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QT n. 20, 20 novembre 1999 Fondo

Craxi: che viva a lungo, ma ci lasci in pace

Io credo e, con assoluta sincerità, anche lo spero, che lo stato di salute di Bettino Craxi non sia così grave come ci viene descritto. Il sospetto che una sua infermità reale sia esagerata per usarla anche come mezzo di pressione allo scopo di propiziare il buon esito di una manovra politica affidata alle gracili mani di Boselli, ma sostenuta da robuste lobbies, mi è suggerito da vari indizi. Anzitutto la stessa repentina contraddittorietà delle notizie che ci vengono fornite, allarmanti un giorno, più rassicuranti il giorno dopo. Ma soprattutto l’assoluta improbabilità, se non addirittura impossibilità, che le esigenze di cura possano aprire la strada a Bettino Craxi per un suo ritorno in Italia come uomo libero. Solo un provvedimento di grazia può liberarlo dalle condanne ormai definitive per corruzione. Ogni altra misura, pur clemente ed umanitaria, può far di lui solo un uomo in libertà vigilata: ciò che egli non accetterà mai. Che questa sia la situazione egli lo sa. Ed allora perché mai tanto rumore attorno ad una prospettiva inesistente? Craxi reclama una riabilitazione politica, prima e più che una assoluzione penale.

E la riabilitazione politica la ricerca nella commissione parlamentare d’indagine su Tangentopoli. Egli mira, attraverso l’inchiesta parlamentare, a certificare verità già note, e cioè che anche i democristiani erano corrotti, che anche qualche comunista lo era, che il Pci riceveva finanziamenti dall’Urss. Tutte cose arcinote. Ma che dovrebbero portare la commissione parlamentare a proclamare solennemente che tutti rubavano, che prendere soldi dal nemico era altrettanto grave che rubare, e quindi che una prassi degenere così generalizzata era divenuta tollerabile politicamente e perciò anche penalmente giustificata. Conclusione, questa, quanto mai inaccettabile. Perché mai dunque il Parlamento dovrebbe perdere tempo ed energie per giungere a un simile risultato?

Anche perché, dopo tutto, la responsabilità maggiore di quell’ingombrante personaggio che è Craxi non è stata quella accertata dai giudici. Hanno sancito, in ben sei gradi di giudizio, che ha commesso reati di corruzione. Ma tali reati sono stati soltanto una delle conseguenze, e forse nemmeno la più grave, della sua concezione politica. Qualche suo estimatore ne vanta l’impulso innovatore che avrebbe impresso alla cultura socialista presentandolo come anticipatore di una moderna concezione del socialismo italiano. Non vi è nulla di più falso. Questo processo era iniziato assai prima con il vecchio Nenni e aveva raggiunto il punto più alto con l’elaborazione culturale dei primi anni ’60 con Lombardi, Santi, Giolitti, Codignola, che ispirarono la prima fase del centro-sinistra. Ricordiamo la dottrina lombardiana dell’a-comunismo, la tesi dell’alternativa che anticipava l’odierno bipolarismo, il saluto che ancora Lombardi portò al congresso comunista ammonendolo di guardarsi dai "600 milioni di albanesi" (allora i cinesi di Mao erano la metà di oggi).

Nella seconda metà degli anni ’70 il Psi era già l’avanguardia culturale della sinistra, anche se era il Pci a raccoglierne i frutti. Craxi, al contrario di ciò che fece Mitterrand in Francia, sprecò una felice occasione storica, liquidando una prospettiva possibile di egemonia socialista in una sinistra unitaria.

Egli concepì una strategia di lotta contro tutti, contestando la Dc al centro ed il Pci a sinistra.

Preda di un vero e proprio delirio di onnipotenza, si erse a demiurgo, quasi fosse anch’egli convinto come già un suo lontano e più di lui famigerato predecessore, che molti nemici portassero molto onore. In questa concezione si inscrive perfettamente la sua determinazione nell’usare il potere di coalizione verso la Dc e pure la sua fermezza verso gli Usa nell’episodio di Sigonella.

Ma anche l’arroganza che ha sempre caratterizzato il suo stile. Fino alla presunzione di impunità nel trattare disinvoltamente con i poteri economici tangenti e favori, nel concedere al suo amico Berlusconi opportunità edilizie prima e reti televisive poi.

Costume che si era diffuso in modo plateale e sfacciato anche nei rami bassi del partito, come i casi di Teardo in Liguria e dei fratelli Gentili in Piemonte avevano cominciato a rivelare. Tanto che il solito Andreotti, commentando il dilagante appetito dei socialisti craxiani, ebbe a dire che "anche i democristiani mangiano, ma sanno stare a tavola". Lo hanno sempre fatto, ma con un po’ di contrizione. I craxiani invece con spavalderia. Era inevitabile, e fu anche previsto, che una simile strategia fosse destinata a fallire. Ai molti posti di potere corrisposero magri consensi.

Fu in realtà nient’altro che arroganza dell’impotenza, ed infine naufragò nel pantano di Tangentopoli. Mani Pulite non ha cancellato la corruzione. Sarebbe eccessivo pretenderlo. Ma l’ha stroncata come ordinario e sistematico metodo di governo. E Craxi, e questa è la sua maggior colpa, ha distrutto il partito socialista. Un tempo socialista era sinonimo di galantuomo. Dopo di lui, nelle barzellette, socialista è diventato sinonimo di ladro.

Che viva a lungo, dunque, ma ci lasci in pace. Ha un fedele, potente amico dichiarato, che è Silvio Berlusconi, che ha ereditato fra i suoi elettori molti craxiani. Ma basta questo a spiegare lo spazio che ancora occupa nelle nostre cronache?