiana.
La tua democrazia è greca.
Il tuo caffè è brasiliano.
Le tue vacanze sono turche.
I tuoi numeri sono arabi.
La tua scrittura è latina.
E tu
rimproveri
al tuo vicino
di essere uno
straniero".

L’ho scelta, questa massima, non solo perché è molto bella, molto vera perché con poche parole apre i nostri occhi che spesso guardano ma non vedono; ma l’ho scelta anche per il luogo dove l’ho trovata, cioè, la rivista degli emigranti trentini.

In particolare essa era inserita in un dossier di quattro pagine sull’intolleranza elaborato dai giovani emigranti trentini in occasione dell’annuale incontro europeo. Un dossier interessante, perché i giovani emigranti trentini, l’intolleranza non solo la studiano ma la subiscono. E ancor di più l’hanno subita i loro padri e i loro nonni. Perché loro sono gli stranieri, loro sono i diversi, loro sono quelli che vengono da altri paesi, che hanno un’altra lingua, hanno altri costumi e tradizioni, loro hanno avuto bisogno del lavoro e del rispetto altrui.

Vedete: noi non possiamo parlare di immigrazione senza ricordarci che siamo stati - e lo siamo ancora in parte - un popolo di emigranti. Cioè siamo stati e siamo anche noi un popolo di immigrati per i paesi che ci hanno accolto (quante volte l’Antico Testamento ripete: onora il povero, l’orfano, la vedova, lo straniero perché anche voi foste stranieri nella terra d’Egitto!).

Siamo stati anche noi emigranti, cioè immigrati.

Lavoratori italiani su un’imbarcazione davanti a Lindau (1895 circa). Questa e le altre foto di questo articolo sono tratte dal volume "Mir parlen italiano. La costruzione sociale del pregiudizio etnico: storia dei trentini nel Vorarlberg" di Reinhard Johler, edito dal Museo Storico in Trento nel 1996.

Emigranti è una parola in qualche modo nobile. Evoca coraggio, tenacia, capacità di rompere con il proprio mondo per cercarne un altro, a costo di andare incontro a tante difficoltà, a tante incomprensioni, anche a tante umiliazioni. Ma di andarci fieri di se stessi, fieri della propria storia, per quanto umile possa essere. E ostinati a realizzarsi, a poter esprimere quanto più possibile ciò che si ha dentro, a rivendicare il proprio diritto a un di più di felicità, a un di più di benessere per sé e per la propria famiglia, a un di più di cultura, a un di più di libertà.

Immigrati non è invece una parola altrettanto nobile. Evoca disturbo, fastidio, occupazione di spazio altrui. Evoca invadenza, rumore, confusione. Evoca anche di peggio nell’immaginario collettivo dei nostri giorni.

Non è forse vero?

Eppure, ambedue queste parole, l’una nobile l’altra meno nobile, indicano la stessa cosa, la stessa realtà.

La “Spagolla Musik”, un gruppo musicale che contribuì in modo decisivo alla fama dei trentini come particolarmente amanti della musica (1900 circa).

Cambia soltanto il punto di vista, il punto di osservazione. Noi ci vediamo e ci raccontiamo come emigranti (con tutto quel che di nobile questo evoca). Gli altri (gli svizzeri, i germanici, i francesi, i belgi, gli americani, gli australiani) ci raccontano come immigrati (con tutto quello che di poco nobile questo evoca).

Dopo tutto, se i nostri libri di storia parlano di invasioni barbariche, quelle dei nostri vicini tedeschi parlano di migrazioni dei popoli. Siamo sempre lì. Cambia il punto di osservazione. Emigranti o barbari?

Quando impareremo, allora, a spostarci un po’ dal nostro punto di osservazione? Forse capiremmo meglio il mondo, gli altri, noi stessi.

Ma restiamo su questo terreno, perché è quello più decisivo secondo me. Perché noi - dico noi trentini, ma anche noi italiani in generale - possiamo affrontare adeguatamente la questione dell’immigrazione solo se facciamo i conti fino in fondo con la nostra storia di immigrati. Perché è solo così che comprendiamo quanto siamo parziali nelle nostre vedute, quanto siamo smemorati, quanto crediamo di essere originali e moderni nei giudizi che rifiliamo agli stranieri senza sapere che sono stati gli stessi che gli altri rifilavano a noi.

Suggerisco a questo proposito la lettura, o almeno la consultazione, del volume "Dal Trentino al Vorariberg. Storia di una corrente migratorio tra Ottocento e Novecento", un magnifico volumone di 735 pagine che raccoglie ricerche e studi di autori austriaci sull’emigrazione trentina nel Vorarlberg, che è uno dei Laender che formano la Repubblica federale austriaca, tra la fine dell’Ottocento e gli anni che precedettero la prima guerra mondiale. Il volume è stato tradotto (anche se in un italiano a volte piuttosto zoppicante) e meritoriamente pubblicato a cura della Provincia autonoma di Trento nell’agosto del 1998.

Tra la ventina di studi pubblicati ce n’è uno che colpisce in modo particolare. E’ intitolato "Lo scontro fra due mondi: la strumentalizzazione politica della contrapposizione fra l’identità dei vorarlberghesi e l’immagine dello straniero". Autrice è Monica Volaucnik-Defrancesco.

Leggendolo, un trentino rimane esterrefatto, stupito, scandalizzato, offeso. Non per le cose che l’ottima autrice scrive. Ma per le verità storiche che rivela.

Ma possibile - ci viene da dire - che i nostri vicini austriaci, allora nostri connazionali perché uniti a noi sotto l’unico stato imperiale austriaco; possibile che ci vedessero così male? Ma noi - ci viene spontaneo reagire - non siamo come ci dipingevano loro. Ma che paura potevano avere di noi trentini? Quali minacce potevano mai portare loro i nostri bisnonni, i nostri nonni che andavano là soltanto perché trovavano lavoro in abbondanza?

Inoltriamoci un po’ nel testo della Volaucnik-Defrancesco che ha analizzato l’atteggiamento della stampa, dei partiti politici, ma anche i testi delle canzoni popolari. Facciamo un piccolo bagno di immigrazione, più che un vero e proprio bagno, che non ne abbiamo il tempo (si tratta di uno scritto di 50 fìtte pagine), magari soltanto qualche spruzzatina, giusto per assaggiare un po’ il mondo visto dall’altra parte. Leggendo, ci sembra di ritrovare discorsi a noi familiari, però riferiti ad altri.

"Era dilagante la convinzione - scrive l’autrice - che i trentini (e gli italiani in generale) fossero rozzi e non di rado aggressivi; peculiarità alle quali ne venivano associate altre, per lo più negative".

"L’accusa di atteggiamento aggressivo emerge anche nei Trentinerlieder sempre in relazione ai tafferugli che si sviluppavano il più delle volte nelle locande ".

"Il Vorarlberger Volksblatt riportava con la massima convinzione che i lavoratori trentini (riferendosi nello specifico agli operai di fabbrica di Frastanz) quando riscuotevano lo stipendio lo utilizzavano innanzi tutto per ‘placare la loro sete di acquavite ‘. Ma anche: ‘Nelle sale delle osterie gridavano come indemoniati durante i loro giochi nazionali ‘.

"Fra l’altro, veniva attribuito alla popolazione trentina il frequente uso del coltello come arma; alcuni episodi erano stati riportati pure dai quotidiani locali, e anche per questo motivo si consideravano i trentini - in parte - come persone molto pericolose".

La cortese autrice si precipita ad aggiungere - come sovente in analoghe occasioni: "Non è obiettivamente credibile, comunque, che questi immigrati siano stati realmente pericolosi sino a tal punto".

Grazie: ne avevamo proprio bisogno - ci viene da dire - rischiavamo di precipitare in una crisi di identità: noi trentini pericolosi?

Proseguiamo. Scrive l’autrice: "Passavano inosservati gli individui tranquilli, mentre erano posti in evidenza i comportamenti di coloro che deviavano dal comune civismo ".

"Veniva rimproverato agli uomini (e alle donne) del Trentino la ‘ricerca dell ‘eleganza ‘, più precisamente una particolare ostentazione e una esagerata cura nell’abbellimento della persona. Questo tipo di biasimo aveva probabilmente una origine più profonda, si supponeva infatti che i trentini conducessero una vita immorale, non soltanto gli uomini bensì anche le donne. Veniva addirittura sostenuta la tesi secondo cui l’immoralità sarebbe stata portata nel Vorarlberg dalle donne trentine.. ".

Generosa come sempre, l’autrice, si distende subito in una serie di correttivi, attenuanti, precisazioni.

In un romanzo dell’epoca si scrive: "L’incremento e l’ampliamento delle fabbriche ha portato qui da noi nel Paese gente straniera, latina, provocando in tal modo l’aumento eccessivo dei poveri, che vivono alla giornata e che prima o poi graveranno sulla comunità ".

"La famiglia dei lavoratori trentini, immigrata assieme al capofamiglia, ben presto fu considerata, e non di rado, un elemento di disturbo... "

Si scriveva su un giornale: "Bludenz e Feldkirch erano due cittadine agiate; da quando sono arrivati loro si sono trasformate in veri e propri covi di mendicanti "

Isolare i cattivi stranieri italiani-trentini era anche un modo per rafforzare la propria identità, ovviamente buona, come sempre (e Heider non c’era ancora).

Scrive l’autrice: "Le virtù ufficiali della gente vorarlberghese, intese come carattere generale, erano costantemente in contrapposizione con i ‘vizi’dei trentini; tanto questi ultimi erano considerati rumorosi, sporchi, scialacquatori, immorali, passionali, violenti e spesso ubriachi, quanto i locali si consideravano tranquilli, puliti, parsimoniosi, moralmente integri, probi, assennati... "

"L’isolamento nei confronti degli immigrati trentini venne raggiunto attraverso un’interpretazione negativa degli stessi "

E giudizi positivi ce ne sono? Qualche volta, dice l’autrice: "Per la maggior parte si tratta di frasi che commemorano defunti, perché a causa di svariati incidenti numerosi operai perirono, specialmente quelli impiegati nei lavori ferroviari, scomparsi ancora giovani... "

"Diversi articoli apparsi su alcuni quotidiani dimostrano come fosse un luogo comune rimproverare agli italiani, in generale, il fatto di trattenersi a lungo... "

Per delineare compiutamente l’immagine dello straniero nel Vorarlberg è necessario affrontare ampiamente un argomento della massima importanza: la paura di perdere il posto di lavoro. Già negli anni Ottanta del secolo scorso era sorto un interrogativo, ossia: "sarebbe stata ‘di qualche utilità’ una nuova fabbrica alle persone native di queste zone?"

"Non si voleva ammettere che l’economia locale, forse, non sarebbe decollata in assenza di quegli operai"

"I trentini erano ritenuti la causa del peggioramento delle condizioni del ceto artigiano e rurale nonché, in maniera piuttosto indiretta, pure della disoccupazione degli operai e operaie delle fabbriche tessili, della conseguente emigrazione in America e della frequente presenza di vagabondi".

"Molti abitanti del Vorarlberg temevano non soltanto l’espansione dell’industria e le sue conseguenze, ma anche un insediamento eccessivo di stranieri, la perdita della propria identità ".

"Non esisteva nient’altro che spaventasse maggiormente la popolazione del Vorarlberg dell’idea che gli italiani potessero aggregarsi fino a raggiungere la superiorità numerica... A questo tipo di timore va ricollegata l’immagine metaforica di un’invasione di italiani", che pure rappresentavano solo il 5% a livello regionale.

"Venivano diffuse notizie di tipo allarmistico... "

Si scriveva, con evidenti accuse alle istituzioni: "E naturalmente il bonario popolo del Vorarlberg tiene la bocca chiusa e, col suo silenzio, incoraggia le varie autorità a proseguire nel loro ben riuscito primo tentativo di far passare il Vorarlberg come una regione multilingue.. "

"Noi tedeschi non possiamo fare nella loro patria quanto gli immigrati trentini possono fare qui da noi ".

E l’atteggiamento dei cittadini nei riguardi degli immigrati trentini? "L’ostilità nei loro confronti era un dato inconfutabile "

Leggendo questi passi ciascuno di noi ha risentito frasi familiari, molto simili ai discorsi dei nostri giorni. Rivolti questa volta non più ai trentini, ma agli altri da parte, magari, di trentini.

Non sto negando che l’emigrazione porti con sé aspetti negativi. Un fenomeno sociale di tale portata, che stravolge la vita delle persone, di chi arriva e di chi risiede, ha spesso anche pesanti conseguenze in termini sociali, culturali, di sicurezza, di conflitto.

Non dimentichiamo che alla fine dell’Ottocento le carceri francesi erano piene di emigranti italiani e così lo sono state anche quelle svizzere nel secondo dopoguerra. L’emigrazione si porta dietro anche disperazione, solitudine, emarginazione. Ieri come oggi.

Ma una cosa è conoscere e affrontare le degenerazioni del fenomeno, un’altra cosa è affrontare il fenomeno nel suo insieme. La storia della nostra emigrazione deve aiutarci ad affrontare meglio l’emigrazione degli altri. Perché anche noi non finiamo per parlare bene degli immigrati soltanto quando qualcuno di loro muore giovane sul posto di lavoro.