Primarie DS: è bene che gli scandali avvengano
Lo spettacolo è stato a volte poco edificante: ma è uno specchio fedele della società italiana. E trentina.
Quando, nell'ultima assemblea a Trento, i sei democratici di sinistra, in gara palpeggiare la lista alle elezioni provinciali, promettono unità d'azione, e si scambiano addirittura, nella sala affollata, riconoscimenti reciproci e parole gentili, io li credo sinceri. Ma non sono falsità, ne pure strumentali invenzioni dei giornali, gli attriti, gli scontri, le parole pesanti che si sono lanciate nei giorni della competizione. E l'orgoglio per il successo, e la delusione per la sconfitta, dopo la conta dei voti, hanno superato la fisiologia dell'emozione.
Il meccanismo ha svelato, nel significato etimologico di togliere il velo, comportamenti e atteggiamenti, diffusi anche a sinistra, tipici dei tempi moderni. Chi pensava a una diversità radicale, culturale e quasi genetica, si è dovuto ricredere. Quando Rolando Mora si domanda il perché, dicendo le stesse parole, una sera in tanti lo votano e un 'altra sera nessuno, rivela quanto è cresciuta la personalizzazione in politica, anche a sinistra.
Quando Rinaldo Caldera si batte animosamente per Remo Andreolli, e lo fa per dimostrare che il gruppo dirigente è una banda autoritaria e incompetente, rivela, che cosa, a suo giudizio, è diventato il partito.
Quando i sindaci attaccano i consiglieri provinciali, e questi sospettano dei primi, quando l'urgenza di ottenere un consigliere di valle prevale su ogni altro ragionamento, quando all'assemblea si va trascinati per votare Tizio o Caio o Sempronio, ma non per ascoltare e parlare, allora e 'è da preoccuparsi. A quale livello di corporativismo è degradata la società trentina (e italiana)? Dopo quello sociale, generazionale, di genere, sono esplosi in questa occasione il corporativismo territoriale, dei localismi municipali e di vallata; quello che frammenta le istituzioni, fra sindaci e consiglieri; quello che brandisce come armi le identità, culturali e politiche, formatesi in storie pur dignitose. Il congegno delle primarie si è rivelato utile e micidiale: ma è bene che gli scandali avvengano, perché oggi tutti sappiano di più di noi stessi, e della società in cui siamo immersi. E che deve comunque essere governata, pena la disgregazione.
L'essere stato un comunista italiano non è una vergogna, ne venire dalla storia del socialismo, o del cattolicesimo democratico: ma quale di queste identità è più capace, qui e ora, di tentare una sintesi, di parlare agli incerti, per vincere le elezioni, e poi governare il Trentino?
Su questa domanda valeva veramente la pena interrogare la società, perché su questo problema ogni cittadino di sinistra è abilitato a rispondere, a Trento, Borgo, T'ione: in politica è il polso della convinzione diffusa che conta. Ma ho l'impressione che si sia invece parlato prevalentemente d'altro.
Un mese fa, in occasione dell'assemblea di fondazione dei Democratici di sinistra, mettevo la mia fiducia nella consapevolezza espressa da tutti sulla "crisi della politica", e sull'impegno a cercare il rimedio. L'astensionismo elettorale crescente ne è solo il segno più eclatante: questo, del ritrarsi massiccio dei cittadini dalla politica, secondo Eric Hobsbawm, è il lascito più preoccupante del secolo che si chiude. La politica sembra appassionare solo nella forma del totalitarismo e della demagogia, appare grigia nella forma della democrazia.
Anche a Trento, nell'ultima assemblea, tutti, da Andreolli a Tonini, hanno rimarcato il grave scollamento fra la società civile e la politica. Ma alle analisi, e alle intenzioni, non sono corrisposti i comportamenti: in troppe occasioni i sei candidati, i loro grandi elettori, i partecipanti alle assemblee, sono sembrati prigionieri dell'ingranaggio moderno che ostacola il sentirsi cittadini politici. Cioè "noi, in quanto esistiamo al plurale " direbbe Hannah Arendt.
Invece di criticarli e curarli, con decisione e senso del limite, Mi sono stati attizzati, e ingigantiti i localismi, i legami personali, i corporativismi. Invece di invertirlo, il processo di allontanamento dalla politica, temo sia stato assecondato.
All'assemblea, due giovani liceali, seduti accanto a me, si dichiarano rapidamente stanchi e delusi. A un esponente di sinistra che parla, o scrive, anche nel difficile momento della competizione interna, chiedo che sappia trovare le parole che innanzitutto avvicinino un giovane alla politica, aiutandolo a scoprirsi magari su posizioni lontane, perché l'interesse alla polis viene prima della sinistra e di un partito.
Quando Margherita Cogo e Wanda Chiodi polemizzano aspramente su un quotidiano, quando Rinaldo Caldera e Luigi Olivierì strapazzano malamente Stefano Albergoni, quando persino Mario Cassali usa parole contorte a sostegno di Giorgio Tonini, non so quanti voti avranno nell'immediato ottenuto, certo non hanno conquistato consensi alla politica.
Mi si dirà che a destra, al centro, altrove, succede anche di peggio: ma è compito della sinistra apparsi innanzitutto all'anti-politica, ricercando e riconoscendo con coraggio persino i meriti di chi è lontano da noi.
Scriveva Antonio Gramsci che si può essere compagni senza essere amici, e amici senza essere compagni, oltrepassando così d'un balzo le parole gentili, faticose e sincere, che i sei candidati si sono scambiate nell'ultima sera.
Io non sono ottimista, ma se qualche favorevole congiunzione degli astri permetterà all'Ulivo di vincere, e in esso alla sinistra di essere forte, i nostri assessori dovranno governare riformando: e si troveranno di fronte, ogni giorno, i corporativismi prodotti dalla natura e dalla storia, ma che loro stessi hanno anche istigato in questa scalata. Come sapranno impostare, capire, difendere, i sì e i no necessari e impopolari, ma anche l'assessore della stanza vicina, cioè la visione generale di un bilancio e di una politica, se oggi di lui si parla come di un nemico da sistemare ? Persino dovesse stare comodamente all'opposizione, chiedo al mio consigliere che mi sappia dire dei no.
C'è qualche tempo per rimediare. Sarà difficile riempire le sale solo per ragionare sui problemi di una provincia di tutti: compito di chi dirige la sinistra è di provarci.
Quando traccio un segno su un simbolo di partito, io intendo ancora votare per un collettivo, in cui molti sanno ascoltare e parlare. Non mi affido all'eletto, ma piuttosto alla sua capacità di decidere dopo aver ascoltato anche chi dovesse abitare all'altro capo della Provincia.