Guido Rossa al Filmfestival di Trento
L’operaio e sindacalista ucciso a Genova vent’anni fa dalle Brigate Rosse era anche un appassionato alpinista.
Vent’anni fa, a Genova il 24 gennaio 1979, le Brigate Rosse uccidevano l’operaio sindacalista Guido Rossa: un episodio tragico che segnò un punto di svolta della lotta armata in Italia. Da quel momento le Brigate Rosse accelerarono il declino della simpatia che riscuotevano in alcuni ambienti e la loro credibilità venne travolta da una massa imponente di cittadini (250.000 persone) che seguirono il funerale del sindacalista.
Il primo maggio a Trento, nella più totale assenza della sinistra istituzionale e sindacale, il Filmfestival della Montagna ha ricordato il grande impegno sociale di Guido Rossa. Significativa la data, significativo il luogo della celebrazione, la sede della sezione operaia della Sat, la Sosat, anche se inopportunamente è stato ricordato come tutto ciò sia stato casuale. Il giudice Ancona ha però sottolineato come il sommarsi delle casualità possa scrivere momenti di alto significato e prestigio per un’associazione come la Sat e per il Filmfestival della montagna, e così è stato.
Per ricordare la complessa figura del sindacalista è stato chiamato il vicepresidente del Cai nazionale, Annibale Salsa, che in un breve ma ricco percorso ha riportato i presenti dentro il clima degli anni Sessanta, al clima di un alpinismo piemontese ancora aristocratico, carico di una morale rigida che toglieva spazi alla fantasia e puntava al risultato, alla fredda razionalità. Questo accadeva perché in quella terra era inevitabile parlare solo il linguaggio del granito, imperioso, privo di incertezze, era doveroso accogliere dentro le mani dell’alpinista, dentro il suo cuore le pareti pulite che portavano il verbo dell’unica verità possibile, la montagna vissuta con una passione totalizzante e quindi anche carica di gelosie, invidie, di lunghi silenzi che trascinavano dolorosi rancori; la ricerca del dialogo era molto più difficile che non il superamento della liscia parete.
In questo ambiente si formò l’operaio Guido Rossa. Arrivato da Cesiomaggiore (Belluno) per trovare lavoro nel ricco Nord-Ovest, Rossa si scontrò con l’accentuato moralismo piemontese e con quello ancor più severo dell’alpinismo locale. Aveva lasciato le morbide e fantasiose cornici delle montagne dolomitiche, le dolci vette feltrine, il monte Pizzocco che dominava con un solo picco il suo paese, per incontrare queste pareti vertiginose, spazi misti di ghiaccio e rocce, aperture infinite.
Dentro questa situazione Guido Rossa costruì una sua precisa gerarchia di valori, che vedeva sempre al centro il senso di responsabilità verso gli altri, verso se stesso, e questa gerarchia, ben leggibile in ogni suo atto, costruirà il suo futuro anche dentro la vita sociale, in fabbrica e nella famiglia.
Poi incontra l’affetto più forte della sua vita, la sua compagna e per seguire lei si porta in Liguria, va a lavorare nella fabbrica simbolo della Genova di allora, l’Italsider. Anche in questa terra i caratteri sono aspri, le montagne poi non lasciano tempo alla riflessione, ti impongono un contrasto violento: dallo spazio dolce, azzurro, aperto del mare, appena ti giri ti trovi intimorito dalla verticalità dei versanti, da paesi arroccati su piccoli terrazzi, da rocce che ti tolgono luce, aria che ti forgia un carattere ancora più fermo e inflessibile di quello respirato in Piemonte.
Mentre rimane a Genova, Guido Rossa lascia le grandi arrampicate, si dedica alle escursioni con la moglie, con la famiglia. In azienda è un punto di riferimento una certezza per tutti i compagni di lavoro e viene eletto delegato dei consigli di fabbrica, affrontando la stagione delle grandi lotte sindacali, e come tutti allora viene coinvolto nel barbaro linguaggio politico delle Brigate Rosse, e le combatte.
Forte del suo rigore morale, forte del carattere e della razionalità che la montagna gli ha impresso, forte della dolorosa miseria letta nella sua terra e spinto dalla necessità a cercare certezze lontano, forte di questo insieme di sofferenze, Guido Rossa arriva a denunciare i nomi dei fiancheggiatori delle Brigate Rosse interni alla fabbrica.
Aveva ben presente cosa significasse tutto questo e lo riferisce pochi mesi prima di morire all’amico Ribetti: "Va a finire che quegli altri mi fanno fuori". A Rita Corsini aggiunge poco tempo dopo: "Sta per succedere qualcosa... ma non dite nulla a mia moglie".
Il suo senso della responsabilità lo porta nel vicolo dove il 24 gennaio 1979 il fragile corpo cade sotto i colpi di pistola delle Brigate Rosse, ma lascia a tutti noi un messaggio di vita intenso, che oggi dovrebbe essere portato quale esempio in qualunque percorso formativo. All’interno della sinistra nessuno conosceva la figura del Guido Rossa alpinista, eppure quest’uomo aveva arrampicato sulla Cassin del Badile, la Tissi sulla Torre Venezia del Civetta, la Graffer del Campanil Basso, la Solda alla Marmolada - solo per citare alcune delle vie più note a noi orientali.
La figura di Guido Rossa era stata dimenticata anche nel mondo alpinistico, fino all’importante riscoperta tracciata in modo esemplare da Enrico Camanni nel suo libro "Nuovi Mattini" edito da Vivalda.
E’ uno dei tanti casi nei quali la figura dell’alpinista non può venire separata dall’uomo impegnato nel sociale, specie se parliamo dell’ambiente alpinistico italiano degli anni Sessanta.
Anche gli alpinisti avevano subito il fascino culturale del ’68, avevano trovato alimento in quel vortice culturale per ridare significato alle loro avventure, al vivere la montagna; vi avevano trovato giustificazione filosofica per la ricerca del limite, nuovi spazi e metodi di esplorazione, nuovi rapporti fra uomo e natura, un movimento che significativamente era stato chiamato "Nuovi Mattini" e che aveva scosso il rigido ambiente conservatore del Cai nazionale.
Il Filmfestival della montagna è così riuscito a ridare onore e significato forte al primo maggio.
Un evento casuale? Non importa: è stato importante aver tracciato oggi, a fine secolo, l’esempio di un percorso etico che né l’alpinismo, né il mondo sindacale posso permettersi di lasciar diluire dal passare degli anni, e probabilmente si è avviato un percorso parallelo dentro al Filmfestival: mentre si parla di montagna, non si dimentica la radice più intima che permette la nascita dell’avventura: la complessità del suo protagonista, dell’uomo, la complessità del suo rapporto con la natura e con i suoi simili.