Le cifre e le analisi dell’Atas
Numeri, evoluzione, problemi, dell'immigrazione in Trentino
Come ogni anno, l’assemblea dell’Atas (Associazione Trentina Accoglienza Stranieri), che nei giorni scorsi ha festeggiato i dieci anni di attività, è un’occasione per fare il punto non soltanto su questa importante realtà del volontariato cattolico, ma più in generale sulla situazione e sulle tendenze in atto nel campo dell’immigrazione, e sui cambiamenti intervenuti nella normativa nazionale e locale. Un appuntamento tanto più prezioso perché di questo tema, per quanto sia sempre più attuale, si straparla periodicamente in seguito a qualche stimolo della cronaca, ma si ragiona poco, sia fra i politici che sulla stampa.
L’Atas, ricordiamo, gestisce in convenzione con la Provincia poco meno di 300 posti letto per lavoratori stranieri, suddivisi fra alloggi per singles (159) e per famiglie (118), dislocati in quattro comprensori: Alta Valsugana, Garda e Ledro, e soprattutto Vallagarina e Valle dell’Adige. Inoltre, si occupa di assistenza ai cittadini stranieri in carcere, a minori in stato di abbandono, a famiglie con problemi; ancora, organizza corsi di lingua italiana, e poi svolge un’opera di sensibilizzazione rivolta alla comunità locale con iniziative pubbliche e interventi nelle scuole.
Ma il settore d’intervento forse più interessante perché finisce per essere un osservatorio sul fenomeno, è quello degli sportelli informativi istituiti a Trento, Rovereto e Riva, nei quali i volontari dell’Atas forniscono informazioni e servizi riguardanti temi come il lavoro, la casa, i rapporti con la Questura; sportelli che sono anche un momento di consulenza più generale sul "progetto" che ogni immigrato, venendo in Italia, si prefigura.
Da queste strutture, nello scorso anno, sono transitati oltre mille dei circa 12.000 immigrati residenti in Trentino, dunque un campione significativo delle tendenze migratorie e dei problemi di queste persone.
Dall’analisi dei dati, esposti con lucidità e puntigliosa attenzione dal direttore dell’Atas Massimo Giordani, emergono sostanzialmente delle conferme più che delle sorprese. Qualche spunto: continua ad aumentare l’immigrazione femminile, anche in seguito allo svilupparsi dei ricongiungimenti familiari, particolarmente numerosi fra i marocchini, primi protagonisti dell’immigrazione in Trentino; si rafforza, per comprensibili ragioni, la presenza di cittadini albanesi e della ex-Jugoslavia, ma soprattutto di kossovari; quanto al problema abitativo (al secondo posto dopo la ricerca di un lavoro, fra i motivi per cui si chiede l’aiuto dell’Atas), esso resta ancora in larga misura affidato a soluzioni precarie, poiché, a parte una certa riluttanza dei trentini ad affittare a cittadini stranieri, i costi di mercato (quasi sempre superiori alle 800.000 lire) risultano insostenibili per queste persone.
Venendo alle questioni normative, Giordani ha ricordato che sul piano nazionale il ’98 è stato l’anno dell’entrata in vigore della legge 40, (quella, per capirci, su cui la Lega sta raccogliendo le firme in vista di un referendum) nonché di altri provvedimenti accessori che consentano di rendere operanti certi provvedimenti: dalla determinazione dei flussi migratori alle espulsioni. E inoltre sono stati siglati accordi coi governi di alcune nazioni (Marocco, Albania, Tunisia; e si sta trattando con alcuni paesi dell’est) affinché il rimpatrio dei clandestini sia possibile anche in situazioni particolari. Ma la valanga di domande di regolarizzazione presentate (250.000 contro le 38.000 previste) ha provocato l’arresto della macchina: l’esame delle domande è cioè fermo, in attesa di chiarimenti sul che fare che dovrebbero giungere tramite un decreto, di cui però al momento non si sa nulla.
Altro inghippo, la mancanza del regolamento di quella legge, che doveva essere emanato già nello scorso settembre e di cui invece si conosce solamente una bozza, peraltro piuttosto complessa e non esente da critiche. E così, in assenza di questi strumenti, le questure - compresa quella di Trento - continuano ad applicare la vecchia normativa, che non prevede per gli immigrati una serie di diritti riconosciuti invece dalla legge 40, come si è detto in vigore ma non operante.
Quanto alla situazione trentina, nulla di nuovo. Va comunque ricordato che la vecchia legge provinciale in materia di immigrazione è meno avanzata rispetto alla legge nazionale.
Qualche esempio di contraddizione? In Trentino, per essere ammessi a un centro d’accoglienza, bisogna avere un lavoro, mentre la legge nazionale prevede che si possa entrare in Italia anche senza aver ancora trovato un’occupazione. Altra situazione da risolvere, la disparità fra italiani e stranieri nell’usufruire dei servizi, dove l’obbligatorietà di dichiarare una residenza anagrafica esclude a priori, ad esempio, i profughi. Altra disparità nell’assegnazione delle case Itea, che agli italiani vengono concesse semplicemente in presenza di certe condizioni, mentre agli stranieri viene anche richiesto di documentare un certo numero di giorni di lavoro effettuati.
Un ultimo accenno va al tema della partecipazione degli immigrati alla vita socio-politica: prima o poi - ha detto il direttore dell’Atas - si arriverà ad una direttiva europea che stabilirà in termini istituzionali e reali la partecipazione degli immigrati, ad esempio, alle elezioni amministrative. Sarebbe allora il caso di prepararsi a quel momento inventando forme di democrazia rappresentativa che siano un momento di educazione e di approccio all’esercizio dei diritti politici, senza l’intermediazione delle varie associazioni.
Queste sono alcune delle questioni aperte: alla politica, intanto a quella locale, il compito di discuterle.